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Gere nei panni di Simon Hunt, reporter giramondo in azione a Sarajevo

“Solo i particolari più incredibili di questa storia sono veri”. L’avvertenza che apre The Hunting Party (2007) è una delle poche trovate originali della pellicola di Richard Shepard. Un improbabile reporter d’assalto caduto in disgrazia (Richard Gere) parte alla ricerca di un criminale di guerra nella Bosnia “pacificata”. Al suo fianco un cameraman di successo (Terrence Howard) e un giovane cronista figlio di papà (Jesse Eisenberg). La “caccia all’uomo” si rivelerà rischiosa, complicata e soprattutto noiosa per lo spettatore in attesa di un bel film d’azione.

Qualche attore famoso e una tragedia recente non bastano, evidentemente, per mettere in piedi un canovaccio convincente. Shepard ci porta in una Sarajevo ancora segnata dal conflitto, i cui nodi irrisolti dipendono in buona parte dalla comunità internazionale. Tutto vero, ma non abbastanza per creare un’atmosfera coinvolgente. Radoslav Bogdanovic, il boia lasciato in libertà dalla Nato e dall’Onu in cambio della rinuncia al potere, potrebbe essere Ratko Mladic, il massacratore di Srebrenica: eppure, nonostante le evidenti allusioni all’attualità, si ha sempre la sensazione di assistere a una vicenda “costruita”, che non invita a immedesimarsi nei protagonisti. 

James Brolin ("Traffic", "Prova a prendermi") è il criminale di guerra Radoslav Bogdanovic

Richard Gere sembra più adatto alle parti da romanticone che a quelle da “bello maledetto”. Terrence Howard (bravissimo in Crash, 2004) è confinato in un ruolo un po’ scialbo, privo di spessore. Il succedersi delle peripezie che dovrebbero condurre alla cattura del latitante slavo non riesce ad appassionare, forse perché sembra narrato “dall’esterno”, cioè da qualcuno (un regista statunitense) che non è realmente affascinato dagli avvenimenti balcanici.

Se c’è un aspetto positivo in The Hunting Party, è proprio quello a cui fa riferimento l’ammonimento iniziale: i personaggi più divertenti sono quelli più assurdi (ed effettivamente più realistici), come il funzionario dell’Onu paranoico che accusa insistentemente i tre avventurieri di essere agenti della CIA. Per il resto, pare che il dramma dei Balcani sia quasi un pretesto, messo in scena per evidenziare gli errori delle organizzazioni sovranazionali e per raccontare una storia che si vorrebbe avvincente. Né l’uno né l’altro obiettivo sono raggiunti a tal punto da invitarvi a seguire Richard Gere per 103 minuti di film.

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Festeggiamenti a Pristina (Kosovo) per l'indipendenza nel febbraio 2008

Come si mantiene la pace in una zona uscita da poco dalla guerra? Per Ivo Josipovic, neo-presidente croato, è essenziale mantenere buoni rapporti con i Paesi vicini. Per Boris Tadic, capo di Stato serbo, un fattore chiave per evitare conflitti armati è… l’esercito. Le dichiarazioni dei leader rispecchiano i contrasti tra i due governi, emersi con evidenza alla cerimonia di insediamento di Josipovic, disertata da Belgrado per protesta contro la presenza del presidente kosovaro Fatmir Sejdiu.

“L’esercito deve sempre avere il posto che gli spetta nella nostra società – ha detto Tadic l’11 febbraio. – La Serbia è un fattore di pace ed è pronta ad assumersi responsabilità nelle missioni di pace nelle varie parti del mondo. Solo su questi presupposti saremo rispettati nella comunità internazionale”. Un esercito forte, quindi, come strumento per far sentire il proprio peso sullo scacchiere europeo.

Tadic e Josipovic, presidenti di Serbia e Croazia, divisi dal riconoscimento dell'autonomia del Kosovo

La pensa diversamente Josipovic, che nel suo primo discorso ufficiale da presidente ha definito una “priorità” i rapporti di buon vicinato con gli Stati confinanti. Se le cose non vanno benissimo con la Serbia, è sempre più forte il legame con Pristina. Il 19 febbraio a Zagabria è stata inaugurata l’ambasciata kosovara: un ulteriore segno di amicizia dopo il riconoscimento dell’indipendenza dichiarata dalla provincia serba (e mai accettata da Belgrado).

All’insediamento di Josipovic era presente il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. L’Italia è uno dei 65 Paesi che accettano il Kosovo come Stato autonomo, ma allo stesso tempo preme per l’ingresso in Europa della Serbia. L’adesione alla Ue è uno dei pochi obiettivi comuni di Tadic e Josipovic: qualche giorno fa Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, ha espresso il desiderio che anche il Kosovo si avvicini a Bruxelles. I destini delle nazioni balcaniche, insomma, si intrecciano sempre più strettamente: dall’atteggiamento di Zagabria e Belgrado dipenderà buona parte della stabilità dell’ex Jugoslavia.

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