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L'euro è stato adottato da 19 Stati dell'Unione europea, più alcuni che non ne fanno parte (foto JT, http://bit.ly/R7HqWA)

L’euro è la moneta di 19 Stati della Ue, più alcuni che non ne fanno parte (foto JT, http://bit.ly/R7HqWA)

C’è chi resta nell’Unione europea, ma ha rischiato di abbandonare la moneta unica. Poi c’è chi l’ha adottata senza far parte della Ue. È il caso di Montenegro e Kosovo, che hanno fatto questa scelta nel 2002. Già prima si erano buttate sul marco tedesco: quando è sparito hanno seguito la stessa strada della Germania. L’esistenza di questi due precedenti fa pensare che espellere la Grecia dall’euro potrebbe essere più difficile di quanto sembra. Se Podgorica e Pristina hanno iniziato a usarlo senza chiedere il permesso a nessuno, cosa impedirebbe ad Atene di continuare a farlo?

In queste ore un’ipotesi di questo tipo sembra lontana, perché a Bruxelles è stato trovato un compromesso: il governo greco dovrebbe essersi garantito sia la permanenza nell’Unione che quella nella valuta continentale. La scelta fatta dai due Stati dell’ex Jugoslavia, però, è interessante in ogni caso. Non possono stampare euro, perché non sono autorizzati: per ottenerli passano dalle banche internazionali e dai cittadini stranieri in visita nel Paese. Se un giorno dovesse scoppiare una crisi come quella ellenica, in teoria i governi balcanici non potrebbero chiedere aiuto alle istituzioni europee, dato che non ne fanno parte.

Difficile dire cosa succederebbe se la moneta unica dovesse perdere bruscamente valore, o comunque essere meno stabile di oggi. Una soluzione potrebbe essere l’addio all’euro, con il ritorno a una valuta nazionale. Al momento l’economia di Montenegro e Kosovo sembra legata a doppio filo agli istituti di credito stranieri. Viene da dire che non è una bella situazione. Ma nemmeno quella della Grecia lo è.

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La missione Eulex è iniziata quando il Kosovo si è dichiarato indipendente (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

La missione Eulex esiste da quando il Kosovo ha rotto con la Serbia (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

Il cammino del Kosovo verso un futuro migliore sembra ancora lungo. Nei giorni scorsi l’Unione europea ha diffuso un rapporto sulla missione comunitaria Eulex, attiva nella regione da sette anni. Il documento scagiona i militari da accuse di corruzione emerse nel 2014, ma mette in luce insuccessi nel contrasto alla criminalità. Il governo tratta con quello serbo per costruire un rapporto meno ostile, ma non è detto che i negoziati siano facili.

L’ultimo incidente istituzionale risale a pochi giorni fa. Il ministro degli interni di Belgrado ha detto che il responsabile esteri di Pristina sarà arrestato se – come pare – parteciperà a una conferenza prevista nella capitale serba tra il 23 e il 25 aprile. Il diretto interessato è Hashim Thaci, ex capo del governo kosovaro ed ex leader dei combattenti albanesi nella regione, accusato per crimini che avrebbe commesso negli anni ‘90. In questo contesto oggi a Bruxelles riprendono i colloqui tra le due rappresentanze.

Il tira e molla con Belgrado, in ogni caso, non è il problema principale dei cittadini di Pristina. Economia debole, disoccupazione alta, corruzione, politici nazionali ed europei incapaci di aiutare l’area a liberarsi dalle difficoltà: la lista rende l’idea della gravità della situazione. Un tempo l’ostacolo principale sembrava proprio lo scontro con la Serbia, che però si è affievolito esattamente due anni fa, quando i negoziati di Bruxelles hanno prodotto un accordo di distensione. Da allora quell’alibi non c’è più, ma i nodi da sciogliere in Kosovo restano ben stretti.

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Kolinda Grabar-Kitarovic, candidata di destra alle presidenziali (foto Security & Defence Agenda, bit.ly/1kuY8rA)

Kolinda Grabar-Kitarovic, candidata di destra alle presidenziali (foto Security & Defence Agenda, http://bit.ly/1kuY8rA)

Tra pochi giorni gli elettori croati decideranno chi sarà il loro presidente. Al primo turno il più votato è stato quello uscente Ivo Josipovic, sostenuto dai socialdemocratici, che ha superato di poco il 38%. Al ballottaggio sfiderà la candidata di centrodestra Kolinda Grabar-Kitarovic, che ha ottenuto circa un punto in meno. Il terzo classificato è stato il 25enne Ivan Vilibor Sincic, politico anti-sistema con qualche somiglianza con Beppe Grillo: per esempio non si è schierato con nessuno dei concorrenti che lo hanno battuto e dice che non si alleerà con loro alle politiche di fine 2015.

