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Posts Tagged ‘bregovic’

I Bijelo Dugme, gruppo in cui ha suonato per anni Goran Bregovic, terzo in basso da destra (aleksandararezina.blogspot.com)

I Bijelo Dugme, gruppo in cui ha suonato per anni Goran Bregovic: nella foto è il terzo in basso da destra (aleksandararezina.blogspot.com)

Autoplagio. È piovuta addosso questa accusa a Goran Bregovic, re della musica balcanica, molto conosciuto anche in Italia. Al centro delle polemiche l’inno per i Mondiali di sci nordico che inizieranno il 20 febbraio in Val di Fiemme, in Trentino. Alcune testate ex jugoslave hanno scritto che il brano somiglia a un pezzo del gruppo in cui Bregovic suonava negli anni ’80: apriti cielo, anche perché la canzone è costata alla Provincia decine di migliaia di euro.

Il pezzo incriminato dei Bijelo Dugme, molto popolari nella Repubblica Socialista Federale post-Tito, si chiama Hajdemo u planine: “andiamo in montagna”. Alcuni hanno scritto che fu usato per promuovere le Olimpiadi invernali di Sarajevo, ma non ne abbiamo trovato conferma: i Giochi si tennero nel 1984 e il brano è contenuto in un album del 1986, ma può darsi che sia stato utilizzato “in anteprima” per la manifestazione. L’inno dei Mondiali trentini è uscito nella sua versione ufficiale nelle ultime ore, dopo che alcuni giorni fa ne era stata diffusa una versione più grezza e meno curata. Difficile dire con certezza se e quanto somigli al pezzo dei Bijelo Dugme: anche tra gli esperti musicali ci sono pareri diversi. Bregovic ha risposto alle polemiche senza scomporsi troppo: “La canzone si difende da sola”.

Diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, hanno scritto che l’inno della discordia è costato alla Provincia quasi 85mila euro. Il dato ufficiale diffuso ieri parla di 30mila. Qualcuno si è spinto addirittura a parlare di plagio quadruplo: il brano degli anni ’80 sarebbe stato sfruttato 1) dai Bijelo Dugme, 2) per le Olimpiadi, 3) per il Trentino e 4) nella colonna sonora del film di Kusturica Arizona Dream, in un pezzo chiamato Get the money. Un’insinuazione che complica ulteriormente la disputa, e ci rafforza nella convinzione di non avere le competenze per risolverla. Resta una considerazione: se l’obiettivo dell’inno era far parlare dei Mondiali trentini, in qualche modo è stato raggiunto.

FONTI: Il Piccolo, L’Adige

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Un fotogramma della scena più bella del film, sottolineata da "Ederlezi" di Bregovic (listal.com)

“Quando Dio è sceso in Terra, ha incontrato i gitani. E ha preso il primo volo per tornare indietro”. E’ una delle frasi pronunciate dai protagonisti de Il tempo dei gitani, meraviglioso film di Emir Kusturica del 1988. La pellicola racconta le peripezie di Perhan, un giovane gitano che lascia i Balcani e si ritrova catapultato in Italia, finendo incastrato in situazioni assurde, dolorose e ben oltre il limite della criminalità.

Lungo più di due ore (ma l’edizione originale, destinata alla tv, durava più del doppio), il film è un romanzo di formazione, la storia di un ragazzo innamorato che scopre sulla sua pelle la brutalità del mondo che lo circonda. Il traffico in cui rimane invischiato riguarda gli esseri umani: bambini, disabili, persone le cui debolezze vengono sfruttate per lucrarci sopra senza pietà. La bellezza dell’opera di Kusturica, però, più che nella trama sta nel messaggio che le è sottinteso, nella spettacolare follia che guida le azioni dei personaggi. Il talento visionario del regista serbo emerge con una poesia memorabile, superata solo da quella di Underground, che Emir girerà sette anni dopo. Non è un caso se entrambi i film sono stati premiati a Cannes: il primo per la miglior regia, il più recente – capolavoro assoluto di Kusturica – come miglior pellicola.

