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Archive for ottobre 2010

Hashim Thaci, primo ministro kosovaro. Secondo Wikipedia, "è noto per i suoi numerosi ed estesi legami con il crimine"

Il derby di Belgrado Stella Rossa-Partizan si è svolto senza incidenti. Ma ha richiesto l’impiego di 5 mila agenti. Il primo ministro kosovaro Hashim Thaci apre al dialogo con la Serbia. Ma a breve potrebbe dimettersi. Domani da Bruxelles potrebbe arrivare un importante via libera verso l’ingresso della Serbia nell’Unione europea. Ma il tribunale de L’Aja aspetta ancora che le autorità trovino il massacratore Ratko Mladic, che nel 2008 poteva essere addirittura a Belgrado. Un insieme di contraddizioni che rendono difficile la lettura della situazione attuale della Serbia.

Dopo gli incidenti al Gay Pride e quelli di Genova, la paura – e la probabilità – che la gara tra Stella Rossa e Partizan fosse l’occasione per nuovi scontri erano altissime. 5 mila agenti, però, sono “bastati” ad evitare il peggio, e a far sì che la vera notizia fosse il risultato della partita: 1-0 per il Partizan, gol di Moreira. Il fatto che stavolta (a differenza di Italia-Serbia) i commentatori abbiano potuto parlare di calcio è una piccola, ma importante vittoria da mostrare all’Europa dopo i disastri provocati dall’ultra-destra solo pochi giorni fa.

Stella Rossa-Partizan è sempre stata ad alto rischio: qui il futuro milanista Zvonimir Boban colpisce un agente durante gli scontri del maggio 1990

E proprio da Bruxelles potrebbe arrivare un passo fondamentale per accelerare il cammino di Belgrado verso l’Unione. Domani si riuniranno i ministri degli Esteri dei Paesi Ue, che dovrebbero trasmettere dal Consiglio alla Commissione europea la domanda di adesione presentata dalla Serbia. Unico ostacolo da superare, le resistenze dell’Olanda, sede del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia. Il governo di Amsterdam vorrebbe maggiore collaborazione dalle autorità serbe nella ricerca dei latitanti. Pochi giorni fa Bruno Vekaric, portavoce della procura nazionale per i crimini di guerra, ha ammesso che Mladic, il boia di Srebrenica, nel 2008 poteva essere semplicemente… a Belgrado: “Non mi risulta che un qualche inquirente abbia tenuto sotto controllo il suo appartamento”, ha dichiarato. Mladic, cioè, poteva essere tranquillamente a casa sua, mentre i massimi rappresentanti istituzionali sbandieravano il più totale impegno per “stanarlo”.

Infine, c’è il tassello Kosovo. Pristina sembrava aver risposto negativamente all’apertura effettuata da Belgrado alle Nazioni Unite, dove a inizio settembre il ministro degli Esteri Vuk Jeremic ha proposto il dialogo con la “provincia” ribelle. Ora, però, anche Thaci pare voler allentare la tensione, e per farlo potrebbe fare un gesto radicale: dimettersi. La stessa cosa che ha fatto il presidente Fatmir Sejdiu qualche settimana fa, causando il ritorno del Paese alle urne nel prossimo febbraio. Una crisi istituzionale interna che ha rallentato la distensione diplomatica con la Serbia, ma che potrebbe diventare più breve se Thaci si dimettesse e le elezioni venissero anticipate a dicembre. Il mosaico, insomma, è sempre più complesso. Ma ogni singola tessera, se spostata nel modo giusto, potrebbe avvicinare Bruxelles a Belgrado, Belgrado a Pristina. E i Balcani all’Europa.

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Genova, 13 ottobre 2010: il capoultrà Ivan Bogdanov guida le violenze dei teppisti serbi, giunti in Italia proprio per impedire lo svolgimento della partita

Che succede nella Serbia “filo-europea”? Nel giro di pochi giorni, due eventi hanno attirato l’attenzione del mondo, dando a Belgrado una visibilità di cui il presidente Boris Tadic avrebbe fatto volentieri a meno. Prima gli scontri tra forze dell’ordine e ultranazionalisti omofobi in occasione del Gay Pride. Poi i disordini che hanno impedito lo svolgimento del match di calcio con l’Italia. Un unico filo conduttore: la presenza di un’estrema destra violenta e ancora molto forte.

