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Posts Tagged ‘dacic’

Aleksandar Vucic (a sinistra) con l'ex responsabile della Difesa Usa, Leon Panetta (foto Chuck Hagel, http://bit.ly/1cQnChe)

Il leader serbo Aleksandar Vucic (a sinistra) con l’ex ministro della Difesa Usa, Leon Panetta (foto Chuck Hagel, http://bit.ly/1cQnChe)

Il Renzi serbo ce l’ha fatta. Aleksandar Vucic, finora vice-capo del governo, ha vinto le elezioni anticipate di domenica scorsa. A farne le spese sarà Ivica Dacic, primo ministro uscente, che fa parte di un altro partito. Il più votato è stato l’SNS, a cui è iscritto anche il presidente Tomislav Nikolic. Successo pieno dei conservatori filo-europei, e soprattutto del loro nuovo uomo forte.

Il parallelo con l’ex sindaco di Firenze si regge su diverse somiglianze. Anche Vucic, come Renzi, sembra saper comunicare molto bene; entrambi hanno mandato a casa anzitempo l’uomo che guidava il governo, e l’hanno sostituito. La differenza sostanziale, ovviamente, è che a Belgrado si è andati a votare, a Roma no. Le urne serbe consegnano all’ex vice-primo ministro una maggioranza schiacciante, che gli permetterebbe di portare il mandato anche con il solo sostegno dell’SNS. Al secondo posto sono arrivati gli alleati della SPS, formazione di Dacic. Insieme fanno 202 seggi su 250.

Altro tratto simile alla politica italiana: la “sinistra” si è spaccata. In parlamento entrano i DS, a cui apparteneva l’ex presidente Boris Tadic, e l’NDS, che lui stesso ha fondato per scissione. I due leader vincenti, Vucic e Dacic, sono stati rispettivamente ministro e portavoce del partito di Slobodan Milosevic. Ora dovranno portare la Serbia nel futuro: davanti hanno il possibile ingresso nell’Unione europea e la rinuncia definitiva di fatto, se non nella forma, al Kosovo. I primi temi da affrontare, però, sarebbero quelli economici, dato che buona parte della popolazione è in difficoltà. Un altro punto in comune con il nostro Paese.

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Il primo ministro serbo Dacic e il capo del governo italiano Letta (foto Palazzo Chigi, http://bit.ly/1a3Kklt)

Il primo ministro serbo Dacic e il capo del governo italiano Letta (foto Palazzo Chigi, http://bit.ly/1a3Kklt)

“Forse il giorno più importante per la Serbia dalla Seconda guerra mondiale”. Con questa enfasi il vice-capo del governo Vucic ha commentato l’inizio dei negoziati di adesione all’Unione europea. Un percorso destinato a durare anni, sei nelle intenzioni del primo ministro Dacic. Molto meno potrebbe resistere il governo di Belgrado, dove c’è aria di elezioni anticipate.

Il passo avanti verso Bruxelles era atteso da mesi, precisamente da aprile dell’anno scorso. La svolta è stata l’accordo col Kosovo, che ha dato più autonomia a Pristina pur senza riconoscerne l’indipendenza. I rapporti con l’ex provincia ribelle saranno seguiti con attenzione dalla Ue anche nei prossimi anni, quelli decisivi per finalizzare l’adesione della Serbia. Meno bollente sembra un altro capitolo un tempo caldo, quello dei criminali di guerra: catturati Karadzic e Mladic, su questo fronte l’Europa dovrebbe essere abbastanza soddisfatta.

Il merito dell’accelerazione verso l’Unione va ai politici di primo piano del Paese: il presidente Nikolic e già citati Dacic e Vucic. A loro è riuscito ciò a cui mirava l’ex capo di Stato Tadic, in carica dal 2004 al 2012, quando è stato sconfitto nella corsa alla rielezione. A Bruxelles voleva arrivarci lui, più “di sinistra” rispetto al successore e a chi oggi guida il governo. In questo senso, invece, i “conservatori” hanno fatto meglio. Almeno per ora.

