Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for the ‘Cinema’ Category

La scritta alla Biblioteca Nazionale di Sarajevo che ricorda l'incendio del 1992

La scritta alla Biblioteca Nazionale di Sarajevo che ricorda l’incendio del 25 agosto 1992

Primavera, autunno o nessuno dei due? Cos’è cominciato in Bosnia? A Tuzla dieci giorni fa è scoppiata la protesta dopo il licenziamento di 200 operai. Nelle ore successive le manifestazioni si sono estese alle altre città principali, con un filo conduttore fatto di disoccupazione e incapacità politica. Se la sintesi si fermasse qui, farebbe pensare a un buon inizio, alla possibile alba di un cambiamento; il problema è che nelle strade c’è stata anche violenza.

Quella più simbolica è avvenuta a Sarajevo, dove un archivio storico è stato dato alle fiamme. Nella capitale 22 anni fa veniva bruciata la Biblioteca Nazionale, nel pieno della guerra che devastò l’ex Jugoslavia. Nella rabbia di questi giorni si inseriscono probabilmente gruppi ultrà o simili, ma in piazza c’è anche (e soprattutto?) dell’altro: l’indignazione di chi è senza lavoro, magari da anni, e da anni non vede arrivare dalla politica le risposte che aspetta.

Sul tasso di disoccupazione non ci sono dati certi, ma potrebbe essere del 30%, più del doppio di quello italiano. Finora la protesta non sembra avere tratti “etnici”, in un Paese – la Bosnia post-guerra – costruito su un’architettura “tripartita”, divisa tra musulmani, serbi e croati. Quell’architettura, inefficiente e troppo disegnata a tavolino, è probabilmente tra le maggiori responsabili delle sofferenze di oggi.

Di primavera bosniaca si era parlato anche l’anno scorso, quando intorno al parlamento manifestavano le mamme con i passeggini. La rivolta di questi giorni pare avere una portata maggiore, e ha già causato dimissioni politiche; il fatto che sia anche violenta preoccupa, anche e soprattutto in un Paese che vent’anni fa era teatro di atrocità di massa. Gli scenari possibili per le prossime settimane sembrano tre: un’escalation di scontri; una protesta che continua pacifica, emarginando le frange più aggressive; una diminuzione progressiva delle manifestazioni. Probabile che parlamento e governo tifino per l’ultima opzione.

Read Full Post »

Sergio Castellitto e Penelope Cruz in "Non ti muovere" (movielicious.it)

Simbolo drammatico degli anni ’90, crocevia di culture dilaniato dall’orrore, Sarajevo continua a essere un richiamo potente per tanti intellettuali. Forse proprio con l’esplosione della guerra si è arrivati a coglierne tutta l’importanza, a cogliere tutto il peso di un esempio così lampante di convivenza pacifica tra le diversità proprio quando un conflitto atroce lo ha aggredito barbaramente. Ha scelto Sarajevo Margaret Mazzantini, quando nel 2008 ha scritto Venuto al mondo, romanzo vincitore del Premio Campiello 2009; e ha scelto Sarajevo, giocoforza, anche suo marito Sergio Castellitto, che porterà il libro sullo schermo cinematografico nei prossimi mesi.

Una mattina Gemma prende un aereo col figlio Pietro, 16 anni. Destinazione Sarajevo. Ad aspettarla c’è il vecchio amico Gojko, poeta, amore mancato conosciuto durante un viaggio in Bosnia nel 1984, in occasione delle Olimpiadi invernali. Fu proprio Gojko a indirizzare Gemma verso Diego, fotografo genovese, con cui poi si sarebbe sposata. Il ritorno a Sarajevo è l’occasione per ricordare ciò che è stato, in una serie di flashback che ricostruiscono la vicenda umana dei protagonisti sullo sfondo disumano della guerra, che fa da specchio drammatico e simbolico dei percorsi individuali.

Emile Hirsch nei panni di Christopher Mc Candless in "Into the wild" (nateandthemagichat.blogspot.com)

Abbiamo di fronte un libro che ci dimostra che c’è un grande romanzo italiano – ha detto Castellitto. – Un libro che dall’intimità di una stanza da letto sa uscire da quella stanza, attraversare una piazza, prendere un aereo, attraversare il mare, andare in un altro mondo, scoprire altri popoli, altri mondi, altri amori e rientrare in un’altra camera da letto, e ritrovare un’altra intimità”.

