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Archive for Maggio 2011

Nella città bosniaca di Srebrenica, vicino al confine serbo, vennero uccisi 8mila musulmani (h3nr1.splinder.com)

Oggi Ratko Mladic è arrivato a L’Aja. L’ex capo di stato maggiore dell’esercito della Repubblica serba di Bosnia verrà giudicato dallo stesso tribunale che sta processando Radovan Karadzic, suo sodale nel massacro di migliaia di innocenti durante la guerra degli anni ’90. Il modo migliore per celebrare l’arresto e il rinvio a giudizio di Mladic ci sembra ricordare ciò che successe nel luglio 1995 a Srebrenica, la più orrenda strage di cui si sono macchiati i due criminali alla sbarra in Olanda. Per farlo ci serviamo di un brano tratto da “Le guerre jugoslave” dello storico Joze Pirjevec, che riportiamo qua sotto leggermente riadattato nella forma, ma identico nella sostanza.

Srebrenica, 12 luglio 1995. Le truppe serbe entrano a Potocari, un villaggio a sei chilometri da Srebrenica, dove le truppe dell’Onu hanno il loro quartier generale. Il comandante dei caschi blu ha ottenuto da Mladic l’assicurazione che donne, vecchi e bambini saranno evacuati nel territorio sotto il controllo dei musulmani. Nel primo pomeriggio arrivano a Potocari 40-50 veicoli, tra furgoni, camion e jeep, su cui viene caricato un primo contingente di persone. Mladic si fa vedere sulla scena dai giornalisti, che osservano i soldati serbi mentre distribuiscono acqua e pane agli sfollati e gettano dolci ai bambini. “Non abbiate paura – dice Mladic davanti alle telecamere. – State calmi, calmi. Lasciate che donne e bambini vadano per primi. Verranno tanti autobus. Non abbandonatevi al panico. State attenti che nessuno dei bambini si perda. Non abbiate paura. Nessuno vi farà del male”.

Ratko Mladic dopo l'arresto, avvenuto il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza (ilmessaggero.it)

Intanto a New York il Consiglio di sicurezza dell’Onu adotta all’unanimità una risoluzione per chiedere “l’immediata cessazione dell’offensiva dei serbi bosniaci e il loro ritiro dalla zona di protezione di Srebrenica”. Una pronuncia formale, che non avrà alcun effetto. Sul calar della notte, i serbi raccolgono a Potocari gli uomini che sono riusciti a rastrellare in un edificio di fronte all’accampamento dell’Onu, noto come “casa bianca”. Alcuni di loro vengono uccisi sul posto, mentre la maggioranza viene trasportata a Bratunac, dove viene sottoposta a sevizie, prima di essere trucidata. Il 13 luglio inizia la grande mattanza in un’atmosfera di esaltazione collettiva, come sarà testimoniato dagli appartenenti a un convoglio dell’Agenzia Onu per i rifugiati, che vedono i serbi bosniaci, molti dei quali ubriachi, festeggiare nelle strade. Nei quattro giorni successivi le uccisioni di massa continuano senza tregua, con ogni tipo di arma, anche con granate.

Boutros Boutros-Ghali, segretario generale Onu dal 1992 al 1996. La comunità internazionale non impedì la strage di Srebrenica (agenziastampaitalia.it)

Per quanto già il 13 luglio le notizie che qualcosa di terribile sta accadendo a Bratunac comincino a raggiungere i vertici delle Nazioni Unite, Jasushi Akashi – rappresentante speciale del segretario Boutros-Ghali – chiede che non vengano rese pubbliche, per non mettere in pericolo gli osservatori militari dell’Onu ancora a Srebrenica. Solo il 16 e il 17 luglio, quando i giornalisti intervistano i primi fuggiaschi all’aeroporto di Tuzla e i caschi blu rimpatriati attraverso Zagabria, cominciano a trapelare le prime informazioni sul massacro. Uno degli uomini dell’Onu racconterà: “La stagione di caccia è al culmine… presi al bersaglio non sono solo gli uomini al servizio del governo bosniaco… ma anche donne, pure quelle incinte, bambini e vecchi… su alcuni si spara o li si ferisce, ad altri vengono tagliate le orecchie e alcune donne sono state stuprate”.

Il 16 luglio sul tardi e nelle prime ore del 17 luglio una colonna di uomini e ragazzi fuggiti attraverso i boschi raggiunge dopo sei giorni di marcia il territorio controllato dal governo di Sarajevo. Di 15mila, quanti erano partiti, ne sono rimasti vivi tra i 4500 e i 6000.

