
La cattedrale della Resurrezione di Cristo a Podgorica (foto Tony Bowden, http://bit.ly/1iavpZ2)
Un Paese in cui i gay non possono manifestare senza essere aggrediti, i giornalisti rischiano di subire violenze e le autorità non fanno abbastanza contro la criminalità. Parliamo del Montenegro, candidato a entrare nell’Unione europea: i problemi del piccolo Stato balcanico sono presenti anche in altre ex repubbliche jugoslave, ma a Podgorica e dintorni sembrano essere più preoccupanti.
I primi fatti risalgono allo scorso anno. A luglio ci fu il primo pride della storia montenegrina: nella cittadina costiera di Budva arrivò una quarantina di manifestanti, e circa 200 persone provarono ad aggredirli con slogan tipo “uccidiamo gli omosessuali”. A ottobre la scena si è ripetuta nella capitale, con scontri tra polizia e omofobi e una ventina di arresti. Secondo un sondaggio Ipsos, la maggioranza della popolazione pensa che i gay siano malati.
Secondo capitolo: la libertà di stampa. La classifica 2013 di Reporter senza frontiere metteva il Paese al 113° posto, in penultima posizione tra quelli ex-jugoslavi, davanti solo alla Macedonia. Poche settimane fa una giornalista del quotidiano Dan è stata picchiata per strada da uomini incappucciati. Nel 2004 il direttore di quel giornale fu assassinato. Poco prima dello scorso Capodanno un ordigno è esploso davanti all’ufficio del caporedattore del giornale Vijesti. Pestaggi e aggressioni di altro tipo, secondo la giornalista dello stesso gruppo Aida Ramusovic, colpiscono sempre i media indipendenti, mai quelli che appoggiano i potenti.
In Montenegro la politica nazionale ha innanzitutto una faccia: quella di Milo Djukanovic, da oltre un anno primo ministro per la quarta volta, presidente dal 1998 al 2002. Sotto il suo governo il Paese “è stato il paradiso dei traffici illeciti, offrendo impunità ai malavitosi e la scorta garantita alle merci illecitamente trafficate”: il virgolettato è di un giudice del tribunale di Bari, ed è contenuto in una sentenza di assoluzione per un uomo d’affari serbo. Nei giorni scorsi un membro della commissione parlamentare per la sicurezza ha denunciato una simbiosi “delle istituzioni statali con la criminalità organizzata”. Parole che dovrebbero far pensare i politici di Bruxelles.