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Una veduta di Bar, città montenegrina da cui dovrebbe partire la nuova autostrada (foto Raymond Zoller, http://bit.ly/1o0kLtT)

Una veduta di Bar, città montenegrina da cui dovrebbe partire la nuova autostrada (foto Raymond Zoller, http://bit.ly/1o0kLtT)

Nel 2010 Osservatorio Balcani la definiva “autostrada fantasma”. Aveva ragione, dato che ancora oggi il percorso che dovrebbe collegare la costa sud montenegrina al confine serbo è solo sulla carta. Finora per partire sono mancati i soldi, ma presto potrebbero arrivare: ce li metterebbero il governo di Podgorica e soprattutto la banca cinese Exim.

L’accordo è stato annunciato dal ministro dei trasporti del paese ex-jugoslavo. Pechino sborserebbe quasi 700 milioni sugli 800 totali. Servirà l’ok del parlamento, ma si parla di possibile inizio dei lavori entro fine 2014. Se sarà così apriranno i cantieri per un tratto pari a un quarto del progetto complessivo: una quarantina di km su 170. Su un sito web dedicato all’opera si trovano immagini di come dovrebbe essere una volta completata.

Un mese fa il presidente montenegrino è stato a Nanchino, dove ha visto il suo omologo cinese. Probabile che i due abbiano parlato dell’autostrada. Nel 2009 i lavori erano stati simbolicamente inaugurati dai capi di governo di Podgorica, Belgrado e Zagabria: dalla Croazia arrivava il consorzio che si era aggiudicato l’appalto, finito poi in niente per l’incapacità delle aziende coinvolte di presentare le garanzie bancarie richieste.

Ora i soldi cinesi potrebbero permettere alle autorità balcaniche di avvicinarsi alla concretizzazione di un progetto di cui parlano da anni. Cosa ci guadagna Pechino? Già tre anni fa East Journal descriveva la “crescente attenzione” della Repubblica popolare per l’ex Jugoslavia, con lo scopo di rafforzare la sua presenza nell’area anche per usarla in ottica europea, per difendere i propri interessi nel continente. Una strategia simile a quella adottata in Africa.

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Grande come l'Abruzzo, il Kosovo ha poco meno di 2 milioni di abitanti (foto MichelleWalz, http://bit.ly/1cQnChe)

Grande come l’Abruzzo, nel 2011 il Kosovo aveva circa un milione e 800mila abitanti (foto MichelleWalz, http://bit.ly/1cQnChe)

Tra passato e futuro. Il Kosovo deve fare i conti con una possibile nuova fossa comune, probabilmente legata agli orrori degli anni ’90. Questo mentre Pristina vede rasserenarsi le relazioni con Belgrado, e la (ex) provincia ribelle viene riconosciuta come indipendente da un fronte sempre più vasto.

La fossa è stata scoperta a Raska, in Serbia, vicino al confine kosovaro. Conterrebbe resti di vittime di etnia albanese del conflitto del 1998-99. Se non ci saranno sorprese, si tratta della sesta fossa portata alla luce dal 2000. La maggiore fu trovata un anno dopo vicino Belgrado: c’erano 800 corpi. Oggi i dispersi della guerra sono ancora oltre 1.700.

Le tragedie di quindici anni fa influenzano il presente dell’area, che però da qualche mese pare un po’ meno cupo. Questo grazie alla Serbia, che ha ammorbidito le sue posizioni, e ha concesso al Kosovo più autonomia. Belgrado però non riconosce ancora – e forse non lo farà mai – l’indipendenza di Pristina, accettata da 106 dei 193 Paesi Onu (e 23 dei 28 Stati dell’Unione europea).

Una piccola, ma importante legittimazione si è aggiunta nei giorni scorsi. Facebook ha deciso di permettere agli utenti di indicare il Kosovo come Paese d’appartenenza. 240mila persone lo hanno già fatto. Quando non potevano, magari sceglievano l’Albania. Quanto pesa il cambiamento? Magari meno del no di Russia e Cina, che difendono la linea serba. Ma l’azienda di Zuckerberg è comunque un colosso. E in qualche modo un’istituzione.

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