Esce Behgjet Pacolli, entra Atifete Jahjaga. E il dialogo con la Serbia continua. Si potrebbe sintetizzare così la situazione attuale del Kosovo, sempre più intricata e in costante evoluzione. Proviamo a riassumere le ultime, concitate settimane.
Il 22 febbraio Pacolli diventa presidente. Il suo insediamento è accompagnato da polemiche roventi: l’opposizione denuncia irregolarità nell’elezione da parte del parlamento. Il 30 marzo, la Corte costituzionale dà ragione ai contestatori: al momento del voto, in aula mancava il quorum necessario (81 su 120), e Pacolli era il solo candidato (possibilità vietata dalla Costituzione). Il presidente in carica si dimette all’istante, ma non rinuncia a manifestare il suo disappunto: il 4 aprile diserta la cerimonia di passaggio dei poteri a Jakup Krasniqi, presidente ad interim per la seconda volta in pochi mesi (lo era stato anche dopo le dimissioni del precedente capo di Stato, Fatmir Sejdiu, presentate nello scorso settembre). All’inizio sembra che Pacolli voglia ripresentarsi. Alla fine rinuncia, e il 7 aprile la scelta del parlamento cade su Atifete Jahjaga, vicecapo della polizia kosovara, gradita a maggioranza e opposizione.

Behgjet Pacolli e Fatmir Sejdiu, entrambi dimissionari dalla carica di presidente del Kosovo (zhurnal.mk)
Questa la cronistoria politica “interna”. E i rapporti con la Serbia? Dopo l’apertura praticata da Belgrado a settembre, l’8 e il 9 marzo a Bruxelles si tengono i primi colloqui diplomatici tra il Paese di Boris Tadic e l’ex provincia ribelle. Una seconda tornata di incontri, sempre con la mediazione dell’Unione europea, avviene il 28 e 29 marzo. Segue un terzo round, il 14 e 15 aprile. I temi sul tavolo? Problemi pratici (dalla gestione del catasto a quella dell’anagrafe), ma anche – e soprattutto – la libertà di movimento, ovvero la necessità di trovare accordi sul traffico aereo e sui controlli doganali. Certo, il punto più caldo rimane lo status del Kosovo. “Martelleremo sul principio della sovranità serba”, ha detto prima dell’ultimo meeting Borko Stefanovic, capo dei negoziatori di Belgrado. Il sospetto è che siano parole di circostanza, e che lentamente le parti potrebbero avvicinarsi anche sulla questione più scottante, quella dell’indipendenza dello Stato autoproclamatosi nel febbraio 2008.
I due percorsi si intrecciano. Se la presidenza kosovara riuscisse finalmente a trovare stabilità, i colloqui con Belgrado potrebbero accelerare. E se il dialogo con la Serbia andasse a buon fine, alcune turbolenze interne si attenuerebbero. Ma per ora si può usare solo il condizionale.
Fonti: TMNews, L’UNICO, corriere.it, Bluewin
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