Il tema caldo degli ultimi anni e dei prossimi mesi è l’economia. La disoccupazione generale è al 16,6%, quella giovanile al 45,5%. Si tratta rispettivamente del quarto e terzo peggior dato dell’Unione europea. Zagabria ne fa parte da un anno e mezzo, e pochi mesi dopo il suo ingresso la commissione di Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione sui suoi conti. Gli ultimi sei anni sono stati di recessione: un quadro veramente critico, con dati macroeconomici un po’ peggiori di quelli italiani (tranne il debito pubblico, alto ma lontano dalla nostra percentuale “stellare”).

Un altro problema centrale negli ultimi anni è stata la corruzione. Con questa accusa lo scorso ottobre è stato arrestato il sindaco della capitale Milan Bandic, rilasciato su cauzione a dicembre. È ancora in carcere, invece, Ivo Sanader: capo del governo dal 2003 al 2009, scappò all’estero ma nel 2011 fu estradato dall’Austria, e l’anno seguente fu condannato a dieci anni (poi ridotti a otto e mezzo). Nonostante vicende come queste l’affluenza al primo turno delle presidenziali è stata più alta di cinque anni fa: 47 contro 44%.

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Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto,  http:// bit.ly/1iowB8m)

Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto, http:// bit.ly/1iowB8m)

Una crescita del pil del 2,4% nel 2014, dell’1,7% nel 2015 e del 2,5% nel 2016. C’è da scommettere che Matteo Renzi pagherebbe per avere delle stime così dalla commissione europea. Questi dati però riguardano la Slovenia. Lubiana è in crisi da anni, nei mesi scorsi si era parlato di possibili aiuti internazionali, insomma: non siamo di fronte alla locomotiva tedesca, o agli Stati Uniti rimessi in piedi dopo il crac del 2008. Come si spiegano allora le previsioni sul paese balcanico?

Iniziamo col dire che quelle europee per quest’anno sono addirittura migliori di quelle del governo sloveno, che parlava di un aumento del prodotto interno lordo del 2%. A trainare la crescita sembrano essere export e investimenti, entrambi in ripresa negli scorsi mesi. Difficile, invece, dire che dietro il trend positivo ci sia la stabilità politica: l’ultimo governo è nato in estate, e quello precedente si era insediato l’anno scorso. Il pil era crollato dell’8% nel 2009, per poi aumentare di poco nei due anni seguenti. Poi ancora segno meno, ed è interessante segnalare che proprio un anno fa la commissione europea stimava che nel 2014 il prodotto sloveno avrebbe perso l’1%.

Stime come queste vanno prese con le molle, quindi, come insegnano anche le vicende italiane (ad aprile il governo ipotizzava per quest’anno una crescita vicino al punto percentuale; alla fine dei conti molto probabilmente sarà negativa). A Lubiana i fattori che potrebbero causare un nuovo peggioramento della situazione non mancano: debito pubblico aumentato negli ultimi anni, sistema bancario in crisi, politiche di austerità che altrove hanno fatto molti danni. Ancora presto, quindi, per parlare di sicura uscita dal tunnel.

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Johannes Hahn dovrebbe essere il nuovo commissario europeo all'allargamento (foto epp group, http://bit.ly/1wcSz92)

L’austriaco Johannes Hahn dovrebbe essere il nuovo commissario europeo all’allargamento (foto epp group, http://bit.ly/1wcSz92)

Serbia, Montenegro e Kosovo si avvicinano a Bruxelles. Bosnia e Macedonia no. La commissione europea ha diffuso i suoi rapporti annuali sui paesi candidati (o potenziali tali) a entrare nell’Unione. Ogni documento si apre con una pagina di raccomandazioni, che in parte ricalcano quelle di ottobre 2013. In mezzo ci sono state le proteste di piazza a Sarajevo e dintorni, le alluvioni che hanno devastato la regione ed elezioni nazionali in quattro delle cinque “entità” interessate (fa accezione solo Podgorica).

Serbia. È senz’altro lo stato balcanico più vicino ad aderire alla Ue. Il rapporto ricorda che la svolta è avvenuta l’anno scorso con la distensione nelle relazioni con il Kosovo, e parla di progressi fatti sulle riforme che ritiene necessarie. Bruxelles descrive passi avanti nel cambiamento della pubblica amministrazione e un “forte impeto politico” contro la corruzione, ma aggiunge che servono altri sforzi per assicurare l’indipendenza dei giudici e che restano da approvare alcune leggi-chiave, tra cui (pensa un pò) una sul conflitto di interessi. Preoccupano anche l’alta disoccupazione e il peggioramento delle condizioni per un pieno esercizio della libertà d’espressione.