La parte di Gemma sarà interpretata da Penelope Cruz, già diretta da Castellitto in Non ti muovere (2004). L’attrice spagnola sarà anche co-produttrice della pellicola, mentre nel cast sarà affiancata da Emile Hirsch, protagonista di Into the wild (2007), che dovrebbe calarsi nei panni di Diego. Per Gojko si era parlato addirittura di Javier Bardem o Benicio Del Toro, ma per ora non ci sono conferme. Le riprese inizieranno a settembre e si divideranno tra Roma e i Balcani.

Read Full Post »

Un fotogramma della scena più bella del film, sottolineata da "Ederlezi" di Bregovic (listal.com)

“Quando Dio è sceso in Terra, ha incontrato i gitani. E ha preso il primo volo per tornare indietro”. E’ una delle frasi pronunciate dai protagonisti de Il tempo dei gitani, meraviglioso film di Emir Kusturica del 1988. La pellicola racconta le peripezie di Perhan, un giovane gitano che lascia i Balcani e si ritrova catapultato in Italia, finendo incastrato in situazioni assurde, dolorose e ben oltre il limite della criminalità.

Lungo più di due ore (ma l’edizione originale, destinata alla tv, durava più del doppio), il film è un romanzo di formazione, la storia di un ragazzo innamorato che scopre sulla sua pelle la brutalità del mondo che lo circonda. Il traffico in cui rimane invischiato riguarda gli esseri umani: bambini, disabili, persone le cui debolezze vengono sfruttate per lucrarci sopra senza pietà. La bellezza dell’opera di Kusturica, però, più che nella trama sta nel messaggio che le è sottinteso, nella spettacolare follia che guida le azioni dei personaggi. Il talento visionario del regista serbo emerge con una poesia memorabile, superata solo da quella di Underground, che Emir girerà sette anni dopo. Non è un caso se entrambi i film sono stati premiati a Cannes: il primo per la miglior regia, il più recente – capolavoro assoluto di Kusturica – come miglior pellicola.

Emir Kusturica, 56 anni, è stato premiato sia al Festival di Cannes che a quello di Venezia (vivacinema.it)

Il tempo dei gitani è il primo incontro cinematografico tra Kusturica e Bregovic, che firma musiche trascinanti e piene di magia. La colonna sonora è meno conosciuta rispetto a quella del già citato Underground, ma non le è assolutamente da meno. Le melodie più belle sono quelle lente, sognanti, che assumono addirittura toni epici nella commovente Ederlezi. Accanto ai pezzi di Bregovic, ciò che si ricorda di più del film è l’atmosfera surreale che lo pervade: un “marchio di fabbrica” prevedibile in Kusturica, ma che – diversamente da altri suoi film, primo fra tutti La vita è un miracolo (2004) – in questo caso non è mai scontato, perché non è stravaganza fine a se stessa, ma pazzia che serve a raccontare e incantare. Se dovessimo salvare un solo film di Kusturica, sarebbe sicuramente Underground; ma se dovessimo scegliere il più magico, il più delicato, il più soave, indicheremmo Il tempo dei gitani – difficile da vedere per chi non ama Kusturica, fantastico per chi lo adora, e magari è un po’ deluso dalle sue opere più recenti.

Fonti: Wikipedia, mymovies.it

Read Full Post »

Il villaggio di Kustendorf, fatto costruire dal regista Kusturica nel 2004

«In questo villaggio tutto è al contrario. Normalmente sono i cittadini che scelgono il sindaco. Qui sono io a scegliere gli ospiti». Emir Kusturica definisce così Kustendorf, il villaggio serbo fatto costruire da lui nel 2004. Qui si svolge la rassegna cinematografica e musicale ideata dal regista: il Kustendorf Film and Music Festival, che quest’anno è giunto alla sua quarta edizione e si svolgerà dal 5 all’11 gennaio.