Emir Kusturica, 56 anni, è stato premiato sia al Festival di Cannes che a quello di Venezia (vivacinema.it)

Il tempo dei gitani è il primo incontro cinematografico tra Kusturica e Bregovic, che firma musiche trascinanti e piene di magia. La colonna sonora è meno conosciuta rispetto a quella del già citato Underground, ma non le è assolutamente da meno. Le melodie più belle sono quelle lente, sognanti, che assumono addirittura toni epici nella commovente Ederlezi. Accanto ai pezzi di Bregovic, ciò che si ricorda di più del film è l’atmosfera surreale che lo pervade: un “marchio di fabbrica” prevedibile in Kusturica, ma che – diversamente da altri suoi film, primo fra tutti La vita è un miracolo (2004) – in questo caso non è mai scontato, perché non è stravaganza fine a se stessa, ma pazzia che serve a raccontare e incantare. Se dovessimo salvare un solo film di Kusturica, sarebbe sicuramente Underground; ma se dovessimo scegliere il più magico, il più delicato, il più soave, indicheremmo Il tempo dei gitani – difficile da vedere per chi non ama Kusturica, fantastico per chi lo adora, e magari è un po’ deluso dalle sue opere più recenti.

Fonti: Wikipedia, mymovies.it

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Benvenuti al festival di Guča...

“Guča rappresenta nel modo migliore cos’è la Serbia oggi. Con la tromba noi esprimiamo la nostra gioia e la nostra tristezza: nasciamo con i suoni della tromba, moriamo con i suoni della tromba. Chi non riesce a capire a ad amare Guča, non può capire la Serbia”.

(Vojislav Kostunica, primo ministro serbo dal 2003 al 2008)

Corni, trombe, tromboni, tube, flicorni: in una parola, ottoni. Sono loro i protagonisti del festival di Guča, paesino di 2 mila anime nel cuore della Serbia. Qui da 50 anni si tiene una manifestazione che unisce musicisti virtuosi e improbabili suonatori, ascoltatori appassionati e zelanti ubriaconi: un “delirio organizzato” che quest’anno durerà ben dieci giorni, dal 13 al 22 agosto.

Il nome più conosciuto è senz’altro quello di Goran Bregovic, che suonerà mercoledì 18 agosto. Per lui arriveranno in decine di migliaia da tutto il mondo. Ma lo zoccolo duro di Guča, i serbi che ballando al suono degli ottoni celebrano l’orgoglio di essere serbi, i fedeli della seconda religione nazionale dopo quella ortodossa – quella della tromba -, aspettano con maggiore frenesia altri personaggi: ad esempio Boban Markovic, il trombettista che nel 2001 si guadagnò, primo nella storia del festival, il voto più alto da tutti i membri della giuria. Da allora non ha più voluto gareggiare, ma ha continuato a partecipare “fuori concorso”. Quest’anno si esibirà martedì 17 agosto, la stessa sera di Shantel, il dj tedesco che fonde musica elettronica e musica balcanica e che ha collaborato anche con l’italiano Roy Paci.

La statua del trombettista di Guča, testimone dell'inaugurazione del festival. E del delirio che ne consegue

Guča, comunque, non è solo quello che accade sul palco, anzi. Accanto alla competizione ufficiale ci sono centinaia di bande semi-professionali o di evidenti dilettanti, che invadono strade, piazze, locali con la loro musica travolgente e spesso cacofonica, digeribile solo se annaffiata con fiumi di alcol. Il tutto porta in città centinaia di migliaia di musicisti, appassionati, curiosi o semplicemente squilibrati, attratti dal suono delle trombe e dal richiamo di una colossale sbornia collettiva, in perfetto stile balcanico.

Durante la scorsa edizione, gli organizzatori del festival annunciarono di aver invitato due ospiti… particolari per festeggiare il 50° anniversario: Vladimir Putin e Barack Obama. Il presidente Boris Tadic dichiarò che la cosa era, senza ombra di dubbio, “non completamente impossibile”. Nessuno, probabilmente, vedrà arrivare i grandi della Terra a Guča. Ma se dovesse succedere, il prestigio che ne risulterebbe sarebbe enorme. Per il festival? No di certo, risponderebbero i fedeli dell’ottone. Sarebbero Putin e Obama a doversi sentire onorati. Avevate dubbi?

