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Archive for the ‘Musica’ Category

I Bijelo Dugme, gruppo in cui ha suonato per anni Goran Bregovic, terzo in basso da destra (aleksandararezina.blogspot.com)

I Bijelo Dugme, gruppo in cui ha suonato per anni Goran Bregovic: nella foto è il terzo in basso da destra (aleksandararezina.blogspot.com)

Autoplagio. È piovuta addosso questa accusa a Goran Bregovic, re della musica balcanica, molto conosciuto anche in Italia. Al centro delle polemiche l’inno per i Mondiali di sci nordico che inizieranno il 20 febbraio in Val di Fiemme, in Trentino. Alcune testate ex jugoslave hanno scritto che il brano somiglia a un pezzo del gruppo in cui Bregovic suonava negli anni ’80: apriti cielo, anche perché la canzone è costata alla Provincia decine di migliaia di euro.

Il pezzo incriminato dei Bijelo Dugme, molto popolari nella Repubblica Socialista Federale post-Tito, si chiama Hajdemo u planine: “andiamo in montagna”. Alcuni hanno scritto che fu usato per promuovere le Olimpiadi invernali di Sarajevo, ma non ne abbiamo trovato conferma: i Giochi si tennero nel 1984 e il brano è contenuto in un album del 1986, ma può darsi che sia stato utilizzato “in anteprima” per la manifestazione. L’inno dei Mondiali trentini è uscito nella sua versione ufficiale nelle ultime ore, dopo che alcuni giorni fa ne era stata diffusa una versione più grezza e meno curata. Difficile dire con certezza se e quanto somigli al pezzo dei Bijelo Dugme: anche tra gli esperti musicali ci sono pareri diversi. Bregovic ha risposto alle polemiche senza scomporsi troppo: “La canzone si difende da sola”.

Diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, hanno scritto che l’inno della discordia è costato alla Provincia quasi 85mila euro. Il dato ufficiale diffuso ieri parla di 30mila. Qualcuno si è spinto addirittura a parlare di plagio quadruplo: il brano degli anni ’80 sarebbe stato sfruttato 1) dai Bijelo Dugme, 2) per le Olimpiadi, 3) per il Trentino e 4) nella colonna sonora del film di Kusturica Arizona Dream, in un pezzo chiamato Get the money. Un’insinuazione che complica ulteriormente la disputa, e ci rafforza nella convinzione di non avere le competenze per risolverla. Resta una considerazione: se l’obiettivo dell’inno era far parlare dei Mondiali trentini, in qualche modo è stato raggiunto.

FONTI: Il Piccolo, L’Adige

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Bob Dylan a Zagabria nel 2010 (nacional.hr)

Che c’entrano il Ku Klux Klan, la Croazia e il nuovo singolo di Bob Dylan? Nulla, in effetti. Se non fosse che la radio cittadina di Spalato ha deciso di non trasmettere Duquesne Whistle, l’ultimo pezzo di Dylan, dopo che quest’ultimo ha praticamente paragonato i croati agli schiavisti e ai nazisti. Un incidente diplomatico che però sembra nato più dalla leggerezza con cui il cantautore ha tirato in ballo certi nomi, che non da un’effettiva volontà di offendere.

“Se nel sangue hai lo schiavismo o il Ku Klux Klan, i neri possono percepirlo – ha detto Dylan alla rivista Rolling Stone. – Nello stesso modo, gli ebrei possono percepire il sangue nazista, e i serbi quello croato”. Un ragionamento più che spericolato, da cui non si capisce se il cantante volesse goffamente riferirsi alla componente nazionalista tuttora presente nei due Paesi balcanici, oppure se intendesse proprio insultare i croati in quanto tali, mettendoli sullo stesso livello dei peggiori criminali della storia. La prima ipotesi pare la più credibile, perché il discorso di Dylan è generico e perché non si capisce cosa lo avrebbe spinto ad attaccare così un intero popolo: nel migliore dei casi, però, il cantautore ha pesato male le parole, e forse è questa la vera notizia, vista l’abilità con cui ricorre al dizionario quando scrive i suoi pezzi.