Kustendorf è vicino alla frontiera con la Bosnia. Qui è stato girato La vita è un miracolo (2004), il primo lungometraggio di Kusturica dopo i grandi successi Underground (1995) e Gatto nero, gatto bianco (1998). Le riprese del film durarono due mesi: due mesi in cui Emir partorì l’idea di un creare un borgo tutto per sé. «Avevo una città, Sarajevo, che ho perso con la guerra. Decisi dunque di costruirne un’altra». Kustendorf si trova a 700 metri di altezza, con intorno montagne che arrivano ai 1500: un paesaggio incantato, fatto di baite di legno e boschi innevati, adatto per accogliere l’utopia di un regista eccentrico. E geniale.

Il presidente serbo Tadic con Johnny Depp, protagonista del Festival di Kustendorf del 2010

Il Festival è partito nel 2008. Quest’anno il grande protagonista – oltre a Kusturica, s’intende – è Abbas Kiarostami. Il grande cineasta iraniano, a cui è dedicata una retrospettiva, terrà lezioni di cinema. Da segnalare anche un workshop, tenuto dal padrone di casa, su Roma di Fellini e una serie di incontri con Gael Garcia Bernal, il Che Guevara di I diari della motocicletta. Sarà proprio Bernal a chiudere la kermesse, che nel 2009 si era conclusa con un concerto della band di Kusturica, la No Smoking Orchestra. La musica non manca neanche quest’anno: si esibiranno gruppi di tutto il mondo, dalla Tanzania alla Francia, dagli Stati Uniti alla Norvegia. E dalla Serbia, naturalmente, con i Beogradski Sindikat.

«Qui la natura è fantastica. La gente della regione non ha mai pensato di costruire qualcosa su quella cima, perché aveva paura del vento. L’ho fatto io». L’ego di Kusturica, enorme quanto il suo talento, trova posto in mezzo ai monti balcanici. Per una settimana, a fargli compagnia ci saranno artisti e spettatori. Che però, se non piacessero a Emir, potrebbero venir cacciati da un momento all’altro. Qui è il sindaco che sceglie i cittadini.

Read Full Post »

Angelina Jolie con Haris Silajdzic, ex membro musulmano della presidenza "tripartita" bosniaca

Respingere Angelina Jolie sarebbe difficile per chiunque. Ma se la Bosnia ha pensato di farlo, la faccenda dev’essere proprio seria. Il governo di Sarajevo ha dato il via libera alle riprese del primo film da regista dell’attrice americana, ma a lungo è sembrato che tutto dovesse saltare. Il motivo è il tema dell’opera, ambientata durante il conflitto degli anni ’90: al centro della storia ci sarebbe l’amore tra una donna musulmana e un violentatore serbo.

Diciamo “ci sarebbe”, perché non esistono certezze sulla trama. Più volte interrogata dalle associazioni delle vittime di guerra, la Jolie si è sempre rifiutata di rivelare il contenuto del copione: scelta legittima per una regista, ma contestabile di fronte al dolore di chi ha vissuto l’orrore solo 15 anni fa. Senza raccontare l’intera vicenda, Angelina avrebbe potuto rispondere a una semplice, fondamentale domanda: è vero che la protagonista si innamora del suo stupratore?

"Grbavica" (2005) parla di una bimba nata da uno stupro etnico. Un tema difficilissimo, trattato con grande delicatezza

In verità, una cosa l’attrice di Hollywood l’ha detta. “Non è affatto vero che il film si apre con scene di stupro e tortura – ha precisato. – Quest’opera descrive esperienze di persone differenti, che hanno modi diversi di percepire la guerra. Parla di una coppia che avrebbe potuto avere una vita felice e che con la guerra si trova in una situazione completamente diversa. E’ un film su temi difficili, con argomenti delicati e su eventi accaduti non molto tempo fa. Proprio per questo tali temi vanno trattati con la massima prudenza possibile”.

Nella scena iniziale, quindi, non c’è uno stupro. Ma c’è nel resto della pellicola? La questione è una: la Jolie non ha voluto chiarire se il centro del film è la storia d’amore tra uno stupratore e la sua vittima. Sorge un dubbio maligno: che la regista abbia voluto restare sul vago proprio per alimentare il dibattito e le polemiche, facendosi pubblicità. Qualcuno ribatte che in questo modo sta facendo pubblicità anche alla Bosnia, che ha un bisogno pazzesco di investimenti esteri. Ma cos’è più importante: il PIL di Sarajevo o il rispetto del dolore delle vittime di guerra?