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Il kalashnikov è usato come arma d'ordinanza da moltissimi eserciti regolari. Si calcola che finora ne siano stati prodotti oltre 100 milioni

Il sottufficiale sovietico Michail Kalashnikov lo progettò nel 1947. Da allora il fucile mitragliatore AK-47, purtroppo, non è passato mai di moda: dal Vietnam alle guerre jugoslave, non c’è conflitto che non lo abbia visto protagonista. In Italia spesso viene usato dai criminali comuni, perché facilmente reperibile sul mercato clandestino come residuato bellico proveniente proprio dai Balcani: è il caso di tre pregiudicati slavi arrestati pochi giorni fa a Milano.

Petar Skoro e Igor Kolar, 34 anni a testa, e Per Radosan Djorovic, 32, stavano mangiando in un ristorante di lusso nel quartiere di Brera quando hanno visto entrare i carabinieri. Il giorno dopo volevano assaltare un portavalori: bottino previsto, 2 milioni di euro. Per accaparrarselo si erano procurati due bombe a mano M75, 40 grammi di esplosivo al plastico, un centinaio di proiettili calibro 7,62, 3 mila pallini al piombo e, per l’appunto, due kalashnikov. L’arsenale è stato ritrovato a casa di Issam Bouyahia, 35 anni, cameriere tunisino incensurato, catturato poche ore dopo insieme a Ciro Marillo, 41 anni, e Quirino Sereno, 46. I sei componevano una “gang multietnica”, con risvolti inquietanti nel passato dei malviventi balcanici.

Il massacratore Zeljko Raznatovic, detto Arkan. Nelle sue truppe militava uno dei criminali arrestati a Milano

I tre, infatti, non sono nuovi all’uso dei kalashnikov. Igor Kolar, già arrestato a Milano 11 anni fa per una sparatoria che fece tre feriti in corso Garibaldi, era arruolato nelle “tigri di Arkan”, banditi assassini tristemente noti nella Jugoslavia degli anni ’90. Anche i suoi complici potrebbero avere alle spalle una storia simile: “Stiamo facendo accertamenti per capire se hanno fatto parte di organizzazioni militari o paramilitari”, dice Antonino Bolognani, colonnello del nucleo investigativo dei carabinieri che ha sgominato la banda. Le indagini sono iniziate da un’altra rapina avvenuta a Milano: il 14 aprile un anziano ex gioielliere è stato picchiato sul pianerottolo di casa, legato e derubato di orologi e preziosi. Un malloppo a cui poteva aggiungersi l’incasso dei supermercati trasportato dal portavalori la mattina in cui avrebbe dovuto svolgersi l’agguato.

Goran Bregovic ne parla nella sua canzone più famosa: “Kalashnikov”, un inno dell’Est Europa, la zona da cui arrivano anche gli strumenti di guerra sequestrati dalle forze dell’ordine. Sempre da Est proviene il mandato di cattura europeo spiccato dalla Serbia per Per Radosan Djorovic, accusato di essere coinvolto in storie di droga e armi. Lui, Kolar e Skoro avevano falsi documenti sloveni, probabilmente per garantirsi un accesso comodo in Italia da un Paese membro dell’Unione Europea. Erano arrivati a Milano da circa un paio d’anni: il tempo di progettare i loro piani e rintracciare proiettili, bombe e kalashnikov. Fortunatamente, però, stavolta gli AK-47 non sono riusciti a sparare.

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Mélanie Laurent, 27 anni, ha esordito in "Un pont entre deux rives" (1999) di Gerard Depardieu

Prendi un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei emarginati dal regime sovietico. Portali a suonare Ciajkovskij a Parigi, nel prestigioso Théâtre du Châtelet. Condisci il tutto con un’insolita storia “sentimentale” tra una violinista di successo e un ex grande direttore d’orchestra: il risultato è Il concerto, l’ultimo coinvolgente film di Radu Mihaileanu. A differenza di Train de vie (1998), a firmare la colonna sonora non è Goran Bregovic, ma un bravissimo Armand Amar: la pellicola ha già vinto il premio César 2010 per le migliori musiche e il miglior sonoro.