Anche (e soprattutto?) sull’onda di questi successi, il partito più forte della maggioranza parlamentare – a cui appartengono Nikolic e Vucic – potrebbe decidere di tornare al voto in primavera. Obiettivo: sfruttare l’onda favorevole e rafforzarsi, magari conquistando la poltrona di primo ministro. Dacic fa parte di una formazione più piccola, che potrebbe uscire danneggiata dalle urne. Il governo, insomma, rischia di essere affossato da chi lo sostiene. Vi ricorda qualche altro Paese?

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Il presidente serbo Nikolic e il capo della diplomazia europea Ashton (foto European External Action Service, http://bit.ly/18HnU5u)

Il presidente serbo Nikolic e il capo della diplomazia europea Ashton (foto European External Action Service, http://bit.ly/18HnU5u)

Sette anni fa si sono divisi. Ora tornano ad avvicinarsi. Serbia e Montenegro sono stati uniti a lungo, prima che il secondo lasciasse la prima con un referendum. A questo strappo si è aggiunto quello del 2009, quando Podgorica ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Adesso però i rapporti sembrano migliorati, indirizzati verso l’obiettivo comune dell’Unione europea.

Qualche giorno fa a Belgrado è arrivato Milo Djukanovic, il padre-padrone del Montenegro, primo ministro oggi e molte altre volte dal 1991. Nella capitale serba non si vedeva dal 2003. Allora ci era andato per i funerali di Zoran Djindjic, capo del governo ucciso a colpi di arma da fuoco. Dieci anni dopo è ricomparso e ha firmato un accordo di collaborazione nel percorso dei due Paesi verso Bruxelles. Il primo ministro ospitante Dacic ha ribadito che la scelta montenegrina di legittimare il Kosovo è stata sbagliata, ma ha aggiunto che questo non porta Belgrado a voler complicare le relazioni con Podgorica. Parole che confermano l’impressione degli ultimi mesi: la Serbia sembra aver sempre meno voglia di rivendicare il controllo su Pristina.

Distensione con il Kosovo, distensione con il Montenegro. Quella di Belgrado pare una linea politica precisa, mirata all’ingresso nell’Unione, che vede di buon occhio ogni riduzione delle tensioni. E dire che in Serbia non comandano i moderati: nel 2012 le presidenziali sono state vinte dal nazionalista Nikolic, che ha battuto l’europeista Tadic. L’altro primo attore è appunto Dacic, portavoce per anni del partito di Milosevic. Gli (ex?) estremisti si cimentano con la Realpolitik, e sembrano avere successo: entro poche settimane Belgrado potrebbe avviare il negoziato di adesione alla Ue. Podgorica lo ha fatto l’anno scorso.

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Momcilo Krajisnik e Radovan Karadzic (maszol.ro)

Momcilo Krajisnik e Radovan Karadzic (maszol.ro)

Condannato per crimini contro l’umanità, potrebbe tornare da protagonista sulla scena politica bosniaca. Momcilo Krajisnik è rientrato nel Paese a fine agosto, dopo aver scontato due terzi della pena decisa dai giudici internazionali. Ora si parla di un suo ritorno nella Sds, partito di opposizione nella Repubblica serba di Bosnia (Rs), in cui fu presidente dell’assemblea nazionale tra 1990 e 1992.

Inizialmente il tribunale de L’Aja aveva deciso di farlo stare in carcere 27 anni. In appello sono diventati 20, e a luglio Krajisnik ha potuto uscire per buona condotta. Arrivato a Pale, dove il figlio possiede un distributore di benzina, è stato accolto da oltre 2mila serbi bosniaci festanti. Lui stesso ha ammesso di non capire perché: “Dopo tutto sono un criminale di guerra”, ha detto. Sta di fatto che vessilli e inni nazionalisti serbi hanno accompagnato il suo rientro a casa. Questo mentre il presidente della Rs, Milorad Dodik, è in difficoltà anche a causa della crisi economica. A spaventarlo ora potrebbe aggiungersi un eventuale ritorno in politica di Krajisnik, dato che le leggi del Paese non lo vietano.