Read Full Post »

Laura Halilovic è nata a Torino nel 1989. Ha la cittadinanza bosniaca, ma non è ancora riuscita ad ottenere quella italiana

“Mi chiamo Laura Halilovic. Sono nata il 22 novembre 1989”. Ventun anni e una passione: quella per il cinema. Ventun anni e un’etichetta pesante da portare addosso: quella di rom. Nel 2009 la Rai hai trasmesso Io, la mia famiglia rom e Woody Allen, il primo documentario di Laura, che oggi fa l’assistente alla regia di Ricky Tognazzi per una fiction. E prepara il suo primo film.

“Il primo giorno di scuola ero entusiasta. Volevo conoscere i compagni di classe. Poi sotto voce sentii i loro commenti: ‘Ci mancava solo la zingara’, dicevano”. La famiglia di Laura arriva da Banja Luka, Bosnia, durante la guerra. Si stabilisce nel campo nomadi di via Germagnano, nella periferia torinese. Poi ottiene una casa popolare nel quartiere di Falchera: cento metri quadri per nove persone.

“Sogno di fare cinema da quando avevo nove anni”. Galeotto fu Manhattan: il capolavoro di Woody Allen incuriosisce la piccola Laura, che deve rimboccarsi le maniche per realizzare i suoi sogni. “Non ho avuto la possibilità di studiare oltre la terza media. Quello che so sul cinema l’ho imparato direttamente facendolo e guardando molti film”. Nel 2007 il suo primo cortometraggio, Illusione, vince il festival Sotto18. Nel 2009 Io, la mia famiglia rom e Woody Allen riceve il Gran Premio Urti (Università Radiofonica e Televisiva Internazionale) per il documentario d’autore.

“Non consideravo che i rom fossero uguali a noi”. “Alla fine sono gente come noi”. “Mi ha fatto capire che non sono tutti uguali, tutti colpevoli”. Le risposte al questionario compilato dagli studenti delle scuole superiori piemontesi parlano chiaro: chi vede il documentario di Laura guarda con meno diffidenza all’etnia più emarginata d’Italia. Profumo di pesche, il film in progettazione, è una storia d’amore fra una giovane rom e un cuoco Gagè, ovvero non rom. Un amore che va oltre gli stereotipi. E che può aiutare a superarli.

Leggi anche: Dijana Pavlovic, quanto è dura diventare una rom italiana

Read Full Post »

Per questo film Sasa Petrovic (al centro) ha vinto il premio come miglior attore al Sarajevo Film Festival 2007

E’ difficile essere buoni a Sarajevo. E’ difficile essere buoni in una società che aspira al progresso, ma spesso vive di piccole e grandi illegalità. E’ difficile essere buoni (2007) è il titolo di un bel film di Srdan Vuletic, che racconta la Bosnia di oggi attraverso la storia di una persona in difficoltà, ma decisa a riscattare la propria condizione. La stessa situazione in cui si trova il Paese balcanico.

Fudo (un convincente Sasa Petrovic, già visto in No man’s land) fa il tassista, ma arrotonda con lavoretti disonesti. I guai in cui si caccia lo allontanano dal figlio piccolo e dalla moglie, che se ne va di casa quando una gang di criminali distrugge il taxi del marito. E’ allora che il protagonista decide di cambiare vita: diventerà buono, dedicandosi onestamente al lavoro e alla famiglia. Ma voltare pagina non è facile.

I “vecchi amici” non gradiscono la trasformazione di Fudo e lo ostacolano in ogni modo, cercando di riportarlo sulla cattiva strada. Per ogni tentativo che fa di comportarsi correttamente, su di lui si abbatte una serie di sventure ancora peggiori di quelle che lo tormentavano prima. Perfino la moglie, a un certo punto, sembra tradirlo. Lui però non si perde d’animo. La domanda che ci si fa per tutto il film è: vale la pena provarci? Fudo scoprirà che non sempre la risposta è legata ai risultati delle proprie azioni.

