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Archive for novembre 2012

La cosiddetta “Grande Albania” potrebbe avere più o meno questi confini (Wikipedia)

“Gli albanesi devono vivere tutti in una sola nazione”. Parole così sono un po’ inquietanti, alla luce dei conflitti balcanici degli anni ’90, e lo sono di più se arrivano dal capo di governo di Tirana, Sali Berisha. Il suo Paese in questi giorni celebra il 100° anniversario dell’indipendenza dall’impero ottomano, ma si festeggia anche fuori dai confini, a partire dal Kosovo (dove gli albanesi sono maggioranza) e dalla Macedonia (dove sono una minoranza consistente).

Dietro alla frase di Berisha sembra strisciare l’idea di “Grande Albania”, che richiama alla mente la “Grande Serbia”, una delle cause delle guerre di fine secolo. “Bisogna fare tutto il possibile per rendere trascurabili le frontiere”, ha detto pochi giorni fa il primo ministro albanese, leader di un partito di centrodestra da più di vent’anni. Ieri sera era a Skopje, la capitale macedone, insieme al suo omologo kosovaro Hashim Thaci. Di fronte a 20mila persone hanno celebrato il centenario dell’indipendenza di Tirana, con toni nazionalisti e discorsi privi di traduzione in altre lingue.

In Macedonia gli albanesi sono circa il 25% della popolazione, e la percentuale schizza al 90% in Kosovo. Minoranze importanti della stessa etnia sono presenti anche in Montenegro, Serbia e Grecia. Riunirle in un solo Paese è un’idea folle, e pare difficile che alle parole possano seguire i fatti. La retorica, però, può bastare ad aumentare la tensione sociale, oltre che a inseguire gli scopi politici di chi la usa. Chissà se Berisha vuole davvero la Grande Albania, o se vuole solo essere rieletto. L’anno prossimo ci saranno le parlamentari, e un po’ di nazionalismo può sempre servire.

FONTI: Ansa, Focus Information Agency, Agenzia Nova

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Mladen Markac e Ante Gotovina in uniforme (hkv.kr)

L’assoluzione dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac mina seriamente la credibilità del tribunale internazionale sull’ex Jugoslavia. Non lo dice un passante, né un ultranazionalista serbo, ma Carla Del Ponte, procuratore capo dello stesso tribunale dal ’99 al 2007. “La sentenza non è un atto di giustizia”, dice la donna che conduceva l’accusa contro l’ex dittatore di Belgrado, Slobodan Milosevic.

Venerdì scorso i giudici hanno ribaltato il verdetto di primo grado, che aveva condannato Gotovina e Markac rispettivamente a 24 e 18 anni per crimini contro l’umanità, e in particolare per la pulizia etnica nella Krajina, regione croata da cui le violenze avrebbero fatto fuggire almeno 150mila serbi. Del Ponte dice di non sapere perché quella sentenza è stata cancellata: su East Journal leggiamo che i magistrati avrebbero contestato la definizione di “pulizia etnica” applicata in primo grado, stabilendo che non ci sono prove per dire che siamo di fronte non a “normali” violenze di guerra, ma a un progetto mirato a eliminare i serbi dalla regione.

Accolti a Zagabria da diecimila persone in festa, Gotovina e Markac sono tornati in patria dopo anni di carcere, e il primo ha anche rilasciato un’intervista per invitare chi fuggì dalla Krajina a tornarci. Di sicuro in quella regione furono commessi crimini, di sicuro decine di migliaia di persone scapparono dalle loro case, e di sicuro i colpevoli andrebbero puniti. Forse il verdetto di appello risponde davvero a una logica “formale”, e per seguirla i giudici hanno commesso una colossale ingiustizia. O forse Gotovina e Markac non avevano un piano di pulizia etnica, e sono colpevoli di violenze simili a quelle di tutte le altre guerre. La sensazione è che gli sconfitti siano gli stessi di sempre, da Srebrenica, a Vukovar, alla Krajina: le vittime e i loro cari.