Le conseguenze di cui si ha notizia non sono comunque drammatiche: Radio Split ha cancellato dalla programmazione il singolo di Dylan, e il cantante croato Miso Kovac (una vera star ai tempi della Jugoslavia, par di capire da Wikipedia) gli ha chiesto pubblicamente perché ha deciso di “filosofeggiare su fatti che non conosce”. Domanda condivisibile, seguita da una stoccata “artistica”: “Elvis Presley era una leggenda, tu no”. Fino a pochi giorni fa Kovac e Dylan avevano in comune professione ed età, 71 anni. Ora li unisce anche una polemica transoceanica.

FONTI: Il Piccolo, Linkiesta, Croatian Times

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Benvenuti al festival di Guča...

“Guča rappresenta nel modo migliore cos’è la Serbia oggi. Con la tromba noi esprimiamo la nostra gioia e la nostra tristezza: nasciamo con i suoni della tromba, moriamo con i suoni della tromba. Chi non riesce a capire a ad amare Guča, non può capire la Serbia”.

(Vojislav Kostunica, primo ministro serbo dal 2003 al 2008)

Corni, trombe, tromboni, tube, flicorni: in una parola, ottoni. Sono loro i protagonisti del festival di Guča, paesino di 2 mila anime nel cuore della Serbia. Qui da 50 anni si tiene una manifestazione che unisce musicisti virtuosi e improbabili suonatori, ascoltatori appassionati e zelanti ubriaconi: un “delirio organizzato” che quest’anno durerà ben dieci giorni, dal 13 al 22 agosto.

Il nome più conosciuto è senz’altro quello di Goran Bregovic, che suonerà mercoledì 18 agosto. Per lui arriveranno in decine di migliaia da tutto il mondo. Ma lo zoccolo duro di Guča, i serbi che ballando al suono degli ottoni celebrano l’orgoglio di essere serbi, i fedeli della seconda religione nazionale dopo quella ortodossa – quella della tromba -, aspettano con maggiore frenesia altri personaggi: ad esempio Boban Markovic, il trombettista che nel 2001 si guadagnò, primo nella storia del festival, il voto più alto da tutti i membri della giuria. Da allora non ha più voluto gareggiare, ma ha continuato a partecipare “fuori concorso”. Quest’anno si esibirà martedì 17 agosto, la stessa sera di Shantel, il dj tedesco che fonde musica elettronica e musica balcanica e che ha collaborato anche con l’italiano Roy Paci.

La statua del trombettista di Guča, testimone dell'inaugurazione del festival. E del delirio che ne consegue

Guča, comunque, non è solo quello che accade sul palco, anzi. Accanto alla competizione ufficiale ci sono centinaia di bande semi-professionali o di evidenti dilettanti, che invadono strade, piazze, locali con la loro musica travolgente e spesso cacofonica, digeribile solo se annaffiata con fiumi di alcol. Il tutto porta in città centinaia di migliaia di musicisti, appassionati, curiosi o semplicemente squilibrati, attratti dal suono delle trombe e dal richiamo di una colossale sbornia collettiva, in perfetto stile balcanico.

Durante la scorsa edizione, gli organizzatori del festival annunciarono di aver invitato due ospiti… particolari per festeggiare il 50° anniversario: Vladimir Putin e Barack Obama. Il presidente Boris Tadic dichiarò che la cosa era, senza ombra di dubbio, “non completamente impossibile”. Nessuno, probabilmente, vedrà arrivare i grandi della Terra a Guča. Ma se dovesse succedere, il prestigio che ne risulterebbe sarebbe enorme. Per il festival? No di certo, risponderebbero i fedeli dell’ottone. Sarebbero Putin e Obama a doversi sentire onorati. Avevate dubbi?

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I Modena City Ramblers hanno scritto "L'aquilone dei Balcani" (1996) e "Marcia balcanica" (1997)

“Bella la vita dentro un catino
bersaglio mobile d’ogni cecchino
bella la vita a Sarajevo città
questa è la favola della viltà…”

(CSI, Cupe vampe, 1996)

In Italia si parla di ex Jugoslavia soprattutto in riferimento ai conflitti dello scorso decennio. E la musica non fa eccezione. Se si vanno a cercare le canzoni che trattano in qualche modo tematiche “balcaniche”, è facile imbattersi in testi che toccano l’argomento bellico. Ma nonostante tutto, c’è qualche sorpresa. E sicuramente ci stiamo dimenticando di altri pezzi, magari meno conosciuti, che guardano oltre Adriatico senza occuparsi di guerra.