Montenegro. L’efficienza della magistratura – dice la commissione – è aumentata e il quadro normativo a protezione dei diritti fondamentali si è rafforzato. Poi ci sono i punti critici: ritardi nell’approvazione di leggi anti-corruzione, preoccupazione per la libertà d’informazione, alta disoccupazione. Il negoziato di adesione progredisce, ma manca ancora fiducia nelle istituzioni e nei processi elettorali. Servono riforme “profonde e durature” per rafforzare lo stato di diritto.

Kosovo. Il nome è riportato con un asterisco, dato che solo 23 sui 28 paesi dell’Unione lo riconoscono come indipendente. La commissione dice di “non vedere l’ora” di firmare l’accordo di stabilizzazione e associazione che avvicinerebbe Pristina a Bruxelles. Poi descrive lo stallo seguito alle elezioni di giugno, che ha ritardato “alcune riforme chiave”. Problemi importanti riguardano l’autonomia dei magistrati, la corruzione e il crimine organizzato. Resta tensione nel nord dell’area, a maggioranza serba, ma il miglioramento dei rapporti con Belgrado ha accelerato il percorso verso la Ue.

Bosnia. “Il paese rimane a un punto morto nel processo di integrazione europea”: il rapporto della commissione si apre così. Si denuncia che i leader politici non vogliono approvare le riforme richieste, che i progressi sul fronte economico sono stati molto limitati, che le manifestazioni di inizio anno hanno sottolineato la fragilità della situazione sociale. E ancora: tensioni per la divisione di competenze tra i vari livelli di governo, mancanza di strategie nazionali su energia, trasporti e ambiente, funzionamento insufficiente delle istituzioni. Una bocciatura sonora.

Macedonia. Non va molto meglio a Skopje, che però è già candidata a entrare nell’Unione, come Serbia e Montenegro (e a differenza di Kosovo e Bosnia, che secondo la formula ufficiale “potrebbero” esserlo in futuro, ma non lo sono ancora). Il rapporto parla di “impasse” per il processo di adesione; descrive progressi nella riforma della pubblica amministrazione, ma passi indietro in molti altri campi. Si parla di aumento del controllo politico sui media, calo di fiducia nelle istituzioni e clima insoddisfacente tra minoranza albanese e resto dei cittadini. Infine resta irrisolta la questione del nome del paese, contestato dalla Grecia perché è anche quello di una regione ellenica.

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Violeta Bulc, candidata slovena a far parte della commissione europea (foto Jan Sandred, http://bit.ly/1jpMrk5)

Violeta Bulc, candidata slovena a far parte della commissione europea (foto Jan Sandred, http://bit.ly/1jpMrk5)

L’entrata in funzione della nuova commissione europea potrebbe slittare per colpa della Slovenia. L’ex capo del governo Alenka Bratusek, candidata alla vicepresidenza a Bruxelles, è stata bocciata dal parlamento comunitario. Il Sole 24 Ore scrive che durante l’audizione di fronte ai politici eletti è apparsa impreparata. Ora Lubiana propone Violeta Bulc, vice di Miro Cerar, alla guida dell’esecutivo nazionale da poche settimane. Il neo-presidente della commissione, Jean-Claude Juncker, potrebbe incontrarla nei prossimi giorni.

L’obiettivo sarebbe non rimandare l’inaugurazione del governo di Bruxelles, prevista il 1° novembre. I capigruppo di socialisti e popolari all’europarlamento chiedevano che Bratusek fosse sostituita da Tanja Fajon, già deputata comunitaria. Le autorità slovene hanno deciso di puntare su un altro nome. Attualmente il voto di fiducia per l’esecutivo Juncker è fissato il 22 ottobre. L’audizione di Bulc potrebbe svolgersi il 20. Nelle sue mani finirebbe la delega all’energia, finora detenuta dal tedesco Oettinger.

Bulc ha 50 anni e una storia da imprenditrice. Bratusek ne ha 44, e ha guidato il governo di Lubiana per un anno e mezzo. Per sei era stata a capo di un dipartimento del ministero delle finanze. Insomma, sembra conoscere la politica meglio della sua sostituta. Ora però il tempo stringe: un’altra bocciatura farebbe montare il caso, e va detto che dalle elezioni europee sono passati quattro mesi. Impiegarne di più per far insediare la nuova commissione potrebbe creare diverse polemiche.

