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Archive for the ‘Politica’ Category

Il leader del centrodestra croato, Tomislav Karamarko (foto European People's Party, http://bit.ly/1kuY8rA)

Tomislav Karamarko è stato ministro dell’interno dal 2008 al 2011 (foto European People’s Party, http://bit.ly/1kuY8rA)

A novembre in Croazia ci saranno le elezioni politiche. Al governo c’è il centrosinistra, che sembra in svantaggio rispetto ai rivali guidati dall’ex ministro dell’interno Tomislav Karamarko. In questo contesto è stata annullata una condanna per corruzione di Ivo Sanader, ex leader della destra e capo del governo dal 2003 al 2009. L’alta corte parla di “errori procedurali”, ma c’è chi non la pensa così.

Osservatorio Balcani riporta le dichiarazioni durissime di un ex presidente della corte, Krunislav Olujic. “Non c’è volontà politica di fare i conti con la corruzione – dice – e questa mancanza di volontà riguarda soprattutto il potere esecutivo. Ora ci si aspetta un cambio di governo e i giudici si adattano”. Il verdetto cancellato era di primo grado e il processo dovrà ripartire da zero. A luglio Sanader si era visto annullare un’altra condanna per tangenti, sempre per questioni di procedura.

Al momento l’ex primo ministro è in carcere, ma potrà uscire se pagherà una cauzione di circa un milione e 600mila euro. Il problema corruzione non coinvolge solo lui: un altro caso clamoroso riguarda Milan Bandic, sindaco di Zagabria al quinto mandato, arrestato lo scorso anno e tuttora alla guida della capitale. Né lui né Sanader fanno parte della sinistra, che però a gennaio ha perso le presidenziali e ora sembra in procinto di fare lo stesso alle politiche.

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A Srebrenica morirono circa 7mila persone (foto Martijn.Munneke, http://bit.ly/1kuY8rA)

A Srebrenica morirono circa 7mila persone (foto Martijn.Munneke, http://bit.ly/1kuY8rA)

Vent’anni dopo il massacro di Srebrenica, non si può dire che tra autorità serbe e bosniache ci sia una memoria condivisa. Quelle di Belgrado continuano a rifiutarsi di parlare di genocidio, mentre quelle di Sarajevo puntano a veder approvata una risoluzione Onu che usi proprio quel termine per riferirsi al disastro del luglio 1995. Quest’anno decine di migliaia di persone dovrebbero partecipare alle commemorazioni, ma c’è anche il rischio che possano saltare.

Il motivo è l’arresto di Naser Oric, comandante delle forze musulmane durante la guerra. Il suo fermo è avvenuto in Svizzera sulla base di un mandato emesso dalla Serbia. L’ex ufficiale è stato processato al tribunale penale internazionale, che lo ha prima condannato e poi assolto, ma a Belgrado si vuole portarlo di nuovo sul banco degli imputati. Il governo bosniaco non ci sta e ha chiesto a sua volta l’estradizione di Oric, che per ora rimane a Ginevra, conteso dai due Paesi. “Se non sarà liberato entro il 30 giugno, la cerimonia in ricordo dell’eccidio di Srebrenica potrebbe essere rinviata”, dice il comitato organizzatore. La vicenda ha causato la cancellazione di una visita a Sarajevo del presidente serbo Nikolic, prevista due settimane fa.

Il voto sulla risoluzione dovrebbe essere il 7 luglio, pochi giorni prima dell’anniversario. Il governo serbo potrebbe chiedere alle autorità russe di mettere il veto. Che non ci fosse ancora una lettura comune delle stragi si sapeva, ma era lecito sperare che ci si avvicinasse alla ricorrenza in cui un clima migliore. Difficile dire quanto le controversie politiche corrispondano a pensieri e sentimenti delle opinioni pubbliche. A Belgrado un attivista sta organizzando una commemorazione delle vittime di Srebrenica davanti al parlamento. Se riuscirà nel migliore dei modi sarà una buona notizia, la conferma che è giusto non rappresentare i due Paesi come sempre e solo contrapposti, perché ci sono cittadini che vogliono “semplicemente” il riconoscimento della verità.

