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A destra l'ex primo ministro sloveno Jansa (foto European People's Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

A destra l’ex primo ministro sloveno Janez Jansa (foto European People’s Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

Un elettore su quattro. Nei due Stati ex-jugoslavi che fanno parte dell’Unione europea l’affluenza al voto per Bruxelles è stata intorno al 25%, molto più bassa della media continentale (43%). Sia in Slovenia che in Croazia hanno vinto i conservatori.

Zagabria è entrata nella Ue meno di un anno fa, ma la scarsa partecipazione alla consultazione sembra confermare la mancanza di entusiasmo dei suoi cittadini nei confronti dell’Europa. L’Unione Democratica Croata ha dato 12 punti ai partiti governativi: il centrodestra ha preso il 41%, contro il 29% messo insieme da socialdemocratici e liberali. Molto bene una nuova formazione ecologista, guidata da una ex ministra fuoriuscita dai socialdemocratici. Il suo 9,5% la pone davanti alla destra euroscettica, poco sotto il 7%. In tutto Zagabria manderà a Strasburgo 12 parlamentari.

In Slovenia le europee precedono di poco le politiche anticipate, in programma a luglio. Il grande vincitore della tornata appena conclusa è l’Sds, partito conservatore guidato da Janez Jansa, ex capo del governo condannato ad aprile per corruzione. In estate si tornerà alle urne per una faida interna al centrosinistra, punito dal voto comunitario: Slovenia Positiva, formazione del primo ministro dimissionario Bratusek, non è arrivata nemmeno al 7%.

In entrambi i Paesi un elemento centrale è la crisi economica. Per Lubiana si parla da molti mesi di possibili aiuti internazionali. Zagabria è in recessione da sei anni: a fine 2014 il pil potrebbe scendere di quasi un punto. Gli elettori dei due Stati hanno fatto capire di non credere che l’Europa possa aiutarli a risollevarsi.

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Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche e contro la classe politica (notizie.it)

Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche dei cittadini e contro la classe politica (notizie.it)

È l’unico Paese dell’ex Jugoslavia già entrato nell’Unione europea. E pare sprofondare nei problemi che stanno tirando a fondo altri Stati della Ue. La Slovenia ha eletto un nuovo presidente, ma la questione più grossa – anche politica – è un’altra. Disoccupazione, bolla immobiliare, titoli di Stato sotto pressione: la crisi si fa sentire, sia nel mondo “virtuale” della finanza che in quello concreto della vita quotidiana delle persone. Che nei giorni scorsi hanno manifestato in migliaia, per chiedere cambiamento e contestare la classe politica.

Le ricette di Borut Pahor, neo-capo di Stato ed ex primo ministro socialdemocratico, non suonano nuove. “Bisogna continuare con i tagli alla spesa pubblica”: austerità, come in Grecia, Spagna e tanti altri Paesi. Pahor ha sconfitto il capo di Stato uscente, Danilo Turk, anche lui di centrosinistra. L’affluenza è stata la più bassa di sempre: poco più del 40%, un sintomo della rabbia dei cittadini. Rabbia espressa restando lontani dall’urna, ma anche e soprattutto scendendo in piazza: in questi giorni si è manifestato nella capitale Lubiana e in altre città, come a Maribor, dove nel mirino c’è il sindaco indagato per corruzione. In alcuni casi ci sono stati scontri: venerdì sera a Lubiana ci sono stati quindici feriti.

Il Paese potrebbe dover chiedere aiuti internazionali, che causerebbero altre misure pesanti per la popolazione. Appena eletto Pahor ha fatto appello all’unità, ma in effetti – come ha fatto notare qualcuno – gli sloveni sembrano già uniti, contro la politica e l’abbassamento del loro tenore di vita. È vero che Turk aveva detto di voler salvare lo Stato sociale, opponendosi all’austerità, e ha perso. Ma la maggioranza dei cittadini non è quella che ha premiato il suo rivale. È quella che non è andata a votare.

FONTI: Corriere, Ansa, Il Piccolo, East Journal

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