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Archive for febbraio 2011

Behgjet Pacolli è il nuovo capo dello Stato del Kosovo (estjournal.wordpress.com)

Behgjet Pacolli è il nuovo presidente del Kosovo. Imprenditore discusso (c’è chi lo definisce “il Berlusconi dei Balcani”), succede a Fatmir Sejdiu, dimissionario nello scorso settembre. Ma l’opposizione non ci sta. Lega democratica del Kosovo  (Ldk) e Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la sua elezione.

Chi è Pacolli? Sessanta anni da compiere nel prossimo agosto, laureato in economia e commercio, ha iniziato – come Berlusconi – nel settore edile, con la società di costruzioni Mabetex, attiva soprattutto nelle ex repubbliche sovietiche. Nel 1999 è stato indagato per riciclaggio da Carla Del Ponte, futuro procuratore capo del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, ma la procedura si è conclusa con l’archiviazione. Sposato con Anna Oxa dal 1996 al 2002, nel 2001 ha fondato la casa discografica B & G insieme a Gianni Belleno, ex marito della cantante. Un’operazione fallimentare: nonostante si fosse assicurata artisti come Ivana Spagna e Loredana Bertè, l’etichetta ha chiuso dopo appena tre anni.

Pacolli come Berlusconi: una stretta di mano con Gheddafi (gazetatema.net)

Entrato in parlamento nel 2010 con il partito Alleanza per il nuovo Kosovo, Pacolli è diventato presidente martedì 22 febbraio. Il capo dello Stato viene eletto dal parlamento, che ha tre tentativi disponibili per trovare un accordo. Se alla terza votazione nessun candidato vince, l’assemblea viene sciolta e si torna alle urne. Una possibilità che sembrava molto concreta martedì, dopo che i primi due turni si erano conclusi con una fumata nera. E’ stato allora che il primo ministro Hashim Thaci ha chiesto una pausa delle consultazioni. Finito il break si è votato di nuovo, e Pacolli ha ottenuto la maggioranza.

Lo “stop” chiesto da Thaci non è piaciuto a Aak e Ldk, il partito di Ibrahim Rugova, il primo presidente del Kosovo, morto cinque anni fa. L’opposizione ha gridato allo strappo costituzionale, mentre il nuovo capo dello Stato ha trovato una buona accoglienza da parte della Serbia. “Siamo pronti a sedersi al tavolo con chiunque sia eletto”, ha fatto sapere il governo di Boris Tadic, che da alcuni mesi ha teso una mano a Pristina per avviare un dialogo. La Serbia non accetta ancora l’indipendenza del Kosovo, né dà l’impressione di volerlo fare a breve: è disposta, però, a trattare con le istituzioni dell’ex provincia ribelle. E da martedì ha un nuovo interlocutore con cui parlare.

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Uno dei grandi cimiteri musulmani che sovrastano Sarajevo. "Benevolencia" aiutò anche i musulmani durante la guerra

«All’inizio della guerra alcuni bambini ebrei vennero da noi e iniziammo a tenere una scuola domenicale. Ci chiesero: “Il mio migliore amico è musulmano, o croato”. Posso portarlo con me?’ La nostra risposta fu: “Sì”».

Dragica Levi è un’attivista di “Benevolencia”, un’associazione ebraica che aiutò i cittadini di Sarajevo durante l’assedio degli anni ’90. Nel 1993 distribuì oltre la metà dei medicinali che circolavano in città. Gestiva un centro di primo soccorso, tre farmacie e assisteva a domicilio gli anziani in gravi condizioni di salute. Distribuiva pasti a chi li chiedeva, ebrei e non. Un impegno premiato nel 1994 con il Wateler Peace Prize, un riconoscimento olandese di importanza internazionale.

La Biblioteca Nazionale di Sarajevo, dove i serbi bruciarono oltre 2 milioni di libri

“La Benevolencia” nacque nel 1892 ed operò fino alla seconda guerra mondiale come Società Ebraica Culturale ed Educativa. Dopo il conflitto, le società organizzate su base nazionale vennero proibite, e l’associazione smise di agire. Uno stop terminato un secolo dopo la sua fondazione, nel 1992, quandò ripartirono le attività e nacque anche il sotto-club femminile “Bohoreta”, ispirato a Laura Papo-Bohoreta, un’intellettuale ebrea di Sarajevo morta in un campo di concentramento nazista.