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Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Nei primi quattro mesi al Quirinale Sergio Mattarella è stato in visita ufficiale in dieci paesi esteri. Quattro di questi facevano parte della Jugoslavia. Colpisce l’attenzione del presidente per quella regione, così come l’ordine con cui si è presentato nelle capitali balcaniche. Circa un mese fa ha cominciato dalla Slovenia, primo stato che era governato da Tito a entrare nell’Unione europea. Il giorno dopo è andato in Croazia, che ha seguito la stessa strada ed è stata l’ultima new entry a Bruxelles.

La prossima in lista è la Serbia, in cui l’ex ministro è stato ieri prima di spostarsi in Montenegro, altro candidato all’integrazione. Da Lubiana e Zagabria erano arrivate in Italia soprattutto dichiarazioni di Mattarella sull’immigrazione: erano passati pochi giorni dall’ennesimo naufragio e si era in pieno dibattito sulla necessaria risposta europea. In questi giorni, invece, i titoli sono dedicati al cammino di Belgrado e Podgorica verso l’Unione. Il presidente chiede un’accelerazione proprio mentre l’allargamento sta frenando, nel contesto delle tensioni con la Russia.

La crisi ucraina era nata con la scelta delle autorità di Kiev di congelare l’avvicinamento a Bruxelles, che aveva causato proteste di piazza. Il paese si è trovato in mezzo a due contendenti, due aree di influenza che sembrano aver giocato un ruolo importante nel conflitto. Se a questo si sommano la crisi economica europea e il tira e molla tra i sostenitori del rigore e quelli della spesa pubblica si capisce perché la Ue ha rallentato il percorso che porta a far entrare altri stati. L’ultima conferma al vertice di Riga, che non ha fatto segnare progressi per le ex nazioni sovietiche.

È vero che Moldova, Georgia e Ucraina non sono ancora candidati all’adesione, mentre lo sono Serbia, Montenegro, Macedonia, Albania, Islanda e Turchia. Un passo più indietro (ma più avanti dei paesi che appartenevano all’Urss) ci sono Bosnia e Kosovo, che “potenzialmente” – secondo la formula di Bruxelles – potrebbero aspirare all’ingresso. Mattarella pare voler ridare vigore alla prospettiva europea dell’ex Jugoslavia, ma difficilmente Belgrado entrerà nell’Unione prima di qualche anno, e per le altre capitali dell’area i tempi sono più lunghi e incerti.

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Il primo ministro macedone Gruevski è al centro di uno scandalo intercettazioni (foto European People's Party, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il primo ministro macedone Gruevski è al centro di uno scandalo intercettazioni (foto European People’s Party, http://bit.ly/1kuY8rA)

Crisi istituzionale e proteste di piazza. In Macedonia va avanti così da alcuni mesi, e le cose sembrano muoversi in una direzione inquietante. Finora i cortei contro il governo hanno ottenuto ben poco, se non scontri con la polizia che hanno fatto alcuni feriti. A riempire le strade è stata prima una riforma dell’istruzione, poi è iniziato lo scandalo intercettazioni che contrappone il primo ministro Gruevski al leader dell’opposizione Zaev.

Per diversi mesi il secondo ha detto di avere materiale compromettente sul suo avversario, ma non lo ha tirato fuori. In quel periodo avrebbe trattato per avere una contropartita in cambio del suo silenzio. I negoziati devono essere andati male, perché a febbraio Zaev ha iniziato a diffondere il contenuto di telefonate che secondo lui sono state spiate illegalmente dalle autorità di Skopje. Gruevski ha respinto le accuse ed è stata limitata la libertà del capo dell’opposizione, impedendogli di lasciare il paese – ma non di tenere continue conferenze stampa per raccontare ogni volta un altro pezzetto della sua presunta verità.