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Striscione del 2010 per Ramush Haradinaj, uno dei leader dell'opposizione kosovara (foto Quinn Dombrowski, http://bit.ly/1o0kLtT)

Striscione del 2010 per Ramush Haradinaj, uno dei leader dell’opposizione kosovara (foto Quinn Dombrowski, http://bit.ly/1o0kLtT)

Un paese senza governo, in cui cresce l’estremismo islamista. È il ritratto (parziale) del Kosovo che si ricava dalle notizie delle ultime settimane, con l’unica nota positiva della ripresa del dialogo “europeo” con la Serbia interrotto alcuni mesi fa. La sospensione era stata causata proprio dalle elezioni nell’area, da cui però non è uscito un vincitore certo. E mentre a Pristina si cercava di capire se i politici avrebbero trovato un accordo, nella regione venivano arrestate decine di persone sospettate di essere coinvolte in formazioni terroristiche attive in Medio Oriente.

Il partito più votato alle consultazioni del 6 giugno è stato il PDK di Hashim Thaci, primo ministro dal 2008, quando ha guidato il Kosovo alla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado. I 37 seggi ottenuti, però, non bastano a formare una maggioranza. Da qui uno stallo che dura da tre mesi, in cui l’opposizione è riuscita a far eleggere il suo leader come presidente del parlamento, ma la corte costituzionale ha annullato la seduta. Così si parla di nuove elezioni, e va ricordato che già le ultime erano anticipate.

A questa instabilità si affianca l’operazione che ad agosto ha portato in carcere circa 40 persone, tra cui un imam accusato di essere un punto di riferimento per il jihad nella zona. In tutto gli indagati sarebbero un centinaio. Dal sito di Osservatorio Balcani e Caucaso:

Secondo le autorità di Pristina all’incirca 100-200 albanesi kosovari, soprattutto giovani, si sono uniti a gruppi terroristici in Siria e Iraq; 16 sono le persone che hanno perso la vita fino ad ora. A luglio, la comunità islamica tradizionale è rimasta sotto shock per le immagini del giovane venticinquenne Lavdrim Muhaxheri, kosovaro di Kaçanik, che ha postato su Facebook una sua foto mentre decapitava un soldato siriano.

L’area ha grossi problemi economici e sociali, che possono essere tra le molle che spingono ad arruolarsi tra gli estremisti, e fanno temere che il fenomeno indebolisca ulteriormente la fragile democrazia di Pristina. La migliore notizia degli ultimi anni era stata l’accelerazione nel dialogo con la Serbia avvenuta ad aprile 2013, e i negoziati sono ricominciati a inizio settembre, sia pure solo a livello tecnico (data l’assenza di un nuovo governo nell’ex provincia ribelle). Anche quello che succederà a Bruxelles sarà importante per la stabilità del Kosovo.

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Il ministro degli Esteri austriaco, l'ex responsabile delle Finanze serbo e il capo del governo di Belgrado (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro degli Esteri austriaco, l’ex responsabile Finanze serbo e il suo primo ministro (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro delle Finanze serbo si è dimesso perché non gli hanno permesso di tagliare le pensioni del 20% e gli stipendi pubblici del 15%. Questa, almeno, è la versione ufficiale: Lazar Krstic lascia nemmeno un anno dopo aver preso possesso dell’incarico. Il suo successore ha già detto di voler procedere a una sforbiciata del 10% su entrambe le voci che il predecessore voleva aggredire. Un modo per rassicurare i mercati, ma non è chiaro se e quanto il governo rallenterà sulla strada dell’austerità.

A gennaio Belgrado ha iniziato i negoziati di adesione all’Unione europea. Il suo debito pubblico sta salendo: secondo la banca centrale nazionale ora è al 65% del pil. In Italia, sia detto per inciso, questa percentuale è più che doppia. In ogni caso, tanto per cambiare, le istituzioni internazionali sembrano spingere il Paese balcanico a tagliare quanto più possibile, e Krstic diceva di volersi muovere in questa direzione. A frenarlo sarebbe stato il capo del governo Aleksandar Vucic, che ora dovrà fare a meno del giovanissimo ex-ministro, appena trentenne.