Per arrivare a Bruxelles, gli ostacoli da superare sono molti. Il più grosso è certamente la questione Kosovo: solo poche settimane fa sono stati avviati i primi tentativi di dialogo, peraltro finora inefficaci. Un altro problema serio sono i criminali di guerra ancora latitanti: il serbo-croato Goran Hadzic e soprattutto Ratko Mladic, il sodale dell’altro massacratore sotto processo a L’Aja, Radovan Karadzic. Un terzo scoglio, però, si fa sempre più preoccupante: il fanatismo nazionalista, mai sopito davvero e capace di influenzare eventi di portata internazionale. Il 10 ottobre i gruppi omofobi hanno devastato la capitale, provocando oltre 140 feriti: e chissà cosa sarebbe successo se non ci fossero stati 6 mila agenti, schierati per difendere un corteo di appena 1.500 persone. Quattro giorni dopo i “tifosi” arrivati a Genova hanno tenuto in scacco un intero stadio, facendo prima rimandare di mezz’ora il calcio di inizio di Italia-Serbia, e poi sospendere definitivamente la partita stessa.

Belgrado, 17 settembre 2009: gli ultrà del Partizan mostrano uno striscione contro il Gay Pride previsto per il 20 dello stesso mese, che verrà poi cancellato

Il risultato? Un bel rallentamento sulla strada che porta all’ingresso nell’Unione Europea, traguardo tanto agognato dal governo quanto disprezzato dagli ultranazionalisti. Non è da escludere che uno dei loro scopi, a Belgrado come a Genova, fosse proprio questo: intralciare il cammino della Serbia verso l’Europa. Stavolta ci sono riusciti. E ci riusciranno ancora, se le autorità non saranno in grado di controllarli meglio.

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Il membro musulmano della presidenza "tripartita" sarà Bakir Izetbegovic, figlio dell'ex presidente Alija

I musulmani scelgono di cambiare. I serbi e i croati no. E’ il riassunto delle elezioni politiche di domenica 3 ottobre in Bosnia. A comporre la presidenza “tripartita” saranno il serbo Nebojsa Radmanovic, il croato Zeljko Komsic e il musulmano Bakir Izetbegovic: ma solo la vittoria di quest’ultimo segna una reale novità.

Alija Izetbegovic è stato presidente della Bosnia dal 1990 al 1996, negli anni più duri per il Paese e per tutta l’ex Jugoslavia. Oggi suo figlio raccoglie l’eredità di Haris Silajdzic, un altro protagonista della guerra degli anni ’90, di posizioni più radicali rispetto al suo successore. L’elezione di un musulmano “moderato” è letta da molti come positiva per la convivenza interetnica: in questa chiave è però meno incoraggiante il successo dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), la formazione politica di Radmanovic – riconfermato nel suo incarico – e soprattutto di Milorad Dodik, vero leader del partito, che ha respinto l’invito al dialogo di Izetbegovic con un secco: “Non abbiamo niente da discutere”. Decisamente più morbido l’orientamento di Komsic, anche lui al secondo mandato, estraneo agli spiriti nazionalisti cavalcati dai rappresentanti serbi.

Il grande sconfitto è Haris Silajdzic, in carica dal 2006. Con lui la disoccupazione è arrivata al 43%

La vera sorpresa delle votazioni di una settimana fa, comunque, ha il nome di Fahrudin Radoncic. Proprietario di Dnevni Avaz, il quotidiano più venduto in Bosnia, per il suo potere mediatico è già stato soprannominato “il Berlusconi dei Balcani”. Alle urne ha battuto addirittura Silajdzic, raccogliendo il 31% dei consensi. Non abbastanza per sconfiggere Izetbegovic, arrivato al 35%. Ma abbastanza per capire che Sarajevo ha voglia di cambiare.

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