L’ultima rivelazione riguarda il caso di un ragazzo ucciso dalla polizia e ha spinto il fratello della vittima a convocare una protesta sotto la sede del governo. All’appello hanno risposto migliaia di persone, la tensione è salita e ci sono stati scontri. Gli agenti hanno caricato, usato lacrimogeni, cannoni ad acqua e arrestato diversi manifestanti. Zaev ora invita alla calma, ma viene il dubbio che in realtà sperasse di scatenare una rivolta con le notizie diffuse in queste settimane.

In questo contesto l’unico lato positivo della situazione macedone riguarda l’economia. Tra 2008 e 2014 il pil è salito dell’11% e secondo la commissione europea aumenterà quasi del 4% sia quest’anno che il prossimo. Il paese è candidato da 10 anni a entrare nella Ue, ma il traguardo è ancora lontano. Gli ultimi mesi fanno temere un peggioramento del caos nelle piazze e di quello istituzionale, con un’ombra di autoritarismo che sembra allungarsi su Skopje.

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La missione Eulex è iniziata quando il Kosovo si è dichiarato indipendente (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

La missione Eulex esiste da quando il Kosovo ha rotto con la Serbia (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

Il cammino del Kosovo verso un futuro migliore sembra ancora lungo. Nei giorni scorsi l’Unione europea ha diffuso un rapporto sulla missione comunitaria Eulex, attiva nella regione da sette anni. Il documento scagiona i militari da accuse di corruzione emerse nel 2014, ma mette in luce insuccessi nel contrasto alla criminalità. Il governo tratta con quello serbo per costruire un rapporto meno ostile, ma non è detto che i negoziati siano facili.

L’ultimo incidente istituzionale risale a pochi giorni fa. Il ministro degli interni di Belgrado ha detto che il responsabile esteri di Pristina sarà arrestato se – come pare – parteciperà a una conferenza prevista nella capitale serba tra il 23 e il 25 aprile. Il diretto interessato è Hashim Thaci, ex capo del governo kosovaro ed ex leader dei combattenti albanesi nella regione, accusato per crimini che avrebbe commesso negli anni ‘90. In questo contesto oggi a Bruxelles riprendono i colloqui tra le due rappresentanze.

Il tira e molla con Belgrado, in ogni caso, non è il problema principale dei cittadini di Pristina. Economia debole, disoccupazione alta, corruzione, politici nazionali ed europei incapaci di aiutare l’area a liberarsi dalle difficoltà: la lista rende l’idea della gravità della situazione. Un tempo l’ostacolo principale sembrava proprio lo scontro con la Serbia, che però si è affievolito esattamente due anni fa, quando i negoziati di Bruxelles hanno prodotto un accordo di distensione. Da allora quell’alibi non c’è più, ma i nodi da sciogliere in Kosovo restano ben stretti.

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Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Per la prima volta un paese ex-jugoslavo ha legalizzato i matrimoni gay. La Slovenia lo ha fatto circa una settimana fa, scatenando le proteste dei partiti di centrodestra e della chiesa cattolica. La conferenza episcopale di Lubiana ha invitato i preti a darsi da fare per raccogliere le firme necessarie a ottenere un referendum, ma sembra che la maggioranza dei cittadini sia favorevole alle nuove norme.

Il sì del parlamento è arrivato su una proposta di Sinistra unita, formazione di opposizione, appoggiata anche dal gruppo del primo ministro Miro Cerar. Pare che ora le coppie omosessuali potranno anche adottare bambini. Finora altri 12 paesi europei avevano istituito i matrimoni gay: in buona parte si tratta di stati del nord (Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Gran Bretagna, Danimarca). Ora la Slovenia apre una porta nei Balcani, dove l’intolleranza verso le persone non eterosessuali ha fatto notizia anche negli ultimi anni, dalla Serbia al Montenegro.

A Lubiana migliaia di cittadini hanno manifestato contro la svolta approvata dal parlamento. Dal partito di destra Nuova Slovenia, al governo negli scorsi anni, sono arrivate parole gravissime. “Così facendo – ha detto la presidente del comitato cultura – legalizzeremo la poligamia, e poi dovremo permettere anche il matrimonio tra uomini e bestie”. La speranza è che a pensarla così sia una parte molto minoritaria della popolazione.