Tra i “sogni” del politico dimissionario c’era anche il licenziamento di almeno 160mila dei 700mila dipendenti pubblici nel giro di due anni. A questo punto forse non succederà, ma per i serbi potrebbero comunque profilarsi tempi duri: in autunno è atteso l’inizio di negoziati per ottenere un prestito dal Fondo Monetario Internazionale. “Il primo ministro ha un cuore troppo tenero”, ha detto Krstic in conferenza stampa. Una frase che sembra avvertire i cittadini: la mazzata rischia di essere solo rinviata.

Belgrado deve anche fare i conti con i danni delle recenti alluvioni (si parla di quasi due miliardi), e con un alto tasso di disoccupazione. La crisi, insomma, è di casa proprio come in Slovenia e Croazia, i due Stati ex-jugoslavi che sono già entrati nell’Unione europea. In questi giorni a Bruxelles si insedia la nuova commissione, che sarà ancora guidata da un uomo di centrodestra. Difficile che la linea del rigore si ammorbidisca molto, dando respiro ai Paesi membri della Ue e a quelli che aspirano a farne parte.

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Una moschea in Kosovo (foto gardnergp, http://bit.ly/1kuY8rA)

Una moschea in Kosovo (foto gardnergp, http://bit.ly/1kuY8rA)

Tra pochi giorni il Kosovo vota per le elezioni politiche. Paradossalmente l’attenzione internazionale sembrava maggiore alle ultime amministrative, perché erano la prima consultazione dopo l’accordo europeo Pristina-Belgrado. Domenica si andrà alle urne per lo scioglimento anticipato del parlamento, e molti occhi restano puntati sulla minoranza serba.

I cittadini che ne fanno parte dovrebbero andare a votare, senza grosse operazioni di boicottaggio. Se sarà così, sarà una conferma del miglioramento del clima tra Serbia e Kosovo, di cui la prima però continua a non riconoscere l’indipendenza. Il ministro degli Esteri di Belgrado accusa Pristina di abusare dell’intesa raggiunta l’anno scorso a Bruxelles, parlando di mancato rispetto della promessa di unire i comuni serbi della regione in una comunità autonoma. Schermaglie diplomatiche o problemi di sostanza destinati a riaccendere lo scontro?

Il politico serbo-kosovaro Slobodan Petrovic dice che se l’affluenza sarà alta, la coalizione dei maggiori partiti che rappresentano la minoranza potrebbe conquistare 20 seggi su 120. Una compagine capace di creare problemi alla nuova maggioranza. Il motivo (o il pretesto) che ha spinto quella uscente a mollare è l’incapacità di approvare la costituzione di un esercito regolare, ancora assente a oltre sei anni dalla dichiarazione d’indipendenza. Gli ultimi atti della legislatura appena finita sono stati l’ok al proseguimento della missione europea in Kosovo e l’istituzione di un tribunale speciale su crimini di guerra e traffico d’organi.

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A destra l'ex primo ministro sloveno Jansa (foto European People's Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

A destra l’ex primo ministro sloveno Janez Jansa (foto European People’s Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

Un elettore su quattro. Nei due Stati ex-jugoslavi che fanno parte dell’Unione europea l’affluenza al voto per Bruxelles è stata intorno al 25%, molto più bassa della media continentale (43%). Sia in Slovenia che in Croazia hanno vinto i conservatori.

Zagabria è entrata nella Ue meno di un anno fa, ma la scarsa partecipazione alla consultazione sembra confermare la mancanza di entusiasmo dei suoi cittadini nei confronti dell’Europa. L’Unione Democratica Croata ha dato 12 punti ai partiti governativi: il centrodestra ha preso il 41%, contro il 29% messo insieme da socialdemocratici e liberali. Molto bene una nuova formazione ecologista, guidata da una ex ministra fuoriuscita dai socialdemocratici. Il suo 9,5% la pone davanti alla destra euroscettica, poco sotto il 7%. In tutto Zagabria manderà a Strasburgo 12 parlamentari.

In Slovenia le europee precedono di poco le politiche anticipate, in programma a luglio. Il grande vincitore della tornata appena conclusa è l’Sds, partito conservatore guidato da Janez Jansa, ex capo del governo condannato ad aprile per corruzione. In estate si tornerà alle urne per una faida interna al centrosinistra, punito dal voto comunitario: Slovenia Positiva, formazione del primo ministro dimissionario Bratusek, non è arrivata nemmeno al 7%.

In entrambi i Paesi un elemento centrale è la crisi economica. Per Lubiana si parla da molti mesi di possibili aiuti internazionali. Zagabria è in recessione da sei anni: a fine 2014 il pil potrebbe scendere di quasi un punto. Gli elettori dei due Stati hanno fatto capire di non credere che l’Europa possa aiutarli a risollevarsi.

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