Dopo la guerra l’ex presidente dell’assemblea della Rs fu il primo membro serbo della presidenza tripartita bosniaca. Durante il conflitto era il braccio destro di Radovan Karadzic, attualmente sotto processo a L’Aja. Negli anni delle stragi in Serbia comandava Slobodan Milosevic. Allora il portavoce del suo partito era Ivica Dacic, oggi primo ministro a Belgrado. Il passato nei Balcani fa molta fatica a restare tale.

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Uno degli eventi più celebrati della storia serba, la battaglia della Piana dei Merli, si tenne nel 1389 nell'odierno Kosovo (Wikipedia)

Uno degli eventi più celebrati della storia serba, la battaglia della Piana dei Merli, si tenne nel 1389 in Kosovo (Wikipedia)

I colloqui Belgrado-Pristina continuano a dare frutti. Ieri i loro rappresentanti si sono accordati su due temi importanti per la vita quotidiana delle persone: elettricità e comunicazioni. A Bruxelles, dove si tengono i negoziati, tutto sembra filare liscio, mentre in Kosovo il primo test importante saranno le elezioni di novembre.

Il primo ministro serbo Dacic, quello kosovaro Thaci e la mediatrice europea Ashton si sono visti per proseguire una serie di incontri che ha avuto il suo punto di maggior successo ad aprile, quando le parti si sono avvicinate come non erano riuscite a fare fino ad allora. Ieri si è deciso che Pristina avrà un prefisso internazionale autonomo (0083) distinto da quello di Belgrado, ma la minoranza serba che vive in Kosovo dovrebbe poter continuare a chiamare la madrepatria senza i costi aggiuntivi dovuti per una telefonata internazionale. La (ex) provincia ribelle diventa autonoma dal punto di vista elettrico, staccandosi dalle reti di Belgrado, che però – a quanto pare – fornirà ancora energia alle zone abitate dai serbi (principalmente il nord).

Un compromesso dietro l’altro, a prova della Realpolitik che le autorità in gioco applicano da mesi. In comune c’è l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea, che vede di buon occhio ogni segno di calo della tensione nell’area. Bruxelles aspetta il voto locale del 3 novembre, che parte dei dirigenti serbo-kosovari minaccia di boicottare. Il Kosovo continua a essere uno Stato per 103 dei 193 Paesi Onu, e per 23 dei 28 Ue. Non lo è per Belgrado, che su questo punto sembra aver fissato la sua “linea rossa”. Un baluardo che farà piacere ai nazionalisti, ma che pare sempre più formale.

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Ivica Dacic visita la salma di Milosevic. Oggi è il primo ministro serbo (pravda.rs)

Ivica Dacic visita la salma di Slobodan Milosevic. Oggi è il primo ministro serbo (pravda.rs)

Avanti il prossimo. Da quattro giorni la Croazia fa parte dell’Unione europea, e poche ore prima un altro Paese ex jugoslavo si era avvicinato a Bruxelles: la Serbia dovrebbe iniziare i negoziati di adesione entro la fine del prossimo gennaio. Il Consiglio europeo ha dato l’ok, a un paio di mesi dall’accordo tra le autorità di Belgrado e quelle kosovare che sembra aver aperto una nuova fase dei rapporti tra le due entità.

Al momento la Ue comprende due Stati ex jugoslavi: Slovenia e Croazia. Il terzo a entrare dovrebbe essere appunto la Serbia, a lungo frenata proprio dai contrasti col Kosovo. L’intesa di aprile è un compromesso tra la sua indipendenza auto-dichiarata e la volontà di Belgrado di mantenere influenza nella regione. Un test importante ci sarà a novembre, con le elezioni amministrative kosovare. Nel 2009 i serbi che vivono nella ex provincia ribelle le avevano boicottate, e minacciano di farlo di nuovo, perché l’accordo di due mesi fa a loro sembra non piacere proprio.