FONTI: Ansa, Osservatorio Balcani e Caucaso, East Journal

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I tre sfidanti delle presidenziali slovene: Borut Pahor, Danilo Turk e Milan Zver (france24.com)

Una sfida interna alla sinistra, che però sarà decisa dalla destra. Si prospetta così il ballottaggio delle presidenziali slovene del prossimo 2 dicembre. Al primo turno i più votati sono stati l’ex primo ministro Borut Pahor (40%) e il capo di Stato uscente Danilo Turk (36%), che era dato in testa dai sondaggi. Terzo l’eurodeputato Milan Zver, vicepresidente di un partito di centrodestra: il 24% degli elettori ha scelto lui, e il loro voto (o non voto) sarà decisivo fra tre settimane.

Pahor è stato a capo del governo dal novembre 2008 allo scorso febbraio. Da quindici anni è presidente dei Socialdemocratici, ora all’opposizione contro un esecutivo di centrodestra: la stessa area da cui spera di pescare voti per vincere il ballottaggio. Danilo Turk era ambasciatore all’Onu durante le guerre degli anni ’90, ed è diventato presidente nel 2007, quando ha stravinto il secondo turno con quasi il 70%. A far riflettere entrambi dovrebbe essere l’affluenza, ferma al 48%, dieci punti in meno di cinque anni fa.

Proprio cinque anni fa il Paese adottava l’euro, e come molti “colleghi di moneta” oggi è in forte difficoltà. Lo Stato meno toccato dai conflitti dello scorso decennio potrebbe dover chiedere aiuti internazionali, con le ormai note e pesanti conseguenze in termini di misure di austerità. Bolla immobiliare, banche pubbliche in perdita, tassi dei titoli di Stato troppo alti: ingredienti che rendono cupo lo scenario in cui si muoverà il prossimo presidente, e che spingono ad attendere soprattutto ciò che farà il governo, piuttosto che il risultato del voto di dicembre.

FONTI: atlasweb.it, Ansa

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“La scelta” è patrocinato da Amnesty Italia e dal Segretariato sociale Rai (balcanicaucaso.org)

Un autista che rischia la vita per salvare i suoi passeggeri. Un altro uomo che fa lo stesso per aiutare una perfetta sconosciuta. Un altro ancora che lo fa per il suo migliore amico. Sono alcune delle storie de “La scelta”, spettacolo teatrale portato in giro per l’Italia da Marco Cortesi e Mara Moschini. La scelta è quella di chi ha messo in gioco se stesso per aiutare gli altri, e lo ha fatto in un contesto terribile: la guerra jugoslava degli anni ’90.

Le vicende (vere) arrivano da Svetlana Broz, nipote del maresciallo Tito e cardiologa, che durante il conflitto prestò servizio medico volontario ai feriti. In mezzo a chi le raccontava cose atroci, Svetlana si accorse che c’erano anche – ed erano tante – persone che le riportavano storie positive, bellissime, esempi di umanità in mezzo alla violenza. Quelle decine di storie sono finite nel libro I giusti nel tempo del male (Edizioni Erickson), e alcune di esse sono state riprese dai due attori e trasformate in teatro.

I loro racconti fanno emozionare, e restano impressi. Due su tutti: il primo, che parla dell’autista (serbo) di un camion carico di musulmani in fuga da Srebrenica, nei giorni del massacro. I soldati suoi connazionali cercano di fermarlo, di convincere i passeggeri a scendere per ucciderli, ma lui resiste, sfonda i posti di blocco e riesce a portarli in salvo. L’altra storia che non può non commuovere ha come protagonista proprio un soldato, che potrebbe (e dovrebbe, secondo gli “ordini”) uccidere chi non appartiene alla sua stessa “etnia”. Durante un controllo su un autobus scopre che una persona ha una carta d’identità falsa, così come la sua nazionalità, ma invece di farla scendere e assassinarla tace, fa finta di niente. Se i suoi capi se ne fossero accorti, lo avrebbero ucciso.

Marco Cortesi è bravo, molto bravo, e ricorda un po’ – analogia banale, ma giusto per dare l’idea – i “celebri” Marco Paolini e Ascanio Celestini. Parole, parole, parole e una grande abilità nel disegnare immagini chiarissime nella mente di chi ascolta. Mara Moschini non è da meno: entra in scena dopo Marco e pian piano se la prende, arrivando a far commuovere e immedesimare. Vale la pena vederli e sentirli, senza dubbio. Il calendario dei prossimi spettacoli lo trovate qui.

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