Non che parlare delle violenze degli anni ’90 sia per forza un male, ovviamente. Cupe vampe, ad esempio, è una canzone importante, scritta 14 anni fa da Giovanni Lindo Ferretti. Il leader dei CCCP (poi CSI) racconta l’assedio di Sarajevo e in particolare il rogo della Biblioteca Nazionale. I “criminali serbi” (così recita la targa posta oggi al suo ingresso) bruciarono oltre 2 milioni di libri. Uno scempio che va ricordato: un orrore simile a quello della distruzione del ponte di Mostar, inutile ai fini strategici, ma devastante dal punto di vista simbolico.

Fa piacere, però, che altri musicisti siano… andati nei Balcani pensando a temi diversi. E’ il caso dei Litfiba, tornati insieme pochi mesi fa dopo dieci anni di separazione. Ben prima della guerra, nel 1985, furono loro a scrivere la suggestiva Tziganata: un insolito inno gitano dal ritmo forsennato e dal testo essenziale, che ripete insistentemente una sola immagine, quella di una ragazza sensuale che balla intorno al fuoco. Nove anni dopo il gruppo fiorentino dette alla luce Lacio drom (“buon viaggio” in lingua rom), tuttora uno dei pezzi più amati dai fans. “Ti porterò nei posti dove c’è del buon vino, e festa, festa, fino al mattino”… un inno alla voglia di vivere e alla libertà che restituisce un’atmosfera di gioia e condivisione tipicamente balcaniche.

Di tenore differente, ma comunque brillante, la Primavera a Sarajevo che Enrico Ruggeri porta a Sanremo nel 2002. La ballata del cantautore milanese parla della guerra, ma lo fa per sottolineare come la popolazione sia riuscita a continuare a vivere dopo le violenze. Il ritmo del pezzo è sostenuto, sognante, e fa pensare alla capitale bosniaca come a un luogo di rinascita dopo le tragedie del passato. Non finisce qui: anche i Modena City Ramblers hanno dedicato più di una canzone ai Balcani, e chissà quanti altre, di altri gruppi, sono state dimenticate nel corso degli anni. Una cosa è certa: anche in musica, anche in Italia, si può parlare di ex Jugoslavia senza “chiudersi” nel pietismo sui conflitti degli anni ’90.

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L'orchestra di Goran Bregovic riunisce chitarre, archi ed ottoni

E’ stato leader della maggiore rock band della Jugoslavia socialista. Ha firmato le colonne sonore delle pellicole più famose della filmografia balcanica. Ha lavorato con artisti come Cesaria Evora, Kayah e Iggy Pop. Goran Bregovic è uno dei musicisti slavi più celebri al mondo. Nato nel 1950 a Sarajevo, è conosciuto da molti per il suo legame con Emir Kusturica: il suo successo, però, inizia nella Bosnia degli anni ’70, ben prima della collaborazione col regista serbo.

E’ il 1974 quando Goran fonda i Bijelo Dugme (bottone bianco), gruppo di cui è chitarrista e che nel giro di pochi anni si fa conoscere in tutto il Paese. Il loro secondo album vende 200 mila copie. Nel 1977 suonano a Belgrado davanti a più di 70 mila persone. Negli anni ’80 i loro ritmi si avvicinano al pop e soprattutto al folk, assumendo quelle sonorità gitane che tanto saranno care a Bregovic nella sua carriera da solista. La cavalcata della band si arresta nel 1989: ironia della sorte, lo scioglimento arriva pochi mesi prima della disgregazione della federazione jugoslava.

