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Archive for the ‘Turismo’ Category

L'isola di Pago (foto Wolfgang Wildner, http://bit.ly/1o0kLtT)

Isola di Pago (foto Wolfgang Wildner, http://bit.ly/1o0kLtT)

Un’ora di macchina più a sud c’è Zara, bella città costiera molto frequentata dai turisti. Quelli che visitano Pago, isola croata abitata da poche migliaia di persone, sembrano essere piuttosto scalmanati: per questo motivo il sindaco avrebbe deciso di approvare misure contro alcol e sesso in spiaggia, prendendo a modello nientemeno che Ibiza.

Il primo cittadino Ante Dabo ha visitato la famosa località spagnola, dove – assicura – “tutto fila liscio”, nonostante le orde di turisti che la affollano ogni anno. Poi ha stilato un nuovo regolamento che prevede multe da 100 a 150 euro, denunciando “le frequenti scene di giovani ubriachi che vagano seminudi per le strade del centro”. Si parla anche di risse e vere e proprie orge, che avrebbero allontanato famiglie e amanti della natura.

Il Comune ha addirittura pagato “tecnici britannici” per elaborare progetti di contenimento del suono prodotto dalle discoteche. Il piano del sindaco dovrebbe portare anche lavoro, con 15 vigilantes assunti ad hoc per sanzionare i comportamenti molesti. Sull’isola sono comparsi cartelli in cinque lingue per spiegare le nuove regole.

Pare che gli operatori turistici locali siano d’accordo, ma viene da chiedersi se la stretta in corso porterà danni o vantaggi economici. Quanti viaggiatori in cerca di trasgressione si sposteranno altrove? Quanti di quelli che desiderano tranquillità si faranno convincere dalla svolta proibizionista?  Un obiettivo potrebbe essere già stato raggiunto: far conoscere Pago a persone che non ne avevano mai sentito parlare. Il primo passo per conquistare nuovi turisti.

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Le isole Brioni si estendono per 8 chilometri quadri (foto LifeandTravel.com, bit.ly/18HnU5u)

Le isole Brioni si estendono per 8 chilometri quadrati (foto LifeandTravel.com, http://bit.ly/18HnU5u)

Non solo Budelli. In Italia ha fatto notizia l’acquisto dell’isola sarda da parte di un banchiere neozelandese: operazione che ora sembra svanire nel nulla, perché l’Ente Parco avrebbe presentato i documenti necessari per riprendersi il gioiellino naturalistico. In Croazia tocca all’arcipelago delle Brioni, dove nel ’91 fu firmato l’accordo che mise fine alla breve guerra in Slovenia (ma non evitò quelle che sarebbero seguite negli altri Paesi ex jugoslavi).

In particolare dovrebbe essere l’isola Brioni Maggiore, che – come suggerisce il nome – è la più grande, a finire in mano ai privati. In gioco ci sono le strutture turistiche del luogo: la concessione potrebbe valere tra 200 e 300 milioni. L’arcipelago attirava visitatori già a fine ‘800, e nel secondo dopoguerra fu scelto dal maresciallo Tito come residenza estiva. Lì il leader socialista ha ricevuto decine di capi di Stato, ma anche star del cinema come Elizabeth Taylor e Sophia Loren.

La tutela dell’ambiente locale resterà in capo al Parco nazionale, costituito trent’anni fa. In tutto è composto da 14 isole, in territorio italiano dal 1918 al 1945. La presenza “invasiva” di imprenditori non sarebbe una novità assoluta: nel 1893 l’arcipelago fu comprato da un magnate viennese, che mise su un complesso ricettivo formato da alberghi, ristoranti e addirittura un casinò. I fasti di quell’epoca hanno avuto riflessi anche a distanza di decenni: è il caso di un torneo internazionale di polo, avviato nel 1924 e tornato a disputarsi 80 anni dopo.

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Uno dei traghetti che portano da Ancona a Spalato. La traversata più veloce dura 4 ore e 45 minuti, quella più lenta 10 ore

Seconda e ultima parte dei luoghi da non perdere nell’ex Jugoslavia. Ci eravamo fermati a Sarajevo, in mezzo alla Bosnia, immersi nelle colline verdi che circondano la capitale. Ripartiamo in direzione sud-ovest, verso un’altra delle località più belle dei Balcani. Con lo stesso scopo della prima parte del viaggio: gustare le magie di una cultura vicina alla nostra e densa di mescolanze, sorprese, intrecci. Tutti da scoprire.