La storia inizia a Mosca, ai tempi di Leonid Breznev. Andrei Filipov (un convincente Aleksei Guskov) dirige i musicisti del Teatro Bolshoi. Quando si rifiuta di liberarsi dei suonatori ebrei, viene cacciato insieme ai suoi strumentisti. Trent’anni dopo, Andrei lavora ancora al Bolshoi, ma come uomo delle pulizie. Una sera trova casualmente un fax indirizzato alla direzione: è lo Châtelet, che invita l’orchestra ufficiale a suonare a Parigi. Il malinconico protagonista, ancora segnato dall’umiliazione del licenziamento, ha allora un’idea folle: riunire i suoi vecchi sodali e portarli in Francia, spacciandoli per gli orchestrali del Bolshoi. A spingerlo sono l’amore per la musica e la voglia di riscatto, ma anche il desiderio di incontrare la giovane stella del violino Anne-Marie Jacquet (Mélanie Laurent, famosa da Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino). Semplice attrazione fisica? O forse tra i due c’è un legame più profondo, nato proprio trent’anni prima, in occasione della “censura” sovietica? Mihaileanu ci svela la verità lentamente, suggerendoci con parsimonia ciò che il passato nasconde: e in questo sta la vera bellezza del film, che incuriosisce e appassiona grazie a una trama brillante e a personaggi molto ben assortiti.

Nel film c'è anche una piccola parte per Lionel Abelanski, lo Shlomo di "Train de vie"

“Se il violino non suona bene, l’orchestra va per conto suo e viceversa: i due elementi sono indissociabili”. Mihaileanu riassume così l’essenza della vicenda: credere in qualcosa, e crederci insieme ad altre persone, è il modo migliore per vivere con umanità. Come le altre opere del regista rumeno, anche questa fa sorridere ed emozionare: alcune scene di “pazzia” gitana sono degne del miglior Kusturica. “L’umorismo che preferisco è quello in reazione al dolore e alle difficoltà” dice Mihaileanu. “Per me, l’ironia è un’arma giocosa e intelligente, una ginnastica della mente, contro la barbarie e la morte, un modo per spezzare la tragedia che ne è la sorella gemella”. Il sogno della sgangherata compagnia di Filipov, che vuole portare a termine “il” concerto interrotto dalla dittatura, è animato dalla forza e dalla passione di chi non si arrende alla sofferenza: la stessa energia vitale che ha permesso all’ex Jugoslavia di sopravvivere con dignità agli orrori degli anni ’90.

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L'orchestra di Goran Bregovic riunisce chitarre, archi ed ottoni

E’ stato leader della maggiore rock band della Jugoslavia socialista. Ha firmato le colonne sonore delle pellicole più famose della filmografia balcanica. Ha lavorato con artisti come Cesaria Evora, Kayah e Iggy Pop. Goran Bregovic è uno dei musicisti slavi più celebri al mondo. Nato nel 1950 a Sarajevo, è conosciuto da molti per il suo legame con Emir Kusturica: il suo successo, però, inizia nella Bosnia degli anni ’70, ben prima della collaborazione col regista serbo.

E’ il 1974 quando Goran fonda i Bijelo Dugme (bottone bianco), gruppo di cui è chitarrista e che nel giro di pochi anni si fa conoscere in tutto il Paese. Il loro secondo album vende 200 mila copie. Nel 1977 suonano a Belgrado davanti a più di 70 mila persone. Negli anni ’80 i loro ritmi si avvicinano al pop e soprattutto al folk, assumendo quelle sonorità gitane che tanto saranno care a Bregovic nella sua carriera da solista. La cavalcata della band si arresta nel 1989: ironia della sorte, lo scioglimento arriva pochi mesi prima della disgregazione della federazione jugoslava.

Appena salutati i vecchi amici, Bregovic abbraccia un nuovo compagno d’avventure: Emir Kusturica, per il quale scrive le musiche de Il tempo dei gitani, affresco surreale della realtà rom tra i Balcani e l’Italia. Il sodalizio tra i due artisti prosegue felicemente: Goran compone le colonne sonore di Arizona Dream (1993), con Johnny Depp, e poi di Underground (1995), capolavoro premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Proprio all’apice della sua popolarità, però, la coppia si rompe. Il regista rimprovera al musicista di abusare delle melodie dei film nei suoi concerti. Il 1998 è l’anno della separazione: Bregovic firma le musiche di Train de vie di Radu Mihaileanu, ma non quelle di Gatto nero, gatto bianco di Kusturica. Da allora i due non lavoreranno più insieme.

