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Archive for luglio 2011

La polizia kosovara è stata inviata al confine per bloccare le merci serbe (albeu.com)

Sembrava andare tutto bene. Dopo Karadzic e Mladic, Belgrado è riuscita a catturare – e a consegnare al tribunale de L’Aja – anche Goran Hadzic, il terzo “pesce grosso” ricercato dai giudici olandesi. Se a questo si aggiunge il dialogo con il Kosovo, iniziato lo scorso marzo dopo tre anni di gelo, la strada della Serbia verso l’Unione europea sembrava spianata. Ma proprio quando gli ostacoli più grossi parevano superati, è arrivata la notizia che il presidente Boris Tadic non avrebbe mai voluto sentire: ci sono tensioni al confine tra Serbia e Kosovo.

Intorno alle dieci di ieri sera il governo di Pristina ha inviato l’unità speciale di polizia “Rosa” alla frontiera nord, per applicare il blocco delle merci provenienti dalla (ex) madrepatria, deciso la scorsa settimana. I militari si sono scontrati con i cittadini serbi, ancora in maggioranza nella parte settentrionale del Paese, che si sono riversati nelle strade per fermarli. Un poliziotto sarebbe rimasto colpito da una granata, altri tre avrebbero riportato ferite causate dal lancio di pietre. Difficile dire cosa sia accaduto davvero, ma una cosa è certa: il clima nella regione è peggiorato bruscamente, e Belgrado e Pristina rischiano di allontanarsi di nuovo.

Borislav Stefanovic, capo dei negoziatori serbi con Pristina: "Abbiamo sentito che la polizia kosovara ha sparato alla nostra gente" (politika.rs)

“Vigileremo al fine di evitare ogni violenza, ma non ci sarà alcun ritiro dei militari”, ha detto il ministro degli Interni kosovaro Bajram Rexhepi. “Ogni iniziativa unilaterale rischia di minare completamente il processo di dialogo tra Belgrado e Pristina”, ha avvertito il serbo Tadic. Dalla parte di Belgrado c’è anche Bruxelles: secondo un portavoce di Catherine Ashton, Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea “l’operazione compiuta dalle autorità kosovare non è utile e non si è consultata né con l’Ue, né con la comunità internazionale”.

La prima preoccupazione, naturalmente, riguarda le vite umane: le possibilità che la tensione degeneri in violenze pesanti non dovrebbero essere molte, ma il solo fatto che si torni a ipotizzare uno scontro fisico (oltre che diplomatico) tra serbi e kosovari è un grande passo indietro rispetto agli ultimi mesi. Dalla pacificazione tra Serbia e Kosovo non passa solo l’ingresso di Belgrado in Europa: la distensione favorita dal dialogo iniziato a marzo è di aiuto alla stabilità di tutta l’area balcanica. Che vive con ansia questo nuovo strappo nella (fragile) tela dell’ex Jugoslavia.

Fonti: TMNews, repubblica.it, agvnews.it

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Goran Hadzic, ricercato dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (lettera43.it)

I pezzi grossi erano Karadzic e Mladic. Ora resta da trovare Goran Hadzic. L’ex presidente della Repubblica serba di Krajina, autoproclamata in due zone della Croazia dal 1991 al 1995, è accusato dal Tribunale de L’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità. “Sono sicuro che presto sarà arrestato”, ha detto qualche giorno fa Rasim Ljajic, ufficiale di collegamento del governo di Belgrado con i giudici olandesi. Un entusiasmo subito spento da Bruno Vekaric, portavoce del Tribunale serbo sui crimini di guerra: “Non ho informazioni sull’arresto di Hadzic. Al contrario, ho informazioni sul fatto che non è stato catturato”.

Hadzic, 53 anni a settembre, avrebbe partecipato da protagonista alla strage di Vukovar del 20 novembre 1991, quando i serbi uccisero 261 persone con un colpo alla nuca e le seppellirono in una discarica. Il massacro arrivò alla fine di un assedio iniziato quasi tre mesi prima, il 24 agosto. Terminata la guerra, Hadzic si stabilì a Novi Sad, in Serbia, dove è rimasto fino al 2004, quando il Tribunale internazionale ha spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti. Da allora è cominciata la latitanza, durante la quale Belgrado ha alzato la taglia su di lui da 300mila euro a un milione.