1) Mostar. A livello mondiale è conosciuta soprattutto per la tragedia degli anni ’90: la distruzione del famoso “Vecchio Ponte”, che venne abbattuto dai soldati croati il 9 novembre 1993. Oggi è stato riportato in vita, e insieme ad esso è rinata la città, un mosaico di edifici in pietra bianca e coi tetti rossi. Attraversata dal fiume Neretva, che nasce in Erzegovina e muore in Dalmazia, porta ancora i segni del conflitto, e in qualche tratto dà l’impressione di essere un po’ artificiosa, semplicemente perché è stata ricostruita di recente. Splendida.

2) Dubrovnik. Dalla Bosnia alla parte più meridionale della Croazia. L’ex repubblica marinara è una meravigliosa città fondata nel ’600, e bombardata durante la guerra nel 1991. Anche qui, le ferite della tragedia si vedono, ma la ricostruzione è stata efficiente e la bellezza del luogo è intatta. Come Mostar, è fatta di pietra bianca, ma rispetto alla località bosniaca, il centro storico è più raccolto: lo delimitano 2 chilometri di mura sopra alle quali si può passeggiare, osservando dall’alto le strade lastricate del borgo. Perla.

Uno scorcio della costa di Zara. La città fece parte della Repubblica di Venezia prima di essere annessa all'Impero austriaco

3) Spalato. Risaliamo lungo la costa e superiamo Neum, lo spicchio di Bosnia che si affaccia sul mare e che “interrompe” per 25 km la Croazia. Proseguiamo un centinaio di chilometri e troviamo il porto che collega il Paese all’Italia e in particolare ad Ancona, da dove partono i traghetti diretti nei Balcani. Spalato ha la sua attrazione maggiore nel Palazzo di Diocleziano, il complesso architettonico che coincide col nucleo originario del centro storico. E’ piacevole camminare lungo le vecchie strade interne, dove i tanti negozi non cancellano l’atmosfera da “antica Roma”. Intorno al Palazzo, la città si fa molto più moderna, e spesso non bellissima. Gradevole.

4) Zara. Continuando a risalire la Croazia, troviamo la storica capitale dalmata, un’altra città bianca e piacevole, che come Spalato si può vedere tranquillamente in un paio di giorni. Le vie lastricate sono molto simili a quelle delle altre località costiere che abbiamo descritto; alle tracce della guerra degli anni ’90 si sommano quelle del secondo conflitto mondiale, che vide Zara bombardata dagli alleati. Nonostante ciò, il centro è molto carino, e anche chi cerca una spiaggia per rilassarsi non resterà deluso. Graziosa.

5) Buon viaggio! L’ultimo spazio lo lasciamo libero. Libero per tutti gli altri luoghi da vedere, da scoprire, da raccontare. Libero perchè sarebbe riduttiva una lista “chiusa” di posti da visitare. Un itinerario per conoscere l’ex Jugoslavia non può escludere le foreste bosniache, le montagne serbe, i laghi sloveni, le isole croate. Sarebbe impossibile elencarli tutti, e così li riuniamo in un unico, ultimo suggerimento: viaggiate quanto più è possibile nei Balcani, perchè per le nove località che abbiamo consigliato, ce ne sono altre cento che neanche noi immaginiamo. Imperdibili.

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I laghi di Plitvice (Croazia) sono pieni di verde, specchi d'acqua, cascate: la più alta arriva a 78 metri

Dieci posti da vedere. Dieci posti da scoprire nel cuore dei Balcani. Dieci suggerimenti di viaggio per un itinerario tra Slovenia, Croazia, Serbia e Bosnia, alla ricerca di un’essenza – quella dell’ex Jugoslavia – fatta di diversità e somiglianze, natura e grandi città, piccoli borghi e splendide località marittime. Fatta di cultura e storia. Segnata dalla tragedia degli anni ’90. Ma piena di vitalità e bellezza, pronte a offrirsi al viaggiatore curioso e appassionato.

1) Lubiana. Arrivando dal Friuli, si entra nell’ex Jugoslavia da qui. La capitale slovena è un gioiellino abbastanza “occidentale”, più europeo che balcanico. Attraversata dal fiume Ljubljanica, ricca di verde, potrebbe trovarsi in Austria per quel che riguarda l’atmosfera e l’architettura. Qui la guerra non c’è stata, e si vede: la Serbia di Milosevic lasciò che la Slovenia diventasse indipendente quasi senza opporsi. Deliziosa.