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La fortezza Kale a Skopje (foto  Andrzej Wójtowicz, http://bit.ly/1o0kLtT)

La fortezza Kale a Skopje, capitale macedone (foto Andrzej Wójtowicz, http://bit.ly/1o0kLtT)

Qualcosa si muove in Macedonia. Nelle piazze continuano da mesi le proteste degli studenti, iniziate contro una riforma dell’istruzione ma continuate in un clima che sembra poter portare a un cambiamento più ampio. Nelle ultime settimane si è inasprito il confronto tra il primo ministro di centrodestra Gruevski e il leader di opposizione Zaev, in una crisi istituzionale che si lega a quella sociale.

L’attuale capo del governo guida il paese da quasi dieci anni. L’ultimo successo elettorale risale ad appena un anno fa: l’opposizione ha denunciato brogli, ma sembra colpevole di non essere riuscita a presentare un’alternativa credibile. Un altro motivo dell’inamovibilità di Gruevski pare essere l’economia: tra 2008 e 2014 il pil è cresciuto dell’11%, mentre tanti paesi europei annaspavano sotto i colpi della crisi. Allora perché in strada ci sono contestatori?

Mettiamo insieme i problemi che hanno fatto notizia all’estero negli ultimi mesi. Nella prima parte del 2014 sono scoppiati scontri di piazza legati alle tensioni etniche tra la componente albanese e quella macedone in senso stretto. In questi anni le autorità sembrano aver cercato di mantenere vivo l’astio reciproco, usandolo a fini politici. La corruzione è aumentata, o almeno questo diceva intorno a giugno Freedom House, ong statunitense che monitora lo stato di salute delle democrazie di tutto il mondo. Lo stesso rapporto parlava di diminuzione dell’indipendenza dei media, e una conferma in questo senso è arrivata a ottobre, con la relazione annuale della commissione europea sui paesi candidati a entrare nell’unione.

A questo vanno aggiunte le proteste degli studenti e la recente esplosione dello scontro tra Gruevski e Zaev, che denuncia uno spionaggio massiccio dei cittadini da parte del governo e il controllo politico di media e magistratura. Per questo è stato accusato di volere un colpo di stato e gli è stato ritirato il passaporto. In questo contesto il capo della commissione europea Juncker ha annullato un incontro con il primo ministro macedone. Uno scenario cupo che potrebbe illuminarsi se i movimenti di piazza organizzassero un’alternativa politica pulita e convincente.

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Il leader dell'opposizione macedone Zoran Zaev (foto FOSIM, http://bit.ly/1jpMrk5)

Il leader dell’opposizione macedone Zoran Zaev (foto FOSIM, http://bit.ly/1jpMrk5)

L’Unione europea chiede un’indagine indipendente sullo scontro istituzionale in corso in Macedonia. Il primo ministro Nikola Gruevski ha accusato il leader dei socialdemocratici Zoran Zaev di spionaggio e minacce a funzionari del governo. Il numero uno dell’opposizione ha dovuto consegnare il passaporto. Nei mesi scorsi aveva annunciato la diffusione di documenti compromettenti che avrebbero costretto chi guida il paese a dimettersi.

Secondo Gruevski, Zaev avrebbe ammesso di aver ottenuto queste notizie riservate da servizi segreti stranieri. Il politico di centrosinistra sarebbe accusato di voler arrivare a un colpo di stato, dopo le elezioni che l’hanno scorso hanno segnato la vittoria della destra sia alle presidenziali che alle legislative. La minoranza ha denunciato brogli, ma le proteste non hanno impedito a Gruevski di iniziare il suo quarto mandato da capo del governo. Si dice che Zaev fosse pronto a rendere pubbliche le prove dello spionaggio illegale di migliaia di cittadini. Il leader dell’opposizione è accusato di complotto insieme ad altre tre persone, tra cui l’ex capo dei servizi segreti.

