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Archive for giugno 2014

In basso a destra, il rigore inventato ottenuto dal Brasile contro la Croazia (Vincent Desplanche, http://bit.ly/R7HqWA)

In basso a destra, il rigore inventato ottenuto dal Brasile con la Croazia (Vincent Desplanche, http://bit.ly/R7HqWA)

Fuori al primo turno. Le due nazionali ex-jugoslave impegnate ai Mondiali brasiliane potevano fare di più. Entrambe si sono piazzate terze nel proprio girone, ma per qualificarsi agli ottavi dovevano arrivare almeno seconde. La Bosnia non ce l’ha fatta per un punto; la Croazia per ben 4. Qualcosa di positivo da riportare a Sarajevo e Zagabria, comunque, c’è.

Per i bosniaci era la prima volta nella massima competizione globale. Finora non erano mai riusciti a disputare neppure la fase finale di un campionato europeo. L’esordio è stato buono sul piano del gioco, ma non su quello del risultato: sconfitti 2-1 dall’Argentina, che ha dominato il gruppo F vincendo tutte le partite. La gara decisiva è stata la seconda con la Nigeria. Gli africani hanno vinto 1-0, ma sul match pende l’ombra di un gol regolare annullato a Dzeko. A questo si aggiunge una foto scattata a fine partita che ritrae l’arbitro abbracciato al portiere avversario, e che ha fatto raccogliere decine di migliaia di firme bosniache per chiedere la cacciata del fischietto dal torneo. Il Mondiale brasiliano, in ogni caso, aveva ancora qualcosa da regalare a Sarajevo: la prima vittoria della Bosnia, che ha battuto 3-1 l’Iran. Questo nonostante alla squadra di Teheran non mancassero le motivazioni: se avesse avuto la meglio avrebbe potuto passare agli ottavi.

La Croazia era arrivata in Sudamerica con una storia ben diversa alle spalle. Il precedente più illustre risale al 1998, tre anni dopo la fine della guerra, quando i calciatori con la maglia a scacchi biancorossi arrivarono terzi. Oltre a quel risultato vale la pena ricordare anche i quarti degli Europei raggiunti nel 1996 e nel 2008. Stavolta è andata male, anche se la prima gara aveva fatto ben sperare. Ai giocatori di Zagabria è toccato sfidare i padroni di casa nel match inaugurale, e pure segnare il primo gol del Mondiale (per la verità un’autorete). Il Brasile non ha impressionato e forse non avrebbe vinto se sull’1-1 non gli fosse stato assegnato un rigore inesistente. Poi i croati hanno asfaltato il Camerun 4-0, e si sono giocati la qualificazione nell’ultima partita col Messico: sconfitti 3-1, con tre gol presi nei venti minuti finali. Che la squadra centramericana fosse più che dignitosa lo hanno confermato gli ottavi con l’Olanda, che ha avuto la meglio con grande fatica. Ai team balcanici ora non resta che sperare in Euro 2016.

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Copia e incolla, pratica diffusa. Ma non sempre corretta (foto Gustavo Martinez, http://bit.ly/1m88Mqa)

Copia e incolla, pratica diffusa. Ma non sempre corretta (foto Gustavo Martinez, http://bit.ly/1m88Mqa)

Non è la prima volta che un politico è accusato di aver barato su un titolo di studio. Il caso del ministro dell’Interno serbo, però, non è solo questo. Si parla di consuetudine che va oltre la singola vicenda, corrodendo parte del sistema accademico balcanico, e di censura sullo scandalo da parte delle autorità.

Nebojsa Stefanovic ha conseguito un dottorato l’anno scorso all’ateneo privato Megatrend. Un gruppo di studiosi dice che la sua tesi non aveva peso scientifico e presentava diversi plagi. Il ministro nega tutto, ma finora non pare essere riuscito a portare prove inoppugnabili della sua innocenza. Nel mirino non c’è solo lui: il suo relatore – e rettore dell’università – viene accusato di non aver mai ottenuto un dottorato che sostiene di aver portato a termine in Gran Bretagna. Anche il professore smentisce, ma fa un passo indietro, lasciando la guida dell’ateneo.

Fin qui una storia come altre. Il punto però è che gli accademici che hanno scoperchiato la pentola dicono di averlo fatto per denunciare un problema diffuso: atti illegali compiuti da politici serbi per assicurarsi titoli di studio. I professori dicono che continueranno a esaminare altri casi, per portare alla luce nuove frodi. Chissà se il loro sguardo si allargherà oltre i confini del Paese: Florian Bieber, docente di Studi del Sud-est Europa all’università di Graz, ha censito gli atenei balcanici privati con i nomi più strani. Uno si trova a Tirana e ha una certa fama in Italia: la Krystal di Renzo Bossi.