Appena salutati i vecchi amici, Bregovic abbraccia un nuovo compagno d’avventure: Emir Kusturica, per il quale scrive le musiche de Il tempo dei gitani, affresco surreale della realtà rom tra i Balcani e l’Italia. Il sodalizio tra i due artisti prosegue felicemente: Goran compone le colonne sonore di Arizona Dream (1993), con Johnny Depp, e poi di Underground (1995), capolavoro premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Proprio all’apice della sua popolarità, però, la coppia si rompe. Il regista rimprovera al musicista di abusare delle melodie dei film nei suoi concerti. Il 1998 è l’anno della separazione: Bregovic firma le musiche di Train de vie di Radu Mihaileanu, ma non quelle di Gatto nero, gatto bianco di Kusturica. Da allora i due non lavoreranno più insieme.

Bregovic attore ne "I giorni dell'abbandono" (2005), con Luca Zingaretti e Margherita Buy

Negli anni successivi Goran registra numerosi album con la sua Wedding & Funeral Orchestra, con cui suona in giro per il mondo toccando spesso l’Italia. A onor del vero, bisogna dire che non sempre le sue performance live possiedono la vivacità, la passione e la capacità di coinvolgimento delle canzoni originali. Il calore musicale che sprigiona dalle creazioni di Bregovic sembra un po’ “raffreddato” nelle versioni dal vivo, che tante altre band invece usano per trasmettere al meglio tutta la loro energia. Lo stile e la bravura compositiva del nostro, comunque, restano eccellenti, così come lo erano ai tempi del “bottone bianco” balcanico. Sono passati 36 anni dall’esordio sulle scene di Goran. Gliene auguriamo almeno altrettanti, con il sogno – forse l’illusione – di vederlo un giorno nuovamente unito al suo (ex) amico Emir.

Leggi anche: “Train de vie”, la poesia che sopravvive alla Shoah

Leggi anche: “Underground”, canto d’amore per la Jugoslavia perduta

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La banda di strada dei Fiati sprecati suona con Vinicio Capossela ad Arezzo Art 2009

Puoi incontrarli all’università, in una manifestazione di piazza, ad un festival. Puoi ammirare l’armonia con cui suonano o farti semplicemente contagiare dalla loro energia. Ma difficilmente potrai fare a meno di ballare. I Fiati sprecati, banda di strada fiorentina, sono nati nel 2000. Da allora animano i luoghi più diversi con trombe, tromboni, flauti, clarinetti e sassofoni: una composizione che ricorda molto quella delle orchestrine gitane rese note da Emir Kusturica. E il loro legame con le musiche dell’ex Jugoslavia non si ferma qui.

La miscela di generi, ritmi e culture dei Fiati Sprecati nasce innanzitutto dalla loro provenienza geografica: abruzzesi, pugliesi, veneti, sardi, siciliani, emiliani, lombardi, tedeschi, americani e francesi, oltre naturalmente agli “indigeni” toscani. In secondo luogo ci sono i gusti musicali dei suonatori, ognuno dei quali ha una formazione diversa: si va dal beat anni ’60 allo swing, passando per il jazz e per i canti di lotta partigiana. Denominatore comune, comunque, sono i ritmi balcanici, tzigani e dell’est europeo in genere, vera cifra stilistica della banda.

I musicanti hanno il loro punto di incontro nel quartiere fiorentino di Gavinana: il Centro popolare autogestito è un luogo di aggregazione sociale e culturale, che ospita cineforum, laboratori artistici e concerti. E’ soprattutto, un’ex scuola occupata, simbolo di un’azione “politica” di lotta alle disuguaglianze in cui il gruppo si riconosce pienamente. Solidarietà, pacifismo, denuncia dei mali della globalizzazione: nelle serate animate dai Fiati c’è tutto questo, oltre a molta voglia di divertire e divertirsi.

La filosofia dominante è quella dell’apertura, tanto che alle prove settimanali può partecipare chiunque voglia unirsi alla compagnia: negli anni sono entrati ed usciti dalla banda decine di musicisti. Quello dei Fiati Sprecati non è un caso isolato: in Italia e nel mondo sono tante le realtà simili, dalla Hungry March Band di New York, alla Titubanda di Roma, all’Express Brass Band di Monaco di Baviera. A unire suonatori vicini e lontani è l’amore per la musica, e in particolare per la musica balcanica, fonte di ispirazione preziosa per molti di questi gruppi. Forse nessuno di loro sarà mai famoso come Goran Bregovic. Ma molti di loro, per passione e capacità di coinvolgimento, non hanno nulla di invidiargli.

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