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Radovan Karadzic, 65 anni, sotto accusa per genocidio e crimini di guerra

“Il 18 luglio 1996 ci fu una riunione a Belgrado per discutere il mio futuro politico. La chiese Holbrooke a Milosevic. Io non partecipai, ma furono presenti due rappresentanti della Repubblica serba di Bosnia. […] Parlai diverse volte al telefono con i nostri inviati e con Milosevic, ma mai con gli americani. […] Alla fine, raggiungemmo un accordo. Io mi sarei dimesso da presidente della Republika Srpska, dalla guida del partito Sds, mi sarei ritirato a vita privata senza partecipare alle imminenti elezioni, in cambio della garanzia che non sarei stato perseguito dall’Aja”.

E’ il passaggio fondamentale dell’intervista rilasciata da Radovan Karadzic, il massacratore di Srebrenica, al Corriere della Sera. L’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia (Rs) afferma che Richard Holbrooke, diplomatico statunitense scomparso pochi giorni fa, gli promise l’impunità in cambio del suo ritiro dalla scena balcanica. Un intreccio già ipotizzato da molti, nel corso degli anni, ma difficile da verificare.

Slobodan Milosevic e Richard Holbrooke nel 1995 a Dayton, dove vennero firmati gli accordi che posero fine alla guerra

Non esistono prove scritte dell’accordo, e a quanto sostiene lo stesso Karadzic, non ci saranno mai. “Gli Usa non avrebbero mai messo la loro parte dell’accordo nero su bianco”, spiega nell’intervista. Lo psichiatra-poeta serbo, insomma, pretende che gli si creda sulla parola. E un personaggio accusato di crimini di guerra e genocidio non è esattamente un modello di affidabilità. Ciò non significa che una vicenda simile, o anche identica, a quello tratteggiata da Karadzic non sia potuta accadere. Ma è impossibile dire che le cose siano andate senz’altro così, a partire dalla testimonianza di un uomo che tuttora nega ogni responsabilità nella strage di Srebrenica.

“La verità deve ancora venire a galla”, dice Karadzic al Corriere. Il problema vero è che i tempi perché la verità emerga – e abbia un riscontro giudiziario – sono ristretti. Il mandato dei magistrati del Tribunale penale internazionale scade nei primi mesi del 2012. Se l’ex presidente della Rs riuscirà a rallentare