Infine la censura. Poche ore dopo la pubblicazione dell’indagine sul ministro serbo, il sito che aveva dato la notizia è diventato inaccessibile. I gestori dicono di aver subìto un attacco. Episodi simili si sarebbero verificati in occasione delle alluvioni che hanno devastato il Paese a maggio, quando tre persone sono state arrestate con l’accusa di aver seminato il panico sui social network e diversi blog critici verso le autorità sono stati hackerati. Su vicende come queste dovrebbe vigilare anche l’Unione europea, che presto potrebbe accogliere Belgrado.

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Volontari della Croce Verde Adria impegnati in Bosnia e Serbia (foto Nazionale Anpas, http://bit.ly/1jpMrk5)

Volontari della Croce Verde Adria impegnati in Bosnia e Serbia (foto Nazionale Anpas, http://bit.ly/1jpMrk5)

Ormai la fase dell’emergenza è quasi totalmente finita. In Bosnia solo alcune aree sono ancora invase dall’acqua, dopo le alluvioni che hanno colpito la regione circa tre settimane fa. Ora si contano i morti e i danni, si inizia a ricostruire, e ci si chiede se ci siano responsabilità umane per ciò che è successo. Anzi, più precisamente: responsabilità politiche.

Le vittime sono decine, come si era già capito nelle scorse settimane. I danni sono stimati in una cifra superiore al miliardo, forse due. L’area allagata sarebbe quasi metà del Paese, ma in quelle zone si genererebbe il 75% del pil. Insomma, come se in Italia piogge devastanti avessero colpito le fabbriche del centronord, delle regioni più sviluppate. Sarebbe un problema, anche alla luce della crisi che attraversa la penisola; a maggior ragione lo è in Bosnia, Stato tra i più poveri dell’ex Jugoslavia, con una disoccupazione che potrebbe essere tripla rispetto alla nostra.

Poi ci sono le polemiche. Il presidente della Repubblica Srpska, una delle entità in cui è diviso il Paese, sembra aver usato la situazione per ribadire le sue pretese autonomiste, rifiutando di collaborare con il centro di coordinamento dei soccorsi istituito a livello nazionale. In una municipalità devastata, e guidata da un sindaco dell’opposizione, il governo della RS ha nominato commissario un ex generale indagato per crimini contro l’umanità. A Sarajevo l’ex responsabile della Sicurezza ha portato in tribunale il primo ministro, rimproverandogli di aver tolto fondi alla prevenzione delle catastrofi.

Anche la gestione degli aiuti internazionali non è stata efficiente, tanto che i primi finanziamenti importanti potrebbero arrivare solo dopo l’estate. La classe politica bosniaca, messa sotto accusa nei mesi scorsi da proteste di piazza, non pare aver fatto molto per migliorare la sua reputazione. E il Paese fa i conti un’altra enorme tragedia, a cent’anni dallo scoppio della prima guerra mondiale e a quasi venti dalla fine del conflitto degli anni ’90.

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Una moschea in Kosovo (foto gardnergp, http://bit.ly/1kuY8rA)

Una moschea in Kosovo (foto gardnergp, http://bit.ly/1kuY8rA)

Tra pochi giorni il Kosovo vota per le elezioni politiche. Paradossalmente l’attenzione internazionale sembrava maggiore alle ultime amministrative, perché erano la prima consultazione dopo l’accordo europeo Pristina-Belgrado. Domenica si andrà alle urne per lo scioglimento anticipato del parlamento, e molti occhi restano puntati sulla minoranza serba.

I cittadini che ne fanno parte dovrebbero andare a votare, senza grosse operazioni di boicottaggio. Se sarà così, sarà una conferma del miglioramento del clima tra Serbia e Kosovo, di cui la prima però continua a non riconoscere l’indipendenza. Il ministro degli Esteri di Belgrado accusa Pristina di abusare dell’intesa raggiunta l’anno scorso a Bruxelles, parlando di mancato rispetto della promessa di unire i comuni serbi della regione in una comunità autonoma. Schermaglie diplomatiche o problemi di sostanza destinati a riaccendere lo scontro?

Il politico serbo-kosovaro Slobodan Petrovic dice che se l’affluenza sarà alta, la coalizione dei maggiori partiti che rappresentano la minoranza potrebbe conquistare 20 seggi su 120. Una compagine capace di creare problemi alla nuova maggioranza. Il motivo (o il pretesto) che ha spinto quella uscente a mollare è l’incapacità di approvare la costituzione di un esercito regolare, ancora assente a oltre sei anni dalla dichiarazione d’indipendenza. Gli ultimi atti della legislatura appena finita sono stati l’ok al proseguimento della missione europea in Kosovo e l’istituzione di un tribunale speciale su crimini di guerra e traffico d’organi.

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