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Sergio Castellitto e Penelope Cruz in "Non ti muovere" (movielicious.it)

Simbolo drammatico degli anni ’90, crocevia di culture dilaniato dall’orrore, Sarajevo continua a essere un richiamo potente per tanti intellettuali. Forse proprio con l’esplosione della guerra si è arrivati a coglierne tutta l’importanza, a cogliere tutto il peso di un esempio così lampante di convivenza pacifica tra le diversità proprio quando un conflitto atroce lo ha aggredito barbaramente. Ha scelto Sarajevo Margaret Mazzantini, quando nel 2008 ha scritto Venuto al mondo, romanzo vincitore del Premio Campiello 2009; e ha scelto Sarajevo, giocoforza, anche suo marito Sergio Castellitto, che porterà il libro sullo schermo cinematografico nei prossimi mesi.

Una mattina Gemma prende un aereo col figlio Pietro, 16 anni. Destinazione Sarajevo. Ad aspettarla c’è il vecchio amico Gojko, poeta, amore mancato conosciuto durante un viaggio in Bosnia nel 1984, in occasione delle Olimpiadi invernali. Fu proprio Gojko a indirizzare Gemma verso Diego, fotografo genovese, con cui poi si sarebbe sposata. Il ritorno a Sarajevo è l’occasione per ricordare ciò che è stato, in una serie di flashback che ricostruiscono la vicenda umana dei protagonisti sullo sfondo disumano della guerra, che fa da specchio drammatico e simbolico dei percorsi individuali.

Emile Hirsch nei panni di Christopher Mc Candless in "Into the wild" (nateandthemagichat.blogspot.com)

Abbiamo di fronte un libro che ci dimostra che c’è un grande romanzo italiano – ha detto Castellitto. – Un libro che dall’intimità di una stanza da letto sa uscire da quella stanza, attraversare una piazza, prendere un aereo, attraversare il mare, andare in un altro mondo, scoprire altri popoli, altri mondi, altri amori e rientrare in un’altra camera da letto, e ritrovare un’altra intimità”.

La parte di Gemma sarà interpretata da Penelope Cruz, già diretta da Castellitto in Non ti muovere (2004). L’attrice spagnola sarà anche co-produttrice della pellicola, mentre nel cast sarà affiancata da Emile Hirsch, protagonista di Into the wild (2007), che dovrebbe calarsi nei panni di Diego. Per Gojko si era parlato addirittura di Javier Bardem o Benicio Del Toro, ma per ora non ci sono conferme. Le riprese inizieranno a settembre e si divideranno tra Roma e i Balcani.

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Valentin Inzko, Alto rappresentante internazionale per la Bosnia (mojevijesti.ba)

”La Bosnia-Erzegovina vive il momento più difficile dalla fine della guerra”. Parola di Valentin Inzko, Alto rappresentante internazionale per la Bosnia. La miccia che ha fatto esplodere l’allarme tra i vertici dell’Unione europea è il referendum indetto per metà giugno dalla Repubblica serba di Bosnia (RS), una delle due entità in cui è diviso il Paese (l’altra è la federazione croato-musulmana). Un voto per abolire la normativa sulla Corte penale federale e sulla Procura di Stato, competenti sui crimini di guerra residui rispetto a quelli trattati dal Tribunale de L’Aja, e accusate di discriminare i serbi. Un voto che ha valore consultivo, ma che potrebbe avere un peso politico devastante, visti le ripetute minacce di secessione fatte in passato da Milorad Dodik, primo ministro della Rs.

Il primo ministro Milorad Dodik davanti allo stemma della Repubblica serba di Bosnia (vesti-online.com)

“Da quando sono Alto rappresentante – ha detto Inzko – ho sempre goduto del massimo appoggio da parte della comunità internazionale, e tale appoggio potrebbe tradursi anche in una destituzione di Dodik”. Oppure in una cancellazione “dall’alto” del referendum. “Se Inzko deciderà di annullare la consultazione – ha risposto Dodik – saremmo forzati a riconsiderare il nostro atteggiamento nei confronti del potere e la nostra partecipazione ad esso”. Un’eventualità che rischia di compromettere i già sottilissimi equilibri del sistema di potere “tripartito” (serbi, croati e musulmani) creato in Bosnia dagli accordi di Dayton, che posero fine alla guerra nel 1995.

A tamponare la situazione ci ha pensato Catherine Ashton, Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, che è volata a Sarajevo per incontrare Dodik e i membri della presidenza nazionale (quella tripartita, per l’appunto). La Ashton ha ammesso “l’esistenza di talune deficienze nell’attività dei tribunali e delle procure di Bosnia”, e tanto è bastato per far ammorbidire le posizioni dei serbi di Bosnia. “Abbiamo avviato dei contatti con Bruxelles – ha detto Dodik – e accettato, come segnale di buona volontà, di rimandare il referendum”. E se la Ue dovesse rassicurare ulteriormente la Rs, la consultazione potrebbe venire addirittura annullata.

