
La città serba di Vranje, dove sta nascendo una fabbrica Geox (foto Christopher Robbins, http://bit.ly/1jpMrk5)
La Serbia continua a “rubare lavoro” all’Italia. L’ultima delocalizzazione è forse la più clamorosa: un call center di Milano che chiude per riaprire oltreconfine. Il motivo è lo stesso di sempre: il costo del lavoro. Un operatore balcanico prenderebbe 400 euro, un terzo del suo corrispettivo nel nostro Paese.
La Sitel è una multinazionale presente in 23 Stati. Da maggio a dicembre i 200 addetti della sede italiana sono stati in cassa integrazione a rotazione. Poi, nelle scorse settimane, i licenziamenti. La filiale milanese aveva aperto una decina di anni fa. Finora a fare notizia erano stati soprattutto i casi legati a imprese italiane, come Fiat e Golden Lady. Ora ad abbandonarci è un gruppo straniero, privandoci di un simbolo della precarietà contemporanea – il call center – che era diventato un punto cardine delle vite di chi ci lavorava.
Fiat e Golden Lady, si diceva. Pochi giorni fa la prima si è accordata con l’ente turistico di Belgrado per organizzare visite guidate alla fabbrica di Kragujevac. A inizio mese per 58 ex operaie dell’azienda produttrice di calze è finita la cassa integrazione. Ora dovrebbero avere l’indennità di mobilità. II loro problemi nascono dalla scelta di trasferire l’attività nel Paese balcanico: una decisione maturata nel 2010. In questi anni non si è ancora riusciti a sistemare queste persone.
Anche i veneti di Geox hanno annunciato investimenti in Serbia: un anno e mezzo fa si sono accordati con le autorità di Belgrado per aprire uno stabilimento a Vranje, nel sud del Paese. La costruzione dell’edificio è cominciata a inizio marzo. La produzione dovrebbe andare a regime nel 2015, dando lavoro a circa 1.250 persone. Ma quanti posti sono spariti in Italia per colpa di queste operazioni?