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Archive for Maggio 2013

La squadra di calcio macedone del Teteks dopo la vittoria in Coppa (uefa.com)

La squadra di calcio macedone del Teteks dopo la vittoria della Coppa nazionale (uefa.com)

È retrocesso, ma il prossimo anno potrà giocare in Europa. L’FK Teteks, squadra di calcio della terza città macedone, ha vinto la coppa nazionale una settimana dopo aver perso il posto nella massima serie. Un’impresa che ricorda quella del Wigan, avvenuta poche settimane prima in Inghilterra.

Il comune di Tetovo confina il Kosovo, e ha circa 100mila abitanti. Qui è nato Blerim Dzemaili, centrocampista del Napoli ma non della Nazionale macedone: gioca per la Svizzera, dove ha vissuto da quando aveva 4 anni. L’FK Teteks è stato fondato nel ’53, quarant’anni prima del riconoscimento Onu del Paese come Stato indipendente. Ancora oggi, come alle origini, è di proprietà di un’azienda tessile. Nella sua storia ha vinto 4 campionati della Macedonia jugoslava (l’ultimo nel 1985) e due coppe in quella post-guerra.

Il primo successo risale al 2009. Il secondo a due giorni fa. La finale era un derby cittadino: il Teteks ha pareggiato 1-1 contro lo Shkendija, vincitore del campionato nel 2011. Ai rigori l’FK ha avuto la meglio 6-5, e ha battuto i “cugini” per la terza volta in questa stagione, dato che li aveva già sconfitti in due gare di campionato. “Siamo il Wigan macedone”, esulta l’allenatore Gorazd Mihailov. Parla del club che l’11 maggio ha vinto la coppa d’Inghilterra, e tre giorni dopo è retrocesso in campionato.

Del calcio macedone si parla poco, perché perdente nelle competizioni internazionali e con poche stelle in giro per il mondo. La Nazionale non si è mai qualificata né ai Mondiali né agli Europei, e ha il suo unico uomo di spicco in Goran Pandev, attaccante anche lui del Napoli. Il club più titolato è il Vardar della capitale Skopje: 6 campionati e 5 coppe macedoni, ma nessun risultato significativo all’estero. In questo senso il piccolo Teteks è riuscito a far meglio, attirando su di sé i riflettori del calcio europeo.

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La compagnia di bandiera slovena Adria Airways dovrebbe essere privatizzata (www.diplomatic-corporate-services.si)

La compagnia di bandiera slovena dovrebbe esser venduta (www.diplomatic-corporate-services.si)

Prima che Bruxelles imponga l’austerità alla Slovenia, Lubiana ha deciso di metterla in pratica da sola. Da mesi il Paese è osservato con attenzione dall’Unione europea, per problemi già visti altrove: bolla immobiliare, aumento dei tassi dei titoli di Stato e soprattutto banche dissestate. Da mesi si parla del fatto che il governo possa essere costretto a chiedere aiuti internazionali. A febbraio l’esecutivo è caduto, e se ne insediato un altro guidato da Alenka Bratusek, tecnocrate del ministero delle Finanze passata alla guida di un partito di centrosinistra.

La ricetta per fare “da soli” è anch’essa già sentita: creazione di una bad bank, ricapitalizzazione degli istituti di credito, riduzione degli stipendi pubblici, privatizzazioni, aumento dell’Iva, taglio della spesa sociale. Se problemi e soluzioni proposte sono gli stessi di altri Paesi europei, non si vede perché i risultati dovrebbero essere diversi, e quindi verrebbe da essere pessimisti. A rafforzare l’impressione c’è una previsione della Commissione Ue: secondo Bruxelles nel 2014 gli unici Stati della zona euro in cui il pil scenderà saranno Cipro e Slovenia. Il caso dell’isola mediterranea è stato accostato più volte a quello di Lubiana, che naturalmente smentisce, assicurando di potercela fare con le sue forze. Quello che sembra voler mettere in atto è un “auto-commissariamento” che ricorda un po’ quello realizzato da Monti in Italia, quando subentrò a Berlusconi, per evitare di dover di chiedere sostegno all’Europa. E il pessimismo si conferma se pensiamo alla difficile situazione economica e sociale in cui si trova oggi il nostro Paese.

Per ricapitalizzare le banche potrebbero servire 900 milioni. Dal taglio dei salari pubblici potrebbero arrivarne 240. Poi ci sono quelli attesi dalla vendita di aziende come Telecom Slovenia e la compagnia di bandiera Adria Airways. “Tenere in ordine i conti e rilanciare la crescita”, dice il primo ministro, e di nuovo suonano come parole ripetute mille volte, per ultimo da Enrico Letta in Italia poche ore fa. Nelle prossime ci sarà un vertice europeo, e a giugno ne è previsto un altro, che dovrebbe essere più importante sul piano della crisi e di come affrontarla. Molti dicono che se non si decide un allentamento del rigore in quelle sedi, non cambierà nulla. E governi come quello di Lubiana continueranno a imporsi, o a farsi imporre, cure di efficacia molto dubbia.

