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Archive for marzo 2013

Una moneta da 2 euro slovena (Wikipedia)

Una moneta da 2 euro slovena (Wikipedia)

Che la Slovenia possa dover chiedere aiuto all’Europa si sa da mesi, ma il caso Cipro ha fatto esplodere i timori su Lubiana. Come a Nicosia, nel Paese balcanico al centro delle preoccupazioni è il settore bancario, molto più piccolo di quello dell’isola mediterranea, ma comunque in forte sofferenza. Una situazione che spaventa in particolare anche l’Italia: le nostre banche sono molto più esposte nei confronti di quelle slovene (7 miliardi e 600 milioni) che di quelle cipriote (quasi un miliardo).

Un ottimo pezzo del Sole 24 Ore spiega bene lo stato dell’arte, guardando anche al passato. Dal ’92 al 2008 Lubiana è cresciuta mediamente del 5,5% annuo, a colpi di privatizzazioni post-socialiste. Poi le imprese privatizzate hanno iniziato a scaricare i loro problemi sulle banche. Negli anni in cui l’economia tirava gli istituti di credito hanno prestato somme importanti in particolare al settore immobiliare e a quello edile, che una volta scoppiata la crisi non sono riusciti a restituire tutto. Bolla immobiliare, quindi, che nel Paese si somma a una disoccupazione sopra il 13% e a un Pil che quest’anno dovrebbe calare del 3%. La Slovenia potrebbe essere il sesto Stato della zona euro a chiedere aiuto. In tutto i membri del “club” sono 17.

“Ce la possiamo fare da soli”, assicura il neo-primo ministro Alenka Bratusek, alla guida del governo da poche settimane. Il suo predecessore è stato sfiduciato dal parlamento dopo mesi di proteste di piazza contro la politica corrotta e le misure di austerità già approvate. Il “tour della troika” rischia di arricchirsi sempre di nuove tappe, e non pare proprio lasciarsi alle spalle una scia di successi. E se Cipro è riuscita a spaventare l’Europa e forse il mondo, che effetto avrebbe un caso-Slovenia?

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Lo stadio Maksimir di Zagabria (stadidelmondo.blogspot.com)

Lo stadio Maksimir di Zagabria può ospitare quasi 40mila tifosi (stadidelmondo.blogspot.com)

Sono passati quasi 18 anni dalla fine della guerra jugoslava. Serbi, croati e bosniaci si scontrarono in modo atroce, devastante. Tra i motivi del conflitto c’era anche il nazionalismo, oggi tutt’altro che morto nei Paesi balcanici. Anche per questo una partita di calcio può fare paura. Domani si gioca Croazia-Serbia. Qualificazioni ai Mondiali 2014. Zagabria guida il suo girone con 10 punti, Belgrado è terza con 4. Oltre al pallone, però, si pensa anche al passato. E si teme di vederlo riaffiorare.

Lo stadio che ospiterà la gara è il Maksimir. Lo stesso in cui il 13 maggio 1990 scoppiarono scontri che (almeno col senno di poi) facevano presagire le violenze degli anni successivi. Si giocava Dinamo Zagabria-Stella Rossa Belgrado, ma di quella partita non rimasero impresse le immagini di gol o parate. Resta una foto che ritrae Zvonimir Boban, futuro asso del Milan, mentre tira un calcio a un poliziotto. Oggi all’ingresso dello stadio c’è una scritta: “Qui cominciò la guerra”. Chissà se è vero.

Il direttore della polizia croata ha detto che se sugli spalti si canteranno cori xenofobi il match potrà essere sospeso o annullato. In tanti, compresi i servizi segreti di Zagabria e la polizia serba, lavorano da mesi per preparare l’evento. Domani sera, finita la gara, vorremmo sentir parlare di una vittoria che fa rimontare la Serbia, di una che galvanizza la Croazia, o magari di uno scialbo 0-0. Non di insulti, tafferugli, violenze. Anche perché a settembre si replicherà a Belgrado. Sperando di potersi concentrare solo sulla classifica del girone.