Dopo il patto Belgrado-Pristina si è addirittura parlato di possibile Nobel per la pace per i loro rappresentanti a Bruxelles: il primo ministro serbo Dacic e quello kosovaro Thaci. L’ipotesi fa un certo effetto, perché negli anni ’90 il primo era portavoce del partito di Milosevic, e il secondo militava nell’Esercito di liberazione del Kosovo. Se davvero fossero premiati, il riconoscimento potrebbe essere un simbolo dei nuovi Balcani: chi ha fatto la guerra ora costruisce la pace. L’aspetto più importante dell’ingresso dei Paesi ex jugoslavi nella Ue è proprio la stabilizzazione dei Balcani occidentali. Che hanno ancora molti problemi, ma da anni li affrontano pacificamente.

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Amfilohije Radovic, metropolita del Montenegro, è molto duro con il governo serbo (blog.b92.net)

Amfilohije Radovic, metropolita del Montenegro, è molto duro con il governo serbo (blog.b92.net)

Il governo di Belgrado fatica a far digerire a tutti l’accordo di aprile sul Kosovo. I più arrabbiati sembrano essere i serbi che vivono nel nord della provincia ribelle, ma l’opposizione arriva anche da altrove: più che dalla politica dalla Chiesa ortodossa, che con alcuni suoi rappresentanti è scesa in piazza per protestare accanto agli ultranazionalisti.

Qualche giorno fa il vice-primo ministro di Belgrado Aleksandar Vucic è andato a Mitrovica, la città del nord Kosovo divisa metà tra serbi e albanesi. L’obiettivo era cercare di convincere i connazionali della bontà dell’accordo europeo, ma i risultati sembrano essere stati scarsi. L’intesa concede autonomia alle municipalità kosovare a maggioranza serba, ma prevede anche che Belgrado smantelli le sue strutture di polizia nella regione, e in sostanza che faccia un passo indietro nelle sue pretese di controllo.

Il malumore dei serbi kosovari che si sentono abbandonati e quello di una parte della società della madrepatria ha trovato sfogo in una manifestazione a Belgrado, dove a fare notizia sono stati soprattutto due vescovi. Il primo, ormai in pensione, ha accostato il comportamento del capo del governo Dacic a quello del suo predecessore Dindic, ucciso nel 2003: “Sappiamo tutti che fine ha fatto”, ha sibilato. Il secondo, metropolita e quindi di rango superiore anche a quello degli arcivescovi, ha invitato a pregare per la “sepoltura del governo”.

Il patriarca Irinej, capo della Chiesa ortodossa serba, ha sottolineato che i due hanno parlato a titolo personale, ma non ha condannato le loro affermazioni. Mentre il governo dialoga con Bruxelles, l’interventismo ecclesiastico sembra volersene allontanare, mentre i deputati serbi del Kosovo nord chiedono aiuto allo storico protettore di Belgrado: la Russia, a cui hanno scritto una lettera aperta. L’immagine potrebbe essere quella di un bivio: da una parte l’Unione europea, dall’altra la “vecchia” Serbia, vicina a Mosca e all’ideologia patriottica. La meta attuale è la prima, ma chi spinge nell’altra direzione non sembra disposto a cambiare strada.

FONTI: Ansa, East Journal, Osservatorio Balcani e Caucaso, TMNews

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Da sinistra il primo ministro serbo Dačić, quello “degli Esteri” europeo Ashton e il capo del governo kosovaro Thaçi (balkaninsight.com)

Lo stallo politico non è un’esclusiva italiana. A un’altra impasse, anche se ben diversa, si assiste in questi giorni dall’altra parte dell’Adriatico: parliamo di Serbia e Kosovo. Martedì sera si è chiuso l’ottavo round di negoziati a Bruxelles, e un accordo non si è trovato. La discussione riguarda soprattutto le municipalità kosovare a maggioranza serba, e le parole del “ministro degli Esteri” dell’Unione europea – Catherine Ashton – suonano come un avvertimento: “Quella degli scorsi giorni è stata l’ultima tornata di negoziati”.