Nei mesi scorsi il paese è stato scosso da manifestazioni anti-governative guidate dagli studenti. In autunno la commissione europea ha parlato di aumento del controllo politico sui media e di calo della fiducia popolare nelle istituzioni. Qualche mese prima l’ong statunitense Freedom House aveva declassato la democrazia macedone da “semi-consolidata” a “di transizione o regime ibrido”. Un quadro preoccupante a maggior ragione per un paese candidato a entrare nella Ue.

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La sede del governo croato (foto C K Leung, http://bit.ly/RT9dL0)

La sede del governo croato a Zagabria (foto C K Leung, http://bit.ly/RT9dL0)

Il governo croato si avvia a cancellare debiti alla fascia più povera dei cittadini. Il primo ministro di centrosinistra Zoran Milanovic ha approvato un programma che prevede il condono delle cifre dovute per bollette e servizi pubblici, se il proprio reddito personale non supera i 130 euro al mese e quello familiare non va oltre i 330. Ogni persona potrà vedersi abbuonare una somma massima di 4500 euro.

I cittadini coinvolti sarebbero 60mila, e l’operazione dovrebbe costare alle casse pubbliche qualche decina di milioni. Inevitabile pensare che sia una mossa elettorale: è vero che le politiche saranno a fine 2015, ma il centrosinistra è fresco di sconfitta alle presidenziali, dove il suo candidato – il capo dello stato uscente – è stato battuto contro le aspettative. La misura sociale annunciata dal governo potrebbe aiutare a invertire la rotta.

Difficile dire cosa succederà da ora alla chiamata alle urne. Uno scoglio per Milanovic potrebbe essere il referendum che stanno organizzando i cittadini contrari alla privatizzazione delle autostrade. Il terreno più spinoso, però, sembra proprio quello della crisi economica. Il paese è in recessione da sei anni; nel 2015 potrebbe tornare a crescere, ma a tassi bassi. La disoccupazione ufficiale è vicina al 17%. In questa situazione il centrosinistra dovrà sfidare la destra della neo-presidente Grabar-Kitarovic e il movimento civico di Ivan Vilibor Sincic, terzo incomodo alle presidenziali di gennaio.

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15-01-20 kosovo

Hashim Thaci con la responsabile esteri Ue Mogherini (foto European External Action Service, http://bit.ly/RT9dL0)

In Montenegro centinaia di persone hanno contestato il ministro degli esteri kosovaro Hashim Thaci, in visita a Podgorica. I manifestanti di etnia serba gli rimproverano i crimini di guerra di cui si sarebbe macchiato durante il conflitto del 1998-99 e si oppongono all’indipendenza di Pristina, riconosciuta dal loro paese pochi mesi dopo lo strappo da Belgrado.

Hashim Thaci è l’uomo che ha guidato quello strappo. E’ stato primo ministro dal 2008 allo scorso dicembre, quando ha lasciato la poltrona più importante. Negli anni ’90 è stato leader politico dell’esercito di liberazione del Kosovo. Contro il suo arrivo a Podgorica si è schierato anche il vescovo ortodosso Amfilohije, la figura religiosa più importante del paese. Al suo interno i montenegrini in senso stretto sono circa il 45%; un altro 33% è composto da serbi, mentre la percentuale restante si divide tra albanesi, bosniaci e altri gruppi. In Kosovo invece la maggioranza è albanese, con la minoranza serba concentrata a nord.

Podgorica ha dichiarato l’indipendenza da Belgrado nel 2006. Logico che abbia sostenuto la scelta analoga fatta da Pristina due anni dopo e mai accettata dalla (ex) madrepatria. Abbastanza comprensibile anche la protesta dei serbi montenegrini, diventati minoranza nel loro paese proprio dopo la secessione. Il punto è che in ex Jugoslavia le tensioni etniche fanno più paura che altrove, e gli spettri del terrorismo islamico potrebbero contribuire ad aumentarle.

 

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