
Se le trivelle rovinassero l’Adriatico ne risentirebbe anche il turismo (foto juan pablo santos rodríguez, http://bit.ly/1jpMrk5)
È una delle ricchezze più importanti dei Balcani occidentali, e il rischio è che sia danneggiata in modo serio. Parliamo del mar Adriatico, sotto attacco dai governi di Croazia e Montenegro. Il primo si è già mosso decisamente per concedere lo sfruttamento petrolifero di 10 settori a cinque colossi dell’energia: i contratti dovrebbero essere firmati ad aprile. Lo scenario potrebbe ripetersi a Podgorica, dove è stata indetta una gara d’appalto simile.
In Croazia l’attività delle associazioni ecologiste si è intensificata nelle ultime settimane. Le organizzazioni provano a fermare in extremis un processo iniziato circa un anno fa. Il bando per le aziende interessate a estrarre oro nero è stato pubblicato ad aprile ed è scaduto a novembre; a inizio anno è stato annunciato che le vincitrici erano cinque compagnie, tra cui l’italiana Eni. Solo dopo l’agenzia nazionale per gli idrocarburi ha presentato una valutazione d’impatto ambientale, un documento che Greenpeace definisce “disordinatissimo e pieno di omissioni”.
Il copione si ripete in Montenegro, con una roadmap che prevede prima la concessione del fondale marino e poi lo studio sui rischi per la natura. In questo caso le cose potrebbero andare anche peggio che in Croazia: l’area dichiarata perforabile inizia a tre chilometri dalla costa, invece che a dieci, e l’impressione è che finora la reazione ecologista sia stata troppo debole per fermare il governo. Le imprese che si sono fatte avanti sono le stesse accolte a braccia aperte dalle autorità di Zagabria.