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Archive for agosto 2014

Faldoni della commissione internazionale per le persone scomparse (foto Julia Dowling, http://bit.ly/1jpMrk5)

Faldoni della commissione internazionale per le persone scomparse (foto Julia Dowling, http://bit.ly/1jpMrk5)

“I politici si pronunciano sulla questione solo in occasioni particolari, come la giornata mondiale degli scomparsi, il 30 agosto. Ricevono delegazioni di famigliari, li ascoltano, fanno promesse, e poi basta”. Nel 2009 la scrittrice Azra Nuhefendic parlava così del problema delle persone sparite durante le guerre jugoslave degli anni ’90. In questi giorni, proprio in occasione della giornata degli scomparsi, quattro Paesi dell’area hanno firmato una dichiarazione con cui si impegnano a continuare le ricerche. Il timore è che alle parole non segua una forte azione concreta.

I cittadini balcanici ancora “desaparecidos” sarebbero quasi 12mila, di cui due terzi in Bosnia. Che fine possono avere fatto? Molti potrebbero essere in fosse comuni, e parte di loro avrebbe subìto addirittura la “separazione” dei resti, mescolati con quelli di altre vittime e sparsi in più luoghi, sembra per nascondere meglio le tracce degli orrori commessi. Il portavoce di Amnesty International Italia dice che i ritrovamenti vanno avanti lentamente, ma qualche segno di progresso c’è. Difficile rintracciare chi è sparito, e ancora più difficile sembra perseguire i responsabili: finora nessuno è stato incriminato per le centinaia di kosovari albanesi esumati oltre 12 anni fa.

Gli Stati che hanno firmato la dichiarazione di questi giorni sono Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia. Nel primo Paese la guerra avrebbe fatto sparire circa 30mila persone: come se in Italia scomparissero tutti gli abitanti di comuni come Alba, Oristano o Gubbio. In casi come questi è difficile rendersi conto che dietro alle cifre ci sono persone, storie individuali, e che a ogni singolo ne erano legati decine di altri che lo conoscevano e lo piangono, e parte di loro non si dà pace. Probabilmente se percepissimo con forza la mole di dolore che nascondono i tre milioni di profughi siriani – un numero alto, ma sempre un numero – dopo faremmo fatica a pensare ad altro.

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Un tratto di autostrada in Croazia (foto vacation2, http://bit.ly/1kuY8rA=

Un tratto di autostrada in Croazia, direzione Spalato (foto vacation2, http://bit.ly/1kuY8rA)

La Croazia vende le autostrade. Per essere precisi, dovrebbe darle in concessione a un privato per un periodo di 30 o 50 anni. I motivi sarebbero le difficoltà dell’economia nazionale e quelle delle società che hanno gestito finora la rete. Il progetto del governo non piace né all’opposizione né ai sindacati, che vogliono un referendum.

Al momento le autostrade croate sono in mano alle aziende Hac e Arz, indebitate per 4 miliardi. Ai loro problemi finanziari si aggiungono quelli del Paese nel suo complesso, in recessione da sei anni. Da qui l’idea di privatizzare una delle infrastrutture più importanti, con un incasso possibile compreso tra i due miliardi e mezzo e i quattro miliardi. Finora hanno espresso interesse tre consorzi, e alla fine a spuntarla potrebbe essere un fondo pensionistico.

Il primo ministro di centrosinistra, Zoran Milanovic, assicura che il processo sarà seguito con la massima attenzione. Il timore è che chi si aggiudicherà la concessione curerà le autostrade peggio di come era stato fatto finora, puntando soprattutto a fare cassa (come è facile che un privato faccia). L’opposizione di centrodestra dice no, e lo stesso fanno i sindacati, che prevedono anche un aumento dei pedaggi. A ottobre dovrebbe essere avviata una raccolta firme per un referendum.

Tra poche settimane partiranno trattative dirette con i potenziali acquirenti. Un’alternativa potrebbe esserci, ed è il sistema delle vignette, in vigore in Slovenia dal 2008. In pratica si paga un ticket che permette di viaggiare una settimana, un mese o un anno, invece di saldare il conto ogni volta che si esce da un casello. L’ipotesi di una loro applicazione in Croazia era circolata alla fine dell’anno scorso.

