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Volontari della Croce Verde Adria impegnati in Bosnia e Serbia (foto Nazionale Anpas, http://bit.ly/1jpMrk5)

Volontari della Croce Verde Adria impegnati in Bosnia e Serbia (foto Nazionale Anpas, http://bit.ly/1jpMrk5)

Ormai la fase dell’emergenza è quasi totalmente finita. In Bosnia solo alcune aree sono ancora invase dall’acqua, dopo le alluvioni che hanno colpito la regione circa tre settimane fa. Ora si contano i morti e i danni, si inizia a ricostruire, e ci si chiede se ci siano responsabilità umane per ciò che è successo. Anzi, più precisamente: responsabilità politiche.

Le vittime sono decine, come si era già capito nelle scorse settimane. I danni sono stimati in una cifra superiore al miliardo, forse due. L’area allagata sarebbe quasi metà del Paese, ma in quelle zone si genererebbe il 75% del pil. Insomma, come se in Italia piogge devastanti avessero colpito le fabbriche del centronord, delle regioni più sviluppate. Sarebbe un problema, anche alla luce della crisi che attraversa la penisola; a maggior ragione lo è in Bosnia, Stato tra i più poveri dell’ex Jugoslavia, con una disoccupazione che potrebbe essere tripla rispetto alla nostra.

Poi ci sono le polemiche. Il presidente della Repubblica Srpska, una delle entità in cui è diviso il Paese, sembra aver usato la situazione per ribadire le sue pretese autonomiste, rifiutando di collaborare con il centro di coordinamento dei soccorsi istituito a livello nazionale. In una municipalità devastata, e guidata da un sindaco dell’opposizione, il governo della RS ha nominato commissario un ex generale indagato per crimini contro l’umanità. A Sarajevo l’ex responsabile della Sicurezza ha portato in tribunale il primo ministro, rimproverandogli di aver tolto fondi alla prevenzione delle catastrofi.

Anche la gestione degli aiuti internazionali non è stata efficiente, tanto che i primi finanziamenti importanti potrebbero arrivare solo dopo l’estate. La classe politica bosniaca, messa sotto accusa nei mesi scorsi da proteste di piazza, non pare aver fatto molto per migliorare la sua reputazione. E il Paese fa i conti un’altra enorme tragedia, a cent’anni dallo scoppio della prima guerra mondiale e a quasi venti dalla fine del conflitto degli anni ’90.

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La Bosnia allagata vista da un elicottero di aiuti sloveni (foto European Commission DG ECHO, http://bit.ly/RaejCi)

La Bosnia allagata vista da un elicottero di aiuti (foto European Commission DG ECHO, http://bit.ly/RaejCi)

“Vedere gente che abbandona in fretta le case mi ha ricordato la guerra”. Una frase come questa può spiegare la portata delle alluvioni in ex-Jugoslavia. L’ha detta a Radio Popolare Azra Ibrahimovic, che lavora per il gruppo solidale Cesvi a Srebrenica. Gli effetti delle piogge torrenziali dei giorni scorsi sono stati davvero drammatici, con decine di morti e migliaia di sfollati.

La catastrofe ambientale che ha colpito soprattutto Bosnia e Serbia sarebbe la peggiore degli ultimi 120 anni. Una delle ultime cifre diffuse parla di 50 vittime, di cui almeno una in Croazia, ma è possibile che il numero salga con il ritirarsi delle acque, che potrebbe portare alla luce altri corpi senza vita. In Bosnia si teme per le conseguenze sui campi minati ancora presenti: da una parte la rimozione dei cartelli che segnalano il pericolo, dall’altra lo spostamento di ordigni che rischiano di arrivare non solo in Serbia, ma addirittura fino al Mar Nero.