Il regista Srdan Vuletic. La sua carriera è iniziata dal teatro: prima della guerra ha diretto Pirandello, Ionesco e Buchner

Srdan Vuletic ha 39 anni. E’ nato a Bijeljina, nel nord-est della Bosnia, vicino al confine con Serbia e Croazia. Oggi è uno dei registi più interessanti del cinema balcanico. Il suo Estate nella valle dorata (2003) ha vinto diversi premi internazionali. E’ difficile essere buoni ha trovato poco spazio all’estero, dove Kusturica e Tanovic restano gli unici nomi conosciuti dal grande pubblico. Eppure il film di Vuletic è efficace, piacevole, “europeo” nella forma e nei contenuti. Le peripezie di Fudo sono le stesse che sta vivendo il suo Paese, in cerca di fortuna dopo le sofferenze del passato. Non sappiamo se questi sforzi andranno a buon fine. Ma senz’altro meritano di essere raccontati.

Read Full Post »

Mélanie Laurent, 27 anni, ha esordito in "Un pont entre deux rives" (1999) di Gerard Depardieu

Prendi un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei emarginati dal regime sovietico. Portali a suonare Ciajkovskij a Parigi, nel prestigioso Théâtre du Châtelet. Condisci il tutto con un’insolita storia “sentimentale” tra una violinista di successo e un ex grande direttore d’orchestra: il risultato è Il concerto, l’ultimo coinvolgente film di Radu Mihaileanu. A differenza di Train de vie (1998), a firmare la colonna sonora non è Goran Bregovic, ma un bravissimo Armand Amar: la pellicola ha già vinto il premio César 2010 per le migliori musiche e il miglior sonoro.

La storia inizia a Mosca, ai tempi di Leonid Breznev. Andrei Filipov (un convincente Aleksei Guskov) dirige i musicisti del Teatro Bolshoi. Quando si rifiuta di liberarsi dei suonatori ebrei, viene cacciato insieme ai suoi strumentisti. Trent’anni dopo, Andrei lavora ancora al Bolshoi, ma come uomo delle pulizie. Una sera trova casualmente un fax indirizzato alla direzione: è lo Châtelet, che invita l’orchestra ufficiale a suonare a Parigi. Il malinconico protagonista, ancora segnato dall’umiliazione del licenziamento, ha allora un’idea folle: riunire i suoi vecchi sodali e portarli in Francia, spacciandoli per gli orchestrali del Bolshoi. A spingerlo sono l’amore per la musica e la voglia di riscatto, ma anche il desiderio di incontrare la giovane stella del violino Anne-Marie Jacquet (Mélanie Laurent, famosa da Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino). Semplice attrazione fisica? O forse tra i due c’è un legame più profondo, nato proprio trent’anni prima, in occasione della “censura” sovietica? Mihaileanu ci svela la verità lentamente, suggerendoci con parsimonia ciò che il passato nasconde: e in questo sta la vera bellezza del film, che incuriosisce e appassiona grazie a una trama brillante e a personaggi molto ben assortiti.

Nel film c'è anche una piccola parte per Lionel Abelanski, lo Shlomo di "Train de vie"

“Se il violino non suona bene, l’orchestra va per conto suo e viceversa: i due elementi sono indissociabili”. Mihaileanu riassume così l’essenza della vicenda: credere in qualcosa, e crederci insieme ad altre persone, è il modo migliore per vivere con umanità. Come le altre opere del regista rumeno, anche questa fa sorridere ed emozionare: alcune scene di “pazzia” gitana sono degne del miglior Kusturica. “L’umorismo che preferisco è quello in reazione al dolore e alle difficoltà” dice Mihaileanu. “Per me, l’ironia è un’arma giocosa e intelligente, una ginnastica della mente, contro la barbarie e la morte, un modo per spezzare la tragedia che ne è la sorella gemella”. Il sogno della sgangherata compagnia di Filipov, che vuole portare a termine “il” concerto interrotto dalla dittatura, è animato dalla forza e dalla passione di chi non si arrende alla sofferenza: la stessa energia vitale che ha permesso all’ex Jugoslavia di sopravvivere con dignità agli orrori degli anni ’90.

Leggi anche: “Train de vie”, la poesia che sopravvive alla Shoah

Read Full Post »

Gere nei panni di Simon Hunt, reporter giramondo in azione a Sarajevo

“Solo i particolari più incredibili di questa storia sono veri”. L’avvertenza che apre The Hunting Party (2007) è una delle poche trovate originali della pellicola di Richard Shepard. Un improbabile reporter d’assalto caduto in disgrazia (Richard Gere) parte alla ricerca di un criminale di guerra nella Bosnia “pacificata”. Al suo fianco un cameraman di successo (Terrence Howard) e un giovane cronista figlio di papà (Jesse Eisenberg). La “caccia all’uomo” si rivelerà rischiosa, complicata e soprattutto noiosa per lo spettatore in attesa di un bel film d’azione.