2) I laghi di Plitvice. Entriamo in Croazia, e ci spostiamo subito nel cuore del Paese. Il parco naturale di Plitvice, vicino al confine con la Bosnia, è un posto assolutamente incantevole. I visitatori possono ammirare ben 16 laghi, camminando su passerelle di legno che li circondano o addirittura li attraversano. D’inverno il paesaggio è magico grazie alla neve, d’estate è scintillante per il verde della natura e l’azzurro dell’acqua. Meravigliosi.

Una delle vie del centro di Zagabria, disseminate di caffè ed eleganti edifici storici

3) Zagabria. Facciamo 140 km, e siamo nella capitale croata. Come a Lubiana, si respira un’atmosfera “austroungarica”, grazie agli eleganti palazzi storici e al verde del monte Medvednica che sovrasta la metropoli. Camminando per le vie lastricate del centro, ci si può fermare nei caratteristici caffè o prendere la funicolare che porta alla città alta. Molto bella piazza San Marco, su cui si affacciano gli edifici che ospitano il governo e il parlamento. Affascinante.

4) Belgrado. Prendiamo il treno e andiamo al centro della Serbia. La capitale si trova nel punto di incontro tra il Danubio e la Sava, e vicino ai fiumi si trovano i luoghi più belli. Dal Kalemegdan Park, un grande giardino con fortezza, si ammira proprio la confluenza tra i due corsi d’acqua, che offre un panorama stupendo. La metropoli è un po’ rumorosa e inquinata, più di quanto lo sia Zagabria: le difficoltà economiche in cui versa ancora il Paese si fanno sentire. Imponente.

Una veduta del fiume Miljacka, che attraversa la capitale bosniaca Sarajevo

5) Sarajevo. Cambiamo ancora Stato: entriamo in Bosnia-Erzegovina. Qui la guerra è stata atroce e lunghissima (quasi quattro anni di assedio), ma la dignità con cui è stata condotta la ricostruzione rende la città veramente gradevole. I segni del conflitto sono evidentissimi: basta alzare lo sguardo e osservare gli enormi cimiteri musulmani sparsi sulle colline circostanti. Il centro, però, è molto curato, il verde intorno alla capitale è stato salvaguardato, e l’atmosfera di mescolanza culturale e religiosa si respira ancora, nonostante una guerra che puntava a distruggerla. Unica.

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La funicolare che collega città alta e città bassa: con i suoi 66 metri di lunghezza, è una delle funicolari più piccole - e più caratteristiche - del mondo

Dalla costa sono 160 km, quasi due ore di macchina. Sarà per questo che molti turisti italiani snobbano Zagabria. Eppure di ragioni per avventurarsi nell’entroterra croato, raggiungendo la capitale, ce ne sarebbero molte. Le strade del centro, con i loro caffè, il verde dei parchi, come il giardino botanico di via Mihanovićeva, l’atmosfera delle piazze, come la centralissima Ban Jelacic, valgono senz’altro lo sforzo di una deviazione lontano dalle mete turistiche disseminate lungo l’Adriatico.

Zagabria è la città più popolata della Croazia: circa 700 mila abitanti, che arrivano a 1 milione e 200 mila se si considera tutta l’area metropolitana. Le ragioni di tanta densità di popolazione sono evidenti: nella capitale il tasso di disoccupazione è la metà di quello nazionale. Chi vive a Zagabria, insomma, ha buone possibilità di avere un lavoro. La stragrande maggioranza (oltre il 90%) dei residenti è croata, e dunque cattolica. La minoranza più consistente, quella serba, non supera il 3%.

Stadio Maksimir, 13/5/90. I tifosi di Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado si scontrano furiosamente: è un assaggio del furore nazionalista che divamperà di lì a pochi mesi

I “confini” di Zagabria sono naturali. A sud c’è la Sava, il grande fiume che nasce in Slovenia e si immette nel Danubio a Belgrado. A nord c’è il monte Medvednica, che vale assolutamente un’escursione di qualche ora. L’area di Medvednica, che raggiunge l’altezza massima di 1.033 metri, è in gran parte un parco naturale: quasi 230 chilometri quadrati, di cui oltre il 60% coperto di foreste. Arrivati in vetta, si può visitare l’antica fortezza di Medvedgrad, e soprattutto si può ammirare dall’alto la capitale: uno spettacolo che ripaga ampiamente la fatica della salita.