Bregovic attore ne "I giorni dell'abbandono" (2005), con Luca Zingaretti e Margherita Buy

Negli anni successivi Goran registra numerosi album con la sua Wedding & Funeral Orchestra, con cui suona in giro per il mondo toccando spesso l’Italia. A onor del vero, bisogna dire che non sempre le sue performance live possiedono la vivacità, la passione e la capacità di coinvolgimento delle canzoni originali. Il calore musicale che sprigiona dalle creazioni di Bregovic sembra un po’ “raffreddato” nelle versioni dal vivo, che tante altre band invece usano per trasmettere al meglio tutta la loro energia. Lo stile e la bravura compositiva del nostro, comunque, restano eccellenti, così come lo erano ai tempi del “bottone bianco” balcanico. Sono passati 36 anni dall’esordio sulle scene di Goran. Gliene auguriamo almeno altrettanti, con il sogno – forse l’illusione – di vederlo un giorno nuovamente unito al suo (ex) amico Emir.

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La banda di strada dei Fiati sprecati suona con Vinicio Capossela ad Arezzo Art 2009

Puoi incontrarli all’università, in una manifestazione di piazza, ad un festival. Puoi ammirare l’armonia con cui suonano o farti semplicemente contagiare dalla loro energia. Ma difficilmente potrai fare a meno di ballare. I Fiati sprecati, banda di strada fiorentina, sono nati nel 2000. Da allora animano i luoghi più diversi con trombe, tromboni, flauti, clarinetti e sassofoni: una composizione che ricorda molto quella delle orchestrine gitane rese note da Emir Kusturica. E il loro legame con le musiche dell’ex Jugoslavia non si ferma qui.

La miscela di generi, ritmi e culture dei Fiati Sprecati nasce innanzitutto dalla loro provenienza geografica: abruzzesi, pugliesi, veneti, sardi, siciliani, emiliani, lombardi, tedeschi, americani e francesi, oltre naturalmente agli “indigeni” toscani. In secondo luogo ci sono i gusti musicali dei suonatori, ognuno dei quali ha una formazione diversa: si va dal beat anni ’60 allo swing, passando per il jazz e per i canti di lotta partigiana. Denominatore comune, comunque, sono i ritmi balcanici, tzigani e dell’est europeo in genere, vera cifra stilistica della banda.

I musicanti hanno il loro punto di incontro nel quartiere fiorentino di Gavinana: il Centro popolare autogestito è un luogo di aggregazione sociale e culturale, che ospita cineforum, laboratori artistici e concerti. E’ soprattutto, un’ex scuola occupata, simbolo di un’azione “politica” di lotta alle disuguaglianze in cui il gruppo si riconosce pienamente. Solidarietà, pacifismo, denuncia dei mali della globalizzazione: nelle serate animate dai Fiati c’è tutto questo, oltre a molta voglia di divertire e divertirsi.

La filosofia dominante è quella dell’apertura, tanto che alle prove settimanali può partecipare chiunque voglia unirsi alla compagnia: negli anni sono entrati ed usciti dalla banda decine di musicisti. Quello dei Fiati Sprecati non è un caso isolato: in Italia e nel mondo sono tante le realtà simili, dalla Hungry March Band di New York, alla Titubanda di Roma, all’Express Brass Band di Monaco di Baviera. A unire suonatori vicini e lontani è l’amore per la musica, e in particolare per la musica balcanica, fonte di ispirazione preziosa per molti di questi gruppi. Forse nessuno di loro sarà mai famoso come Goran Bregovic. Ma molti di loro, per passione e capacità di coinvolgimento, non hanno nulla di invidiargli.

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Lionel Abelanski nei panni di Shlomo. Il suo ruolo era stato offerto a Benigni

“Se Hitler fosse vivo e vedesse tutti i programmi tv cupi e noiosi sulla Shoah e sentisse tutti i pianti e i lamenti degli ebrei sarebbe felice. L’unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti, che sono ancora vivi in Sudamerica, è farli imbestialire, è mostrar loro che siamo vivi, che non ci hanno distrutti, che il nostro umorismo non è stato cancellato dalle loro barbarie”.