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Alenka Bratusek ed Enrico Letta quando guidavano Slovenia e Italia. Pochi mesi fa (foto Bled Strategic Forum)

Alenka Bratusek ed Enrico Letta quando guidavano Slovenia e Italia. Pochi mesi fa (foto Bled Strategic Forum, http://bit.ly/1jpMrk5)

La Slovenia si avvia a essere guidata da un nuovo governo di centrosinistra. Ieri il presidente della Repubblica ha iniziato le consultazioni in seguito alle elezioni di luglio, vinte dal giurista Miro Cerar con quasi il 35%. Il suo partito è stato fondato poche settimane prima del voto, ma è riuscito a sbaragliare tutti in un panorama politico a pezzi: da una parte la litigiosità della sinistra che ha portato alla caduta dell’ultimo esecutivo, dall’altra la destra aggrappata a un leader in carcere.

A Cerar basterebbero il sostegno della propria formazione e quello dei Pensionati, nelle cui fila milita il ministro degli Esteri uscente. Già così si avrebbe una maggioranza di 46 seggi su 90, a cui potrebbero aggiungersi i 6 dei Socialdemocratici e i 4 del partito di Alenka Bratusek, primo ministro affossato pochi mesi fa. Cosa chiederanno gli alleati per assicurare il loro appoggio? L’ex leader del governo sembra puntare a una poltrona nella nuova commissione europea, mentre le pretese dei Pensionati rischiano di essere più problematiche.

Il Paese è in crisi economica da anni, da anni si parla di possibili aiuti internazionali, e si predica austerità con l’obiettivo dichiarato di uscire dal tunnel. Se Cerar vorrà tagliare la previdenza per volontà propria, o se glielo chiederà l’Unione europea, la formazione politica che rappresenta gli anziani potrebbe mollarlo. Chi all’opposizione ci sarà praticamente di sicuro è il centrodestra di Janez Jansa, anche lui ex primo ministro, condannato per corruzione. Non farà parte della maggioranza neanche Sinistra unita, sostenitrice del greco Tsipras.

L’investitura del parlamento al nuovo governo è attesa tra dieci giorni. Cerar dovrà gestire una vittoria arrivata con una bassa affluenza, dopo anni in cui gli scandali politici di corruzione hanno causato proteste di piazza che sono durate mesi. Nel volto nuovo del giurista molti cittadini potrebbero aver visto la possibilità di un cambiamento morale. È invece difficile, almeno per il momento, pensare a un importante mutamento di linea sul fronte economico, forse il principale terreno di fallimento della politica slovena recente.

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Una scritta contro la missione europea in Kosovo nella parte serba della città di Mitrovica (foto Adam Jones, http://bit.ly/1o0kLtT)

Una scritta contro la missione Ue in Kosovo nella città di Mitrovica (foto Adam Jones, http://bit.ly/1o0kLtT)

La task force istituita dalla Ue per indagare sulle violenze commesse in Kosovo dopo la fine della guerra ha raccolto prove contro alcuni ex “alti esponenti” dell’Esercito di liberazione di etnia albanese. Il procuratore capo del gruppo d’inchiesta ha detto che sarà formulato un atto d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità.

Il rapporto reso pubblico in questi giorni denuncia “una campagna di persecuzione diretta contro serbi, rom e altre minoranze […] e nei confronti di kosovari albanesi etichettati come ‘collaboratori’ dei serbi”. Si parla di omicidi, rapimenti, detenzioni illegali, violenze sessuali e distruzione di siti religiosi. Non ci sarebbero prove sufficienti, invece, su un altro aspetto di cui la task force doveva occuparsi: il traffico di organi descritto in un rapporto del Consiglio d’Europa del 2010, che avrebbe avuto come vittime dei prigionieri di guerra.

Non si sa chi siano le persone che potrebbero dover fronteggiare un’imputazione sulla base dei rapporto Ue. Secondo alcuni rischia di esserci Hashim Thaci, che faceva parte dell’Esercito di liberazione e oggi è uno dei politici più importanti del Paese. Due volte primo ministro, alle elezioni dello scorso giugno il suo partito è arrivato primo, ma non ha vinto, come disse Bersani del Pd dopo il voto italiano del 2013. Col risultato che ancora non si è riusciti a formare una maggioranza in parlamento.

Nelle prossime settimane questo Stato riconosciuto solo da parte della comunità internazionale dovrà confrontarsi con accuse su un passato doloroso, e rischia di doverlo fare senza un governo in carica. Va detto che la task force europea non mette in cattiva luce solo personaggi locali: i crimini di cui si parla sarebbero stati commessi senza che la missione comunitaria Eulex li impedisse. Una situazione che ne richiama alla mente altre, nei Balcani e non solo.

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