Durante la seconda guerra mondiale, la città fu capitale dello Stato indipendente di Croazia, sotto la guida del massacratore Ante Pavelic, leader degli ustascia che sterminarono decine di migliaia di serbi, ebrei, rom, ortodossi e comunisti. Oggi chi visita il cimitero monumentale di Mirogoj trova in bella mostra l’enorme tomba di Franjo Tudjman, il presidente-dittatore che negli anni ’90 avrebbe voluto spartirsi la Bosnia con il “collega” serbo Slobodan Milosevic. Per fortuna, la storia di Zagabria non è solo questa. E soprattutto, il suo presente è ben meno cupo. Basta percorrere i 160 km che la separano dalla costa, e godere delle sue bellezze, per capirlo.

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La repubblica marinara di Dubrovnik fu il primo stato europeo ad abolire la schiavitù nel 1416

Terremoti e guerre non sono riusciti a intaccare la sua bellezza. Come molti altri luoghi dei Balcani, Dubrovnik ha rischiato più volte di soccombere sotto il peso della violenza. Per sua (e nostra) fortuna è riuscita sempre a risorgere dalle macerie, e ancora oggi tiene fede al suo soprannome: la “perla dell’Adriatico”, a lungo repubblica marinara indipendente, attira migliaia di turisti da ogni parte del mondo.

E dire che non basta andare in vacanza in Croazia per visitare la splendida città balcanica. Chi va al mare in Istria, o passa qualche giorno a Zagabria, deve fare un bel po’ di strada per raggiungere Dubrovnik. Per arrivarci bisogna addirittura passare dalla Bosnia: Ragusa (nome italiano della città) è in fondo alla Dalmazia, a 200 km da Spalato. In mezzo c’è Neum, centro abitato di 4 mila anime che separa la… Croazia del nord da quella del sud, in quel lembo di “terra di nessuno” (almeno per i viaggiatori) che è l’unico sbocco sul mare della Bosnia. Per vedere Dubrovnik, insomma, bisogna volerci andare appositamente. E lo sforzo viene ampiamente ripagato.

Lo "Stradun", il viale che attraversa Dubrovnik. La città fu fondata nella prima metà del VII secolo

Il primo gioiello che scintilla all’arrivo sono le mura della città: oltre 2 chilometri di pietra bianca, affascinante come quella che riveste tutto lo splendido centro storico (patrimonio dell’umanità Unesco). Per visitarlo si cammina obbligatoriamente nello Stradun, il viale che va dalla porta Pile a piazza Luza: attraversarlo è una delle principali attività serali per i turisti, che passeggiano in mezzo ai negozi e a un’architettura rinascimentale che allo stesso tempo abbaglia e riposa la vista. Non ci si accorge dei segni, che pure – a volerli cercare – ci sono, del bombardamento che il 6 dicembre 1991 colpì la città e l’opinione pubblica internazionale, sdegnata per quell’affronto a una simile meraviglia (e soprattutto ai suoi abitanti, uccisi dalle forze armate jugoslave e in particolare montenegrine).

Dubrovnik ferita suscitò la commozione e la solidarietà di tutto il mondo: i fondi per la ricostruzione giunsero immediatamente dopo il conflitto. Non era la prima volta che bisognava impegnarsi per salvare la sua bellezza: il 6 aprile 1667 un terribile terremoto distrusse Ragusa quasi interamente. Allora furono il Papa e i sovrani di Inghilterra e Francia a finanziare la sua ristrutturazione. Proprio i transalpini, un secolo e mezzo dopo, avrebbero decretato la fine dell’indipendenza della repubblica marinara, attiva nel Mediterraneo orientale dall’Alto Medioevo. Oggi Dubrovnik è più “periferica” di un tempo, almeno per i turisti. Ma chi si sforza di andarla a vedere difficilmente resta deluso.

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Il ponte di Mostar, progettato dall’architetto Hajrudin e costruito nel 1566 per ordine del sultano Solimano il Magnifico

“Era quel simbolo, e non il manufatto, che si era voluto colpire. La pietra non interessava ai generali croati. Il ponte, difatti, non aveva alcun interesse strategico. Non serviva a portare armi e uomini in prima linea. Esisteva, semplicemente. Era il luogo della nostalgia, il segno dell’appartenenza e dell’alleanza tra mondi che si volevano a tutti i costi separare”.