“Verso la fine del massacro […] ho visto, filmato e raccontato dell’esodo delle donne e dei bambini di quella importante e storica comunità ebraica verso Israele. […] A Sarajevo rimasero tutti i maschi ebrei adulti. A mandare avanti Benevolencia e a saldare, con sacrificio e vite umane, un conto di solidarietà che sentivano di dover pagare con la storia”. Ennio Remondino, inviato Rai nei Balcani durante la guerra, ha descritto così questa storia sul sito dell’Agenzia Multimediale Italiana. “Una storia semisconosciuta”, dice Remondino. E che vale la pena ricordare.

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Il 7 febbraio quattro bambini rom hanno perso la vita in un incendio a Roma (articolo21.org)

“Rom -4”. Basta questo slogan terrificante a spiegare il baratro che si apre in Italia quando si parla di rom. La scritta è apparsa a Roma dopo l’incendio che ha ucciso quattro bambini in un campo di periferia. La stupidità non si ferma neanche davanti a una strage. Neanche se a morire sono quattro piccole persone, le cui età sommate insieme non arrivano a 30 anni.

Ma si tratta proprio di stupidità? Chi gioisce di una tragedia simile lo fa solo per ignoranza? O c’è un retroterra culturale, un contesto che fa sentire autorizzati a compiere atti razzisti e disumani? Chi attacca i rom sa di prendere a bersaglio la parte più debole della società. La popolazione più denigrata dai mezzi di comunicazione, la gente a cui sono legati i luoghi comuni più resistenti. La gente più discriminata dalla politica. Non si contano le proposte di provvedimenti per limitare la libertà dei rom, ghettizzarli, “difendere” gli italiani dalla loro presunta predisposizione a delinquere.

Cesare Bossetti, consigliere regionale della Lega in Lombardia, non si è alzato durante il minuto di silenzio per la tragedia di Roma (radio-padania.com)

“Dobbiamo domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto”. Benedetto XVI ha parlato così di fronte a centinaia di rom e sinti, accorsi in piazza san Pietro per ascoltarlo. Sembrano parole di rito. E’ la conferma, magari simbolica, ma importante, della volontà di difendere gli esclusi, gli ultimi. E’ un richiamo alla solidarietà che forse cadrà nel vuoto, ma che andava fatto, di fronte alle urla fin troppo ascoltate di chi vorrebbe “espellerli tutti”.

“E’ più facile educare un cane che un rom”. Tiziana Maiolo, portavoce milanese di Futuro e libertà, si è dovuta dimettere in seguito a questa dichiarazione. Parole pronunciate proprio commentando la tragedia di Roma. L’abisso che separa un’idiozia simile dal rispetto per le vittime è quello che ci divide da una vera comprensione della questione rom.

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L'ad Fiat Sergio Marchionne, il presidente serbo Boris Tadic e il ministro degli Esteri Franco Frattini

L’arresto di Mladic non è una condizione necessaria per l’ingresso della Serbia in Europa. E’ il pensiero del ministro degli Esteri Franco Frattini, in visita a Belgrado. Il Paese di Boris Tadic sta lottando con tutte le sue forze per entrare nell’Unione europea. Ma quello dei criminali di guerra resta un nodo cruciale.

“Abbiamo ripetuto più volte che il principio è quello della piena cooperazione”, dice Frattini. Per il ministro, la totale collaborazione delle istituzioni serbe col Tribunale penale internazionale (Tpi) sarebbe sufficiente a permettere l’adesione alla Ue. “Lo status di candidato all’Unione dipende da criteri prestabiliti e validi per tutti. Non possiamo pensare a condizioni aggiuntive per i singoli Paesi”. Vale a dire: non possiamo inserire una “clausola Mladic” per la Serbia.

Ratko Mladic, accusato di genocidio per Srebrenica, dove nel luglio 1995 vennero uccisi 8 mila musulmani

Il sostegno di Frattini non è del tutto disinteressato. I legami economici tra i due Paesi, che nel 2009 hanno stipulato un accordo di partenariato strategico, sono forti. I serbi esportano molto nel Belpaese. E attendono anche Paolo Romani, ministro dello Sviluppo economico, che arriverà in visita venerdì 11 febbraio. Senza dimenticare gli investimenti Fiat a Kragujevac. Una Serbia in Europa sarebbe sicuramente più forte. E renderebbe più forte l’Italia.

Ma cosa ne pensa Bruxelles? Serge Brammertz, procuratore capo del Tpi, andrà presto a Belgrado. “Riconosco che ci sono persone che stanno compiendo perfettamente il loro lavoro – diceva il procuratore a novembre – ma altre potrebbero compierlo in maniera più professionale”. Forse catturare Mladic non è una condizione necessaria per entrare in Europa. Ma di sicuro lo è l’impegno totale per trovarlo.

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