Chi guarda a Bruxelles con un misto di attrazione e timore (di allontanarsi) è Belgrado, candidata a entrare nella Ue. Più indietro Pristina, per ora solo candidata potenziale (e non riconosciuta da 5 Paesi dell’Unione su 27). Se non si sciolgono le controversie con la provincia ribelle, dichiaratasi indipendente nel 2008, il percorso di integrazione europea della Serbia rischia di rallentare. Sembra che al centro del suo “no” a un’intesa con il Kosovo ci sia la richiesta di avere il controllo di polizia e tribunali nei Comuni a maggioranza serba, quelli del nord.

Da neanche un anno a Belgrado il presidente è Tomislav Nikolic, meno europeista del predecessore Boris Tadic. Ma sembra comunque difficile un abbandono della strada che porta alla Ue. Le autorità serbe non vogliono riconoscere il Kosovo come Stato e non vogliono mollare il “sogno” europeo, anche se reso meno affascinante dalla crisi economica continentale. A luglio nell’Unione entra la Croazia, secondo Paese ex-jugoslavo dopo la Slovenia. Quanto aspetteranno ancora i vicini serbi?

FONTI: Osservatorio Balcani e Caucaso, La Voce della Russia, Il Piccolo, Euronews

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Il presidente kosovaro Jahjaga e quello serbo Nikolic (kosovapress.com)

Il presidente kosovaro Atifete Jahjaga e quello serbo Tomislav Nikolic (kosovapress.com)

Il dialogo tra Belgrado e Pristina sembra accelerare. E i serbi che vivono nel nord del Kosovo temono che la (ex) provincia ribelle stia iniziando a vincere la battaglia per l’indipendenza. Oggi a Bruxelles si incontrano i presidenti dei due Stati, anche se uno dei due non riconosce l’altro come tale. A gennaio è stato trovato un accordo sulla gestione dei punti di confine, che fa confluire le entrate doganali in un fondo speciale voluto dall’Unione europea. L’adesione della Serbia alla Ue dipende anche dalla soluzione dei contrasti con il Kosovo, e l’impressione è che Belgrado si sia decisa a risolverli.

Tomislav Nikolic e Atifete Jahjaga, capi di Stato rispettivamente da poco meno di uno e due anni, si vedono a Bruxelles con la mediazione del “ministro degli Esteri” europeo, Catherine Ashton. In campagna elettorale Nikolic era andato a Mitrovica (Kosovo nord) per promettere di cancellare i negoziati con Pristina portati avanti prima della sua vittoria: è proprio sotto la sua presidenza, però, che il dialogo sembra aver ritrovato slancio. Il governo incaricato da Nikolic nel giugno 2012 pare avere come primo obiettivo la stabilità socio-economica, e sa che per poterla raggiungere deve entrare nell’Unione. Per questo tiene una linea morbida sul Kosovo, nonostante i sondaggi dicano che i cittadini appoggiano il “no” alla sua indipendenza più dell’ingresso nella Ue.

Mentre a Bruxelles Belgrado e Pristina si accordavano sulla gestione della frontiera (che per i serbi è solo una “linea di divisione amministrativa”), nel sud della Serbia la polizia rimuoveva un monumento a 27 guerriglieri albanesi uccisi dalle forze governative una decina di anni fa. A questa azione è seguita una serie di attacchi ai cimiteri serbi in Kosovo, attacchi che rafforzano i timori di quei cittadini che si sentono abbandonati da Belgrado. La stessa rimozione del monumento, celebrata con enfasi dal primo ministro Dacic, potrebbe servire a bilanciare le concessioni che il suo governo sta facendo a Pristina. In campagna elettorale il più europeista non era Nikolic, ma il suo predecessore Tadic. Eppure potrebbe essere il primo a sacrificare il Kosovo sull’altare di Bruxelles.

FONTI: Osservatorio Balcani e Caucaso, atlasweb.it, polisblog.it

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