Radu Mihaileanu è nato a Bucarest 51 anni fa. Train de vie è il suo film più famoso: ambientato durante la seconda guerra mondiale, racconta la tragicomica fuga di una comunità di ebrei dalla persecuzione nazista. Dopo aver rimesso in sesto un vecchio treno, i protagonisti lasciano il proprio villaggio dell’Europa dell’Est, inscenando una falsa deportazione di se stessi. Alcuni di loro si vestono da soldati tedeschi, fingendo di dover portare i propri concittadini in un campo di concentramento: in realtà la loro meta è la Palestina, ma per arrivarci dovranno superare molte difficoltà. Lungo la strada li fermeranno più volte gli uomini di Hitler, che inganneranno con vari stratagemmi; il viaggio raggiungerà il suo punto più surreale quando a bloccare la stravagante comitiva sarà una compagnia di gitani, anch’essi incredibilmente travestiti da nazisti.

Il taglio del racconto è ironico, delicato, inusuale per un tema come quello della Shoah. Oltre a Mihaileanu, solo un altro regista è riuscito a parlare dell’argomento con la stessa profonda leggerezza: Roberto Benigni. Proprio al comico toscano era stata offerta la parte di Shlomo, il matto del villaggio che è il narratore di Train de vie. Dal suo rifiuto nacque La vita è bella, che nel 1999 vinse l’Oscar come miglior film straniero. La pellicola di Mihaileanu si dovette “accontentare” del David di Donatello, sempre come migliore produzione straniera, sempre nello stesso anno.

Cosa c’entra Train de vie con i Balcani? I punti di contatto sono almeno due. C’è la colonna sonora di Goran Bregovic, soave, trascinante, che accompagna con allegra malinconia le peripezie dei “deportati”. E c’è una filosofia, uno spirito di vita che è quello che oggi anima anche i Paesi dell’ex Jugoslavia. “L’unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti è mostrar loro che siamo vivi”: le parole di Mihaileanu valgono per chiunque reagisca a una tragedia puntando tutto sull’umanità, sulla fede (laica o religiosa che sia) nella capacità di fare del bene. Una fede che sopravvive all’orrore prodotto dagli stessi esseri umani, nell’Europa degli anni ’40 come in quella degli anni ’90.

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Il regista Emir Kusturica

“Porci fascisti figli di troia!”

(Petar Popara detto “il Nero”)

Underground è il film più famoso di Emir Kusturica. Palma d’oro a Cannes nel 1995, racconta la disgregazione della Jugoslavia attraverso una storia esplosiva, surreale, romantica. Una perla per chi ama la cultura e l’atmosfera dei Balcani.

Belgrado, anni ’40. Durante la seconda guerra mondiale, Petar detto “il Nero” combatte i nazisti dall’interno di un sotterraneo, dove insieme ad altri resistenti fabbrica armi per sostenere la lotta partigiana. Una volta finito il conflitto, viene ingannato dall’amico e socio Marko, che gli fa credere che i tedeschi non siano stati ancora sconfitti. Per vent’anni, la cittadella nascosta continua a produrre bombe e kalashnikov: a beneficiarne è Marko, che si arricchisce e diventa un esponente di punta del regime comunista di Tito. Quando l’imbroglio viene scoperto, le strade dei due amici-nemici si dividono, fino a ritrovarsi in un’altra Jugoslavia in guerra, quella dei primi anni ’90.

La banda di ottoni che insegue ovunque i protagonisti è il simbolo di una narrazione folle e grandiosa. Ritmo, genio, poesia, universalità: come il romanzo “Il ponte sulla Drina” di Andric, l’affresco corale dipinto da Kusturica racconta uno squarcio di storia jugoslava conducendoci alla sua essenza. L’impresa riesce anche grazie a Goran Bregovic: la sua splendida colonna sonora tiene insieme il racconto e in certi momenti sembra quasi guidarlo, dettando i tempi di una vicenda insieme gioiosa e violenta. C’è tutto in Underground: bombardamenti a tappeto, folli feste di matrimonio, sparatorie insensate, triangoli amorosi improbabili. C’è, soprattutto, la magia del cinema. Che fa stare incollati allo schermo per quasi tre ore, senza prendere fiato.

Il tempo dei gitani (1989) è uno splendido film. Gatto nero, gatto bianco (1998) è una fiaba spassosa. Underground è il capolavoro di Kusturica. Nei suoi 167 minuti c’è una parte dell’anima dei Balcani: quella vitalità che nessuna guerra, nessuna strage, nessun dolore è mai riuscito a spegnere.

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