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Štefan Füle è commissario europeo per l'Allargamento dal 2010 (tap.info.tn)

Štefan Füle, commissario Ue per l’Allargamento. Ha lavorato anche all’Onu e alla Nato (tap.info.tn)

Stavolta l’Europa è intervenuta in ex Jugoslavia con successo. Grazie alla mediazione di Bruxelles l’opposizione socialdemocratica macedone è tornata in parlamento, dopo due mesi in cui era rimasta fuori per protesta. Nel mirino la finanziaria approvata a dicembre, e il metodo con cui il governo l’aveva fatta passare. I contestatori dicono di aver accettato di rientrare in aula perché hanno ottenuto garanzie che si andrà al voto anticipato: il partito di maggioranza, però, nega che sia stata fissata una data.

L’uomo che ha sbloccato la situazione è Štefan Füle. Commissario europeo per l’Allargamento dal 2010, viene da un Paese ex comunista, come la Macedonia: la Repubblica Ceca. L’estensione dell’Unione è un tema molto caldo per i Balcani, tra gli Stati in via di adesione (Croazia), quelli candidati (Macedonia, Montenegro, Serbia) e i candidati potenziali (Albania, Bosnia e Kosovo). Skopje ha ottenuto lo status di candidata potenziale nel 2003, e quello di candidata nel 2005: in questi otto anni non è riuscita a fare il salto successivo, quello che invece ha fatto Zagabria, e che è l’ultimo passo prima dell’ingresso ufficiale.

L’ammorbidimento del braccio di ferro tra governo e opposizione fa piacere e Bruxelles, che ha convinto i socialdemocratici anche a non boicottare le amministrative del 24 marzo, come avevano minacciato di fare se non fossero state accorpate alle politiche. Alla fine si andrà davvero al voto anticipato? Un primo segnale potrebbe arrivare proprio dalle elezioni locali. Se i socialdemocratici otterranno un buon risultato, potranno pretendere di andare alle urne anche a livello nazionale con maggior forza. Altrimenti il rischio è che la loro protesta perda peso. Per la gioia del governo di centrodestra.

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Thom Karremans, il comandante che guidava le truppe olandesi a Srebrenica (bilitimatlasi.com)

Thom Karremans, il comandante che guidava le truppe olandesi a Srebrenica, nel ’95 (bilitimatlasi.com)

Nel luglio 1995 a Srebrenica (Bosnia) morivano migliaia di musulmani, uccisi dai soldati serbi e non protetti dalle forze Onu. Alla guida dei caschi blu dei Paesi Bassi che dovevano difendere le vittime c’era il comandante Thom Karremans. Quasi 18 anni dopo, la magistratura della sua madrepatria ha confermato di non voler processare lui, né il suo vice Rob Franken, né l’ufficiale responsabile delle risorse umane del contingente, Berend Oosterveen.

Secondo la Procura di Stato i tre non possono essere considerati responsabili penalmente per non aver evitato la strage. Già nel ‘98 i pubblici ministeri dei Paesi Bassi decisero di non denunciare le proprie truppe. L’avvocato delle famiglie delle vittime dice di voler portare il caso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, a Strasburgo. Lo scorso luglio il segretario Onu Ban Ki-moon ha ammesso – e ci mancherebbe – che la comunità internazionale non riuscì a proteggere adeguatamente le persone che furono uccise. A ottobre le vedove degli uomini che morirono hanno fatto causa alle Nazioni Unite e ai Paesi Bassi proprio davanti alla Corte europea.

Nel suo libro Le guerre jugoslave, lo storico Jože Pirjevec ricorda che durante l’avanzata dei serbi su Srebrenica, Karremans chiese più volte l’intervento aereo della Nato, ma “il meccanismo che regolava le comunicazioni nell’ambito dell’apparato burocratico delle Nazioni Unite era talmente inceppato, da impedire ai loro rappresentanti più qualificati di rendersi conto appieno della gravità di quel che stava accadendo”. Quando finalmente i raid aerei iniziarono, il generale serbo Mladić minacciò ritorsioni contro i militari dei Paesi Bassi, e il loro ministro della Difesa intervenne – con successo – per fermare i bombardamenti appena cominciati.

Alla fine i soldati serbi entrarono in città, dopo che Mladić aveva assicurato a Karremans che donne, anziani e bambini sarebbero stati evacuati. Fu così che il massacrò poté iniziare. Un militare dei Paesi Bassi raccontò: “La stagione di caccia è al culmine… presi a bersaglio non sono solo gli uomini al servizio del governo bosniaco… ma anche donne, pure quelle incinte, bambini e vecchi… Su alcuni si spara o li si ferisce, ad altri vengono tagliate le orecchie e alcune donne sono state stuprate”. Difficile scrivere altro.

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