Fonti: Lettera43, TMNews, Peace Reporter

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Balcanews è un blog giornalistico. I post che ospita sono articoli, non pensieri in libertà. È sempre stato così, e credo proprio che sarà sempre così. Per una volta, però, vorrei condividere con chi legge riflessioni un pò più private. Gli appunti che seguono sono il frutto di un viaggio fatto in ex Jugoslavia nell’estate del 2007. Le frasi che contengono sono state scritte là, sono state ispirate dai Balcani. E forse, in qualche modo, ne parlano anche un pò.

Lo scemo del villaggio, pur deriso da tutti, all’interno del paese aveva un proprio ruolo sociale, aveva una funzione, era un personaggio nella recita collettiva del villaggio stesso, a volte era perfino coccolato – a ogni modo, era parte di un tutto. Nelle metropoli gli “scemi del villaggio” sono semplicemente degli emarginati, degli attori incapaci esclusi dalla recita globale: i rifiuti di una società in cui ognuno ha il proprio spettacolo personale fatto di personaggi accuratamente selezionati. Una società in cui i palcoscenici comuni, collettivi, sono sempre di meno.

Dove finiscono i pellegrinaggi della memoria e inizia il turismo della sofferenza? Quand’è che viaggiare per vedere il dolore degli altri, per toccarne con mano le tragedie e conoscerle e capirle meglio, diventa semplicemente un atto di “guardonismo”?

Perché è giusto che la vita continui dopo la morte di una persona cara? Perché così va il mondo… I vivi sono chiamati a dimostrare che vale la pena stare sulla terra, a cercare di andare avanti perché chi ci ama non vorrebbe mai vederci immobili e ripiegati nel dolore… Perché se ci fermiamo anche noi, è come se la morte avesse vinto una volta di più… Andare avanti, tornare ad agire, tornare a sorridere dopo la morte di una persona cara non significa dimenticare chi se ne è andato; è portando il suo ricordo nel cuore che ci faremo forza e combatteremo affinché anche dalla sua morte possa nascere nuova vita. La vita va avanti in chi rimane e porta nel cuore il ricordo e il dolore; costui, scegliendo di continuare a vivere, mantiene in vita anche ciò che della persona scomparsa è presente dentro di lui. Ciò che quella persona gli ha lasciato vive nelle sue azioni, nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti.

Io non so se Dio esiste o no, ma anche se fosse solo una creazione dell’uomo, è bellissimo che tante persone nel mondo siano unite dal credere in qualcosa, dallo sperare forse un po’ infantile che lassù ci sia qualcuno ad ascoltarci e a proteggerci. La religione risponde anche al bisogno innato dell’uomo di avere sempre qualcuno pronto a confortarci con un caldo abbraccio ed un silenzio comprensivo, ed in questo senso è profondamente umana.

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Carla Del Ponte è nata in Svizzera 64 anni fa

Carla Del Ponte è nata in Svizzera 64 anni fa (digilander.libero.it)

“Ratko Mladic si nasconde in Serbia”. Ne è convinta Carla Del Ponte, procuratore del Tribunale internazionale de L’Aja sull’ex Jugoslavia dal 1999 al 2007. “Solo là può ancora godere della protezione dei tanti amici e sostenitori che ha”, ha detto al quotidiano serbo Dnevnik.

Capo di stato maggiore dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia durante la guerra, Mladic è accusato di genocidio: nel luglio 1995 diresse la strage di 8 mila musulmani nell’enclave bosniaca di Srebrenica. Da quindici anni è latitante, mentre il suo sodale Radovan Karadzic, comandante in capo delle stesse forze armate, è stato arrestato nel 2008 ed è sotto processo a L’Aja.

La cattura di Mladic, oltre a fare giustizia per i familiari delle vittime, avvicinerebbe la Serbia all’Unione europea: la Del Ponte si dice sicura della “vera volontà politica” di Belgrado di trovare il massacratore, ma pensa anche che il governo abbia “il problema di individuare il momento giusto”. Difficile dire se l’ex procuratore intenda “il momento giusto per riuscire a catturarlo” o “il momento giusto per avere vantaggi politici dalla cattura”.

Il massacratore di Srebrenica Ratko Mladic con la moglie Bosa durante la guerra (rts.rs)

C’è chi è certo del Paese in cui si trova Mladic, e chi è sicuro che sia morto: è il caso della moglie Bosa, che insiste nel chiedere alle autorità di dichiararlo deceduto per mettere le mani sulle sue proprietà e sulla sua pensione. “Se fosse vivo, si sarebbe messo in contatto con noi”, ha ribadito a inizio aprile la signora Mladic, arrestata nel giugno 2010 per possesso illecito di armi.

In realtà le probabilità che Mladic sia vivo sono molte, e Belgrado avrebbe tutto da guadagnare da una sua consegna al Tribunale de L’Aja. Certo, rimangono le resistenze degli ultranazionalisti, di chi protesta contro la “persecuzione” del generale, di chi lo protegge per fedeltà o opportunismo. Ma il governo serbo sa che deve superare questi ostacoli se vuole entrare in Europa. E ha tutti i mezzi per poterlo fare.

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