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Archive for luglio 2014

Il museo archeologico di Skopje, Macedonia (foto Dennis Jarvis, http://bit.ly/1o0kLtT)

Il museo archeologico di Skopje, capitale macedone (foto Dennis Jarvis, http://bit.ly/1o0kLtT)

Una democrazia debole con forti divisioni etniche e che “promette” vantaggi da paradiso fiscale e il divieto costituzionale di istituire i matrimoni gay. È il ritratto della Macedonia che emerge dalle notizie delle ultime settimane, con accuse pesanti mosse al Paese da due importanti organizzazioni internazionali: OSCE e Freedom House.

Iniziamo da quest’ultima, ong statunitense che ogni anno mette a punto un rapporto sullo stato di salute della democrazia nel mondo. Poche settimane fa ha declassato quella di Skopje da “semi-consolidata” a “di transizione o regime ibrido”. Si parla di aumento della corruzione e diminuzione dell’indipendenza dei media. Ancora più recente il report dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che denuncia la “polarizzazione etnica” tra i macedoni in senso stretto e quelli di etnia albanese (che sono circa il 25%).

Dodici anni fa le forze regolari combatterono alcuni mesi l’Esercito di Liberazione Nazionale, un gruppo militare che avrebbe voluto la creazione della cosiddetta Grande Albania. Oggi la situazione è diversa, ma la convivenza non è facile. A inizio mese migliaia di persone sono scese in piazza contro la condanna di sei concittadini di etnia albanese per l’omicidio di cinque “macedoni macedoni”. Ci sono stati arresti, feriti e la polizia ha usato lacrimogeni e getti d’acqua. A maggio erano stati manifestanti dell’altra componente a scontrarsi con gli agenti, dopo un altro omicidio commesso da una persona di etnia albanese.

Questo mentre il parlamento approva modifiche costituzionali per consentire la nascita di zone “tax free”, sostenuto dal governo di destra confermato pochi mesi fa alle elezioni. Al possibile aumento di spazi per gli evasori si accompagna l’ipotesi di ridurre quelli per gli omosessuali: l’assemblea nazionale di Skopje si è espressa a favore dell’inserimento in Costituzione della definizione di matrimonio come “unione tra uomo e donna”. La stessa cosa è passata l’anno scorso con un referendum in Croazia, che però pochi giorni fa ha approvato una legge che riconosce le unioni civili.

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Il ministro degli Esteri austriaco, l'ex responsabile delle Finanze serbo e il capo del governo di Belgrado (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro degli Esteri austriaco, l’ex responsabile Finanze serbo e il suo primo ministro (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro delle Finanze serbo si è dimesso perché non gli hanno permesso di tagliare le pensioni del 20% e gli stipendi pubblici del 15%. Questa, almeno, è la versione ufficiale: Lazar Krstic lascia nemmeno un anno dopo aver preso possesso dell’incarico. Il suo successore ha già detto di voler procedere a una sforbiciata del 10% su entrambe le voci che il predecessore voleva aggredire. Un modo per rassicurare i mercati, ma non è chiaro se e quanto il governo rallenterà sulla strada dell’austerità.

A gennaio Belgrado ha iniziato i negoziati di adesione all’Unione europea. Il suo debito pubblico sta salendo: secondo la banca centrale nazionale ora è al 65% del pil. In Italia, sia detto per inciso, questa percentuale è più che doppia. In ogni caso, tanto per cambiare, le istituzioni internazionali sembrano spingere il Paese balcanico a tagliare quanto più possibile, e Krstic diceva di volersi muovere in questa direzione. A frenarlo sarebbe stato il capo del governo Aleksandar Vucic, che ora dovrà fare a meno del giovanissimo ex-ministro, appena trentenne.

Tra i “sogni” del politico dimissionario c’era anche il licenziamento di almeno 160mila dei 700mila dipendenti pubblici nel giro di due anni. A questo punto forse non succederà, ma per i serbi potrebbero comunque profilarsi tempi duri: in autunno è atteso l’inizio di negoziati per ottenere un prestito dal Fondo Monetario Internazionale. “Il primo ministro ha un cuore troppo tenero”, ha detto Krstic in conferenza stampa. Una frase che sembra avvertire i cittadini: la mazzata rischia di essere solo rinviata.

Belgrado deve anche fare i conti con i danni delle recenti alluvioni (si parla di quasi due miliardi), e con un alto tasso di disoccupazione. La crisi, insomma, è di casa proprio come in Slovenia e Croazia, i due Stati ex-jugoslavi che sono già entrati nell’Unione europea. In questi giorni a Bruxelles si insedia la nuova commissione, che sarà ancora guidata da un uomo di centrodestra. Difficile che la linea del rigore si ammorbidisca molto, dando respiro ai Paesi membri della Ue e a quelli che aspirano a farne parte.

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Il parlamento sloveno (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Il parlamento sloveno, costruito negli anni ’50 (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Domenica prossima gli sloveni saranno chiamati al voto per le politiche. Tutti i sondaggi danno in vantaggio il giurista Milo Cerar, che ha appena fondato un partito di centrosinistra. Le europee di fine maggio, però, sono state vinte dalla fazione opposta, e in particolare dalla formazione di Janez Jansa, ex capo del governo finito in carcere a giugno.

La storia recente di Lubiana somiglia a quella di Roma, almeno apparentemente. Parliamo di crisi economica, voci sulla possibile richiesta di aiuti internazionali (più insistenti nell’ex Paese jugoslavo che non in Italia), opinione pubblica irritata dalla corruzione politica, governi che durano appena un anno. L’ultimo a cadere è stato quello di Alenka Bratusek, prima donna a guidare la Slovenia, abbattuta da una faida interna al suo centrosinistra.

Forse è per questo che il voto comunitario ha premiato la destra di Jansa, nonostante i problemi giudiziari del suo leader. Condannato a due anni per corruzione, un paio di settimane fa è finito nello stesso carcere in cui era dovuto entrare a fine anni ’80: allora però il motivo era il possesso di un documento riservato, fatto sgradito al regime comunista. Secondo diversi sondaggi al momento il partito di Jansa sarebbe tra il 13 e il 15%, secondo dopo il 15-19% di Cerar. Tutti gli altri sarebbero sotto il 10%.

L’esito delle elezioni sembra comunque una grossa incognita, legata anche all’astensionismo: alle europee ha votato solo uno su quattro tra gli aventi diritto. La politica slovena pare messa male, come l’economia, e il prossimo primo ministro dovrà lavorare duro se vorrà cambiare davvero le cose. Per ora l’impressione è quella di un circolo vizioso: l’uomo che ha tolto la sedia a Bratusek, Zoran Jankovic, era tra i bersagli dei cortei anti-corruzione a cavallo tra fine 2012 e inizio 2013.

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