Nelle scorse ore il ministro degli Esteri di Sarajevo parlava di un milione di persone senza acqua potabile: oltre un quarto della popolazione. In Serbia paura anche per alcune tra le maggiori centrali elettriche, minacciate dall’inondazione. Repubblica ha parlato di “diluvio che unisce i popoli nemici”, per raccontare la solidarietà tra cittadini di etnie diverse dopo i massacri degli anni ’90. Per chi vuole dare una mano, segnaliamo la pagina apposita di Osservatorio Balcani:

http://www.balcanicaucaso.org/news-balcani/Inondazioni-in-Bosnia-Erzegovina-Serbia-e-Croazia-come-aiutare-152066

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Il Ponte dei Draghi è uno dei simboli della capitale slovena, Lubiana

Il Ponte dei Draghi è uno dei simboli della capitale slovena Lubiana

E’ fatto di privatizzazioni e di una possibile richiesta di aiuti internazionali l’orizzonte della Slovenia. Da mesi si parla del fatto che Lubiana potrebbe dover chiedere il sostegno della troika Bce-Unione europea-Fondo monetario. Uno scenario che col passare delle settimane sembra diventare più concreto: alcuni giorni fa il governatore della banca centrale del Paese lo ha definito “probabile”, se la politica non approverà le misure necessarie per evitarlo.

La parola magica in questo senso sembra essere una: dismissioni. In vendita grossi calibri come la compagnia aerea di bandiera, la Telecom slovena e la seconda banca nazionale. Il piano di privatizzazioni dovrebbe essere pronto entro fine novembre. Al governo c’è Alenka Bratusek, prima donna della storia a guidare il Paese. Da quando è diventata primo ministro – lo scorso marzo – ha imposto l’aumento Iva dal 20 al 22% e promosso la creazione di una bad bank, che a partire dalle prossime settimane dovrebbe farsi carico dei mutui concessi dagli istituti di credito e mai rimborsati.

La disoccupazione è intorno al 10%: nel 2009 era sotto il 6%. Il pil è sceso di oltre il 2% nel 2012 e non dovrebbe andare molto meglio alla fine di quest’anno. Nove anni fa Lubiana entrava nell’Unione europea. Nel 2007 adottava la moneta unica. Ora molti dei suoi due milioni di cittadini sembrano soffrire la crisi, a quasi un anno dall’inizio delle proteste di piazza contro corruzione e austerità. Quelle manifestazioni portarono alla caduta del governo. Forse in questi mesi la politica slovena è migliorata. Lo stesso non sembra potersi dire dell’economia.

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Una moneta da 2 euro slovena (Wikipedia)

Una moneta da 2 euro slovena (Wikipedia)

Che la Slovenia possa dover chiedere aiuto all’Europa si sa da mesi, ma il caso Cipro ha fatto esplodere i timori su Lubiana. Come a Nicosia, nel Paese balcanico al centro delle preoccupazioni è il settore bancario, molto più piccolo di quello dell’isola mediterranea, ma comunque in forte sofferenza. Una situazione che spaventa in particolare anche l’Italia: le nostre banche sono molto più esposte nei confronti di quelle slovene (7 miliardi e 600 milioni) che di quelle cipriote (quasi un miliardo).

Un ottimo pezzo del Sole 24 Ore spiega bene lo stato dell’arte, guardando anche al passato. Dal ’92 al 2008 Lubiana è cresciuta mediamente del 5,5% annuo, a colpi di privatizzazioni post-socialiste. Poi le imprese privatizzate hanno iniziato a scaricare i loro problemi sulle banche. Negli anni in cui l’economia tirava gli istituti di credito hanno prestato somme importanti in particolare al settore immobiliare e a quello edile, che una volta scoppiata la crisi non sono riusciti a restituire tutto. Bolla immobiliare, quindi, che nel Paese si somma a una disoccupazione sopra il 13% e a un Pil che quest’anno dovrebbe calare del 3%. La Slovenia potrebbe essere il sesto Stato della zona euro a chiedere aiuto. In tutto i membri del “club” sono 17.

“Ce la possiamo fare da soli”, assicura il neo-primo ministro Alenka Bratusek, alla guida del governo da poche settimane. Il suo predecessore è stato sfiduciato dal parlamento dopo mesi di proteste di piazza contro la politica corrotta e le misure di austerità già approvate. Il “tour della troika” rischia di arricchirsi sempre di nuove tappe, e non pare proprio lasciarsi alle spalle una scia di successi. E se Cipro è riuscita a spaventare l’Europa e forse il mondo, che effetto avrebbe un caso-Slovenia?

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