FONTI: Corriere della Sera, La Repubblica, Euronews

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Amfilohije Radovic, metropolita del Montenegro, è molto duro con il governo serbo (blog.b92.net)

Amfilohije Radovic, metropolita del Montenegro, è molto duro con il governo serbo (blog.b92.net)

Il governo di Belgrado fatica a far digerire a tutti l’accordo di aprile sul Kosovo. I più arrabbiati sembrano essere i serbi che vivono nel nord della provincia ribelle, ma l’opposizione arriva anche da altrove: più che dalla politica dalla Chiesa ortodossa, che con alcuni suoi rappresentanti è scesa in piazza per protestare accanto agli ultranazionalisti.

Qualche giorno fa il vice-primo ministro di Belgrado Aleksandar Vucic è andato a Mitrovica, la città del nord Kosovo divisa metà tra serbi e albanesi. L’obiettivo era cercare di convincere i connazionali della bontà dell’accordo europeo, ma i risultati sembrano essere stati scarsi. L’intesa concede autonomia alle municipalità kosovare a maggioranza serba, ma prevede anche che Belgrado smantelli le sue strutture di polizia nella regione, e in sostanza che faccia un passo indietro nelle sue pretese di controllo.

Il malumore dei serbi kosovari che si sentono abbandonati e quello di una parte della società della madrepatria ha trovato sfogo in una manifestazione a Belgrado, dove a fare notizia sono stati soprattutto due vescovi. Il primo, ormai in pensione, ha accostato il comportamento del capo del governo Dacic a quello del suo predecessore Dindic, ucciso nel 2003: “Sappiamo tutti che fine ha fatto”, ha sibilato. Il secondo, metropolita e quindi di rango superiore anche a quello degli arcivescovi, ha invitato a pregare per la “sepoltura del governo”.

Il patriarca Irinej, capo della Chiesa ortodossa serba, ha sottolineato che i due hanno parlato a titolo personale, ma non ha condannato le loro affermazioni. Mentre il governo dialoga con Bruxelles, l’interventismo ecclesiastico sembra volersene allontanare, mentre i deputati serbi del Kosovo nord chiedono aiuto allo storico protettore di Belgrado: la Russia, a cui hanno scritto una lettera aperta. L’immagine potrebbe essere quella di un bivio: da una parte l’Unione europea, dall’altra la “vecchia” Serbia, vicina a Mosca e all’ideologia patriottica. La meta attuale è la prima, ma chi spinge nell’altra direzione non sembra disposto a cambiare strada.

FONTI: Ansa, East Journal, Osservatorio Balcani e Caucaso, TMNews

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Filip Vujanovic e Milo Djukanovic, presidente e primo ministro del Montenegro (vesti-online.com)

In Montenegro Milo Djukanovic continua a dettare legge. Le presidenziali di aprile sono state vinte dal suo compagno di partito Filip Vujanovic, sia pure di poco e in modo molto contestato dallo sfidante. I quasi 700mila abitanti del Paese restano all’ombra di un sistema di potere che dura da decenni, e che punta a accompagnarli nell’Unione europea.

Vujanovic ha quasi 60 anni, ed è il capo dello Stato da 10: prima del Montenegro ancora annesso alla Serbia, poi – dal 2006 – di quello indipendente. Ancora più indietro bisogna andare per riassumere i successi politici del suo alleato Djukanovic, già primo ministro dal ’91 al ’98, poi presidente fino al 2002 e di nuovo capo del governo per tre volte: 2003-2006, 2008-10 e infine oggi, dalle elezioni dello scorso ottobre.

A minacciare questa catena c’era Miodrag Lekic, uomo dell’opposizione ed ex ambasciatore del dittatore serbo Milosevic. Voleva prendere il posto di Vujanovic, che lo ha battuto con poco più del 51%, contro il 48,8%. Un risultato molto discusso: i candidati si sono accusati a vicenda di brogli. Secondo osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa il voto si è tenuto “per la maggior parte” nel rispetto degli standard internazionali. Lekic ha portato migliaia di persone in piazza, ma non c’è stato nulla da fare: il nuovo (vecchio) presidente è Vujanovic.

Il Montenegro è uno dei 5 Stati candidati a entrare nella Ue, e uno dei tre che facevano parte della Jugoslavia. Il cammino verso Bruxelles è ostacolato da corruzione, problemi di libertà di stampa, criminalità organizzata: questioni irrisolte dopo decenni di dominio di Djukanovic. Con queste elezioni “un po’ di cambiamento” è comunque arrivato, scrive Matteo Tacconi di Osservatorio Balcani. Speriamo che abbia ragione.

FONTI: La Stampa, East Journal, Ansa

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