
La località della miniera di Vares, in Bosnia (foto Fotosensibile, http://bit.ly/1jpMrk5)
Da un terremoto di magnitudo 3.5 sulla scala Richter non ci si aspetterebbero danni devastanti. Per fare un esempio, quello dell’Aquila che nel 2009 fece oltre 300 morti era di magnitudo 5.8. È bastato molto meno per uccidere cinque minatori in Bosnia, a Zenica, nel cuore del paese. Al momento della scossa nelle gallerie c’erano circa 60 lavoratori: 22 sono riusciti a uscire da soli, 34 sono stati salvati. Gli altri non ce l’hanno fatta.
Secondo fonti locali nell’ultimo anno nella struttura c’erano già stati due incidenti. I soccorsi sono durati circa 20 ore, e hanno coinvolto minatori arrivati da altre città. Venticinque di loro sono stati ricoverati dopo essersi impegnati nell’impresa. Appena usciti alcuni dei colleghi che erano rimasti intrappolati sono saliti direttamente sulle ambulanze. Per salvarli è servito un tunnel di un centinaio di metri. Si sperava che avessero abbastanza ossigeno per resistere, e per fortuna è andata così.
Esattamente un anno fa aveva fatto notizia uno sciopero di minatori a 250 metri di profondità a Djurdjevik, a un centinaio di chilometri da Zenica. Gli operai chiedevano condizioni di lavoro migliori e stipendi più alti, adeguati al minimo garantito (solo 460 euro al mese!). Due anni fa un loro collega era morto a Breza, vicino a Sarajevo, asfissiato da gas velenosi 300 metri sotto terra.
Di miniere si parla soprattutto quando succedono fatti come questi. Per il resto sembrano appartenere al passato, come se fossero sparite nell’800, o al massimo negli anni ’50, quando un incendio uccise centinaia di lavoratori a Marcinelle, in Belgio. Non è così: le fiamme hanno causato un numero ancora più alto di vittime a Soma, in Turchia, pochi mesi fa. Queste strutture esistono ancora, e in Bosnia ospitano persone pagate male e poco tutelate anche da altri punti di vista, a giudicare dalle cronache di cui sopra.