Qualche attore famoso e una tragedia recente non bastano, evidentemente, per mettere in piedi un canovaccio convincente. Shepard ci porta in una Sarajevo ancora segnata dal conflitto, i cui nodi irrisolti dipendono in buona parte dalla comunità internazionale. Tutto vero, ma non abbastanza per creare un’atmosfera coinvolgente. Radoslav Bogdanovic, il boia lasciato in libertà dalla Nato e dall’Onu in cambio della rinuncia al potere, potrebbe essere Ratko Mladic, il massacratore di Srebrenica: eppure, nonostante le evidenti allusioni all’attualità, si ha sempre la sensazione di assistere a una vicenda “costruita”, che non invita a immedesimarsi nei protagonisti. 

James Brolin ("Traffic", "Prova a prendermi") è il criminale di guerra Radoslav Bogdanovic

Richard Gere sembra più adatto alle parti da romanticone che a quelle da “bello maledetto”. Terrence Howard (bravissimo in Crash, 2004) è confinato in un ruolo un po’ scialbo, privo di spessore. Il succedersi delle peripezie che dovrebbero condurre alla cattura del latitante slavo non riesce ad appassionare, forse perché sembra narrato “dall’esterno”, cioè da qualcuno (un regista statunitense) che non è realmente affascinato dagli avvenimenti balcanici.

Se c’è un aspetto positivo in The Hunting Party, è proprio quello a cui fa riferimento l’ammonimento iniziale: i personaggi più divertenti sono quelli più assurdi (ed effettivamente più realistici), come il funzionario dell’Onu paranoico che accusa insistentemente i tre avventurieri di essere agenti della CIA. Per il resto, pare che il dramma dei Balcani sia quasi un pretesto, messo in scena per evidenziare gli errori delle organizzazioni sovranazionali e per raccontare una storia che si vorrebbe avvincente. Né l’uno né l’altro obiettivo sono raggiunti a tal punto da invitarvi a seguire Richard Gere per 103 minuti di film.

Read Full Post »

Il primo è considerato da molti il miglior giocatore di sempre. Il secondo è il regista balcanico più famoso al mondo. Maradona di Emir Kusturica è un documentario passionale e coinvolgente. Presentato nel 2008 al Festival di Cannes, è rimasto poco nelle sale italiane ed è forse una delle produzioni meno conosciute del regista serbo. Un peccato per gli amanti del cinema, del calcio, delle grandi storie di vita.

Eccentrici, discussi, unici: Kusturica e Maradona si sono incontrati nel 2005

Dalla droga al pallone, dalla famiglia alla politica, Maradona si confessa sinceramente in una sorta di lunghissima intervista, ambientata tra Belgrado, Buenos Aires e Napoli. Ai video delle sue prodezze calcistiche si accompagnano gli abbracci con Fidel Castro e Hugo Chavez. Nelle sue parole l’affetto per le figlie si confonde col dolore della tossicodipendenza. Il risultato è un mix esplosivo, che affascina anche chi non sa distinguere tra un fuorigioco e un calcio d’angolo. L’energia travolgente di Diego, creatrice e distruttiva allo stesso tempo, investe lo spettatore e lo immerge nel dramma di un personaggio eccezionale, padrone e schiavo di un potere quasi impossibile da controllare.

Alcuni sostengono che il vero protagonista della pellicola non sia Maradona. Kusturica non si nasconde ma partecipa al racconto, dialoga con il Pibe de Oro, traccia improbabili paragoni tra lui e i personaggi dei suoi film. Forse la narrazione sarebbe stata più fluida senza la sua continua presenza, ma era impensabile che l’ego del regista di Sarajevo – notoriamente smisurato – non emergesse in una storia come questa. Tutto è eccessivo in Maradona: la classe del calciatore, la fragilità dell’uomo, la retorica del rivoluzionario, l’amore dei tifosi che ne fanno un Dio. “Io sono il cinema” ha detto una volta Kusturica. “Io sono il calcio” potrebbe dire a maggior ragione Diego. Due esagerazioni che vale la pena di vivere.

Read Full Post »

Older Posts »