Il presidente serbo Boris Tadic in visita a Sarajevo lo scorso 6 luglio (vocedellaserbia.it)

“Finora, tutte le forze erano concentrate sulle ricerche di Mladic e Karadzic”, ha spiegato Ljajic. “Sono sicuro che questo sia un caso molto più semplice, e che presto anche Hadzic sarà consegnato al Tribunale de L’Aja”. Immediata la risposta di Vekaric: “Ho verificato io stesso, e mi hanno detto che non è stato arrestato”. Secco il commento del capo della polizia Milorad Veljovic: “Se ci saranno novità al riguardo, si sapranno”. Un paio di settimane fa a parlare di Hadzic era stato il presidente Boris Tadic, in visita a Sarajevo: “La Serbia adempierà i propri obblighi con il Tribunale de L’Aja, arrestando il latitante che ancora manca”.

Nessuno può sapere quanto ci vorrà a trovare Hadzic. Di sicuro, l’Unione europea tiene alla sua cattura molto meno di quanto teneva a quella di Karadzic e Mladic. Arrestarlo vorrebbe dire accelerare il cammino di Belgrado verso Bruxelles, ma la strada è comunque in discesa: l’ingresso nella Ue dovrebbe essere raggiunto in ogni caso, anche se Hadzic non venisse consegnato al tribunale olandese. Lo scoglio più grosso, ora, si chiama Kosovo. Ma anche i rapporti con la provincia ribelle stanno iniziando a normalizzarsi. E allora, se – come è certo – il 28° Stato dell’Unione sarà la Croazia, il 29° potrebbe essere la Serbia.

Fonti: TMNews, Bluewin, Ansa, Edizioni Oggi, Euronews, articolotre.com

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"Un altro Novecento", in libreria con Carocci al costo di 27 euro (aisseco.org)

Dopo il 1989 molti si erano illusi che il comunismo costituisse una parentesi storica, facilmente superabile attraverso programmi di privatizzazione dell’economia e democratizzazione della vita politica. La “deviazione” comunista, sommandosi alle specificità ereditate dal periodo 1919-45 (squilibri sociali, conflitti nazionali, instabilità politica), incise in modo assai più profondo di quanto immaginabile sulla mentalità collettiva e sulle strutture sociali dei paesi ex comunisti. Probabilmente la comune eredità di un passato scomodo che esita a passare costituisce l’unico, vero profondo legame che l’Unione Sovietica sia riuscita a creare con i suoi riluttanti satelliti.

Stefano Bottoni insegna Storia e istituzioni dell’Europa orientale all’Università di Bologna. Le parole qua sopra sono tratte dall’introduzione di “Un altro Novecento – L’Europa orientale dal 1919 a oggi”, appena pubblicato da Carocci. Un volume che cerca di ricostruire cosa è successo dopo la Prima guerra mondiale in un’area vastissima, che va dall’Estonia alla Moldavia. E che comprende anche l’ex Jugoslavia.

La tesi del libro è semplice: la storia dell’Europa in cui per decenni ha sventolato la bandiera comunista non si può spiegare solo guardando alla voce “nazionalismo”, che pure ha giocato un ruolo importante nelle vicende dell’Est. Per comprendere cosa è accaduto a partire dagli anni ’20 bisogna studiare gli “strati di memoria” che si sono sedimentati nella parte orientale del Vecchio continente durante l’ultimo secolo. Un’analisi applicabile in toto nei Balcani, dove le pulsioni populiste (su tutte, la volontà di creare la Grande Serbia) hanno soffiato sul vento delle guerre degli anni ’90, ma non ne sono state l’unica causa, e non possono bastare a spiegare la disgregazione dei Paesi governati da Tito per 35 anni.

Stefano Bottoni si è laureato a Bologna nel 2001, con una tesi sulle minoranze ungheresi nell'Europa centro-orientale (multikult.transindex.ro)

Nato a Bologna nel 1977, Bottoni collabora con l’Istituto di storia dell’Accademia ungherese delle Scienze. Per Carocci aveva già pubblicato il libro “Transilvania rossa. Il comunismo romeno e la questione nazionale (1944-1965)”. La sua grande passione, a giudicare dai tanti saggi e articoli scritti sull’argomento, sembra essere proprio l’area che comprende Ungheria e Romania. Il suo lavoro, però, può essere utile anche a chi è interessato ai Balcani, un (grande) frammento della fetta di Europa raccontata in “Un altro Novecento”.

Dei “riluttanti satelliti” dell’Unione Sovietica, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia era la più riluttante. Il regime balcanico, in rottura con Stalin già poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stato il più sui generis tra quelli comunisti dell’Europa orientale. Eppure i punti di contatto con le ex Repubbliche sovietiche ci sono, a partire da una situazione attuale di difficoltà economica e sociale, in gran parte eredità delle dittature rosse. Il libro di Bottoni può aiutarci a capire meglio affinità e differenze tra i “comunismi” a est di Trieste. E può far luce sui motivi della tragica dissoluzione dell’ex Jugoslavia.

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