La Serbia fa un passo avanti. Il Kosovo ne fa uno indietro. Non si sblocca il conflitto diplomatico tra Belgrado e Pristina, che pareva in via di miglioramento dopo l’apertura operata dal governo di Boris Tadic. A inizio settembre il ministro degli Esteri Vuk Jeremic ha presentato all’Onu una risoluzione in cui i serbi si dicono disposti a dialogare con la provincia ribelle: ora, però, le mosse politiche delle autorità kosovare sembrano voler rallentare un eventuale riavvicinamento.
In primo luogo ci sono le dimissioni, inaspettate e clamorose, del presidente Fatmir Sejdiu. Il capo dello Stato ha lasciato l’incarico dopo una sentenza della Corte costituzionale, secondo cui il suo ruolo istituzionale sarebbe stato incompatibile con quello di leader del suo partito, la Lega democratica del Kosovo. “Rispetto la decisione dei giudici”, ha detto semplicemente Sejdiu. Più interessanti le valutazioni di Jakup Krasniqi, già portavoce dell’Esercito di liberazione del Kosovo, ora presidente ad interim: “Per i colloqui con la Serbia è meglio attendere l’insediamento delle nuove istituzioni”. Dichiarazioni che accrescono il sospetto nutrito da alcuni di dimissioni motivate proprio dalla necessità di prendere tempo, di fronte all’inattesa svolta diplomatica di Belgrado.

La sede di Telekom Srbija a Belgrado. Da aprile le autorità di Pristina hanno iniziato a rimuovere i ripetitori delle compagnie telefoniche serbe presenti in Kosovo
C’è un altro fatto a sostenere questa teoria. Pochi giorni fa è ripresa la “guerra dei telefoni” tra Kosovo e Serbia. Domenica 26 settembre gli uomini delle poste e della polizia di Pristina hanno cominciato a distruggere i ripetitori e le centraline della telefonia fissa e mobile della Telekom Srbija su tutto il territorio del Paese a maggioranza serba. E’ la seconda fase di un’operazione iniziata ad aprile, quando la rimozione di 14 impianti aveva suscitato la reazione infuriata di Belgrado. “Vogliono isolarci”, aveva protestato il primo ministro Mirko Cvetkovic. Parole simili a quelle dette oggi da Goran Bogdanovic, ministro serbo per il Kosovo: “Pristina ha dimostrato di non voler rinunciare alla violenza in un momento in cui attendiamo negoziati”.
La violenza di cui parla Bogdanovic c’è, eccome. A Mitrovica, città divisa in due tra serbi e albanesi, una bambina di tre anni è rimasta ferita in un’esplosione che avrebbe dovuto abbattere un ripetitore serbo. Per molti mesi la comunità internazionale ha rimproverato Belgrado per l’eccessiva rigidità di posizioni nei confronti del Kosovo. Adesso, però, è proprio da Pristina che ci si aspetterebbe un po’ di diplomazia in più, per non vanificare lo sforzo fatto dalla Serbia alle Nazioni Unite.
[…] Balcanews Fatmir Sejdiu, presidente dimissionario del Kosovo, insieme al primo ministro Hashim […]
[…] In questi ultimi giorni la Bosnia Erzegovina e soprattutto la vicina Serbia sono tornate alla ribalta tra le notizie politiche (e non) più quotate in Europa. Per quanto sia molto facile affezionarsi a questi paesi (io sono la prima a farlo), bisogna riconoscere che quando si cerca di guardarli anche un po’ da vicino, la confusione regna sovrana. La Bosnia Erzegovina ha vissuto lo scorso 4 ottobre le elezioni parlamentari, e anche se metà dei bosniaci non è andata a votare, sono stati eletti 3 nuovi presidenti: la presidenza a capo dell’etnia musulmani è andata a Bakir Izetbegović che ha sconfitto quello che è stato molto lusinghieramente definito il Berlusconi locale, Fahrudin Radončić, mega direttore galattico della stampa e dell’edilizia nazionali; la presidenza serba è andata per un pelo al super nazionalista Nebojša Radmanovic, mentre quella croata se l’è aggiudicata un socialdemocratico, Zeliko Komsic. La Serbia invece ha avuto una settimana particolare, prima per la garbata accoglienza del Gay Pride a Belgrado e poi per l’ancor più delicata partecipazione alla partita di Italia-Serbia, con protagonisti prima i nazionalisti conservatori, poi gli ultras iper tatuati—tra i quali purtroppo non sembra esserci grande differenza. Tutto questo mentre il governo cerca l’avvicinamento con l’Unione Europea—fortemente appoggiato da Hilary Clinton, a Belgrado in questi giorni—e con la Nato. […]