(Paolo Rumiz, “La Repubblica”, 2 novembre 2003)

Pochi sanno che ci sono due 11 settembre: l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001 e il golpe cileno di Pinochet nel 1973. Quasi nessuno sa che si sono due 9 novembre: la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la distruzione del ponte di Mostar nel 1993. Come la dissoluzione della cortina di ferro, le cannonate dei militari croati che spezzarono in due la capitale dell’Erzegovina segnarono la fine di un mondo, di un sistema di valori fondato sulla coesistenza delle diversità che – su scala più ampia – era lo stesso che teneva insieme la Jugoslavia di Tito.

Fino all’esplosione del conflitto, a Mostar musulmani e croati avevano convissuto tranquillamente. I primi occupavano la parte a est dello Stari Most (“vecchio ponte”, da cui prende il nome la città), i secondi quella a ovest. Una separazione pacifica, che con la guerra sarebbe diventata una frattura dolorosa. Aggrediti dai serbi, croati e musulmani iniziarono a combattersi tra di loro, in casa propria, nei luoghi che avevano condiviso per tanto tempo. Nella zona occidentale si trovava l’unico accesso all’acqua potabile: quando i soldati del comandante Slobodan Praljak lo abbatterono, intrappolarono 55 mila musulmani, per lo più donne e bambini. Il ponte sul fiume Neretva, fino ad allora attraversato di notte e di corsa per sfuggire ai cecchini, divenne un muro invalicabile. Gli scontri proseguirono fino al “cessate il fuoco” del 25 febbraio 1994. Il passaggio da una parte all’altra della città rimase proibito fino al 1996.

Alcuni resti dell'artiglieria croata che distrusse il ponte di Mostar il 9 novembre di 17 anni fa

La ricostruzione dello Stari Most è stata ultimata solo sei anni fa: nel frattempo è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, così come tutto il centro città. E’ ripresa anche la tradizione dei tuffi nella Neretva. Durante l’anno i ragazzi bosniaci si sfidano gettandosi dal “vecchio ponte”: il 27 luglio si tiene addirittura una gara ufficiale. Pare che ormai partecipino quasi esclusivamente i giovani della parte musulmana. Anche questo è il segno di una “Jugoslavia delle diversità” che esiste ancora, ma che dal 9 novembre 1993 è molto più fragile. Spiegare perché persone che abitavano insieme da decenni presero a uccidersi è un compito difficile, che spetta innanzitutto agli storici. Di sicuro è necessario motivare la rapida frantumazione di quello scenario di convivenza delle differenze che erano Mostar e tutta la Jugoslavia socialista, per elaborare positivamente il lutto della guerra e costruire un futuro sereno per i Balcani.

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«L’apertura della cultura bosniaca allo “sguardo dell’altro” non deriva da una mancanza di identità o da una debole coscienza della propria identità, ma dalla disponibilità a riconoscere allo sguardo dell’altro rilevanza e fondatezza».

(Dzevad Karahasan, “Il centro del mondo”)

L’Altro è presente ovunque a Sarajevo. C’è nella Bascarsija, la zona più famosa e forse più turistica, dove i negozianti del luogo si mescolano ai visitatori stranieri. C’è nella Biblioteca Nazionale, dove una targa all’ingresso ricorda il rogo di oltre due milioni di libri operato dai “criminali serbi” durante la guerra. C’è nelle vie del centro, dove si gioca con scacchi giganti spostando le pedine sul lastricato. L’Altro, si potrebbe dire, è Sarajevo: l’incontro con il diverso, doloroso o piacevole che sia, è sempre stata la cifra caratteristica della città.

Cattolici, ortodossi, ebrei, musulmani: quattro religioni monoteiste convivono pacificamente nella capitale bosniaca. Anche le cosiddette “etnie”, che tali non sono perché appartenenti allo stesso ceppo slavo, sono rimaste in pace fino al 1992, quando serbi, croati e musulmani hanno iniziato ad uccidersi tra di loro. L’assedio di Sarajevo, durato quasi quattro anni, stravolse un microcosmo quasi unico al mondo, simbolo fino ad allora di tolleranza e ricchezza intellettuale. Oggi le differenze tra culture non sono sparite, anche se certo sono mescolate meno dolcemente di quanto lo fossero vent’anni fa. Certe ferite non si rimarginano rapidamente: i cimiteri sulle colline circostanti, cosparsi di tombe bianche in quantità impressionante, sono un promemoria costante per viaggiatori e cittadini.

Parlando con gli abitanti, però, si percepisce la convinzione nel guardare avanti, la volontà di pensarsi come un luogo vivo anziché come un teatro di morte. Nessuno, a Sarajevo, vuole rimuovere ciò che è stato: tutti, però, danno l’impressione di voler pensare al presente, ad un benessere che è ancora da costruire ma di cui si intravedono già i primi segni nella dignità con cui è stata ricostruita la città. Gli effetti della guerra si vedono, ma bisogna cercarli: i muri punteggiati dalle pallottole o gli edifici devastati dalle cannonate sono rari, soprattutto nelle zone centrali, che si occidentalizzano ogni giorno di più e vedono crescere il numero di bar e locali alla moda. I veri padroni della capitale sembrano essere i giovani, anche loro tutti diversi e “variopinti”, pronti a portare il Paese sempre più lontano da quell’atrocità che li ha travolti quando erano bambini.

In una delle vie del centro arde la Fiamma Eterna, il “monumento di fuoco” che brucia costantemente per ricordare i caduti del secondo conflitto mondiale. Poco più in là, una targa commemora l’uccisione dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando, la miccia che fece scoppiare la prima guerra mondiale. Se si vuole davvero “respirare” Sarajevo, però, conviene uscire dalla città, salire sulle colline verdi che la circondano e mettersi seduti, in silenzio. Davanti ai tetti rossi e al fiume Miljacka, alle distese di camposanti e ai minareti delle moschee, si intuisce quella che ci pare l’essenza della capitale bosniaca: la sua capacità di unire culture e religioni in una miscela gioiosa, la sua vocazione ad essere “centro del mondo” grazie all’incontro sempre rinnovato con l’Altro. Forse era proprio questa natura, questa apertura alla condivisione a infastidire i signori della guerra. Un’identità che riunisce le diversità fa paura. Quattro anni di orrore non sono bastati ad annientarla.

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Rapide e cascate sono disseminate in tutto il Parco di Plitvice

Ancora non sono diventati una meta turistica di massa. Anche se d’estate il transito di visitatori è notevole. I laghi di Plitvice, a 140 km da Zagabria, sono uno dei luoghi più incantevoli d’Europa. Immersi in una natura rigogliosa, che riempie gli occhi con il suo verde scintillante, sono il posto ideale per rilassarsi e godersi la bellezza del paesaggio croato. Coperti di neve d’inverno, freschi e luminosi d’estate, meritano assolutamente un’escursione di uno o due giorni, tappa obbligata per chi vuole conoscere a fondo l’ex Jugoslavia.

Il Parco nazionale di Plitvice, patrimonio dell’umanità Unesco, comprende 16 laghi, divisi in superiori ed inferiori. Entrambi sono visitabili interamente a piedi, spostandosi sulle passerelle che corrono a pelo d’acqua. Camminando lungo il perimetro dei laghi, oppure attraversandoli su ponticelli di legno, si ha quasi l’impressione di nuotare nell’azzurro cristallino da cui si è circondati: una magia a cui si aggiunge quella delle cascate, innumerevoli e tutte diverse tra loro, piccole e delicate oppure alte e maestose (la maggiore raggiunge i 78 metri).

Una delle passerelle che attraversano i laghi del Parco

Chi non ha voglia di fare il percorso sulle proprie gambe può servirsi dei pulmini, che viaggiano attraverso il Parco e offrono un punto di vista particolare sulle meraviglie dell’oasi. Da provare anche i traghetti che fanno la spola da una riva all’altra dei laghi, consentendo di ammirare gli specchi d’acqua dal loro interno in tutta tranquillità. I più fortunati potranno imbattersi nei tanti animali che popolano i boschi circostanti: 157 specie di uccelli, 50 di mammiferi, 321 di farfalle e molti altri.

Il pernottamento a Plitvice è confortevole. Dentro al Parco e nei suoi dintorni si trovano alcuni alberghi, da cui si possono raggiungere i laghi a piedi. A qualche km di distanza c’è un campeggio a basso costo, collegato comodamente da un bus navetta. Ovunque cada la scelta, ci si troverà a dormire in mezzo alla natura, con prezzi ragionevoli e un clima delizioso soprattutto in primavera. Chi visita Plitvice tra marzo e aprile può trovarci l’ultima neve di stagione, illuminata dal sole che inizia a farsi alto dopo l’inverno: una poesia che vale la pena di vivere di persona, scoprendo gli angoli nascosti di un paradiso in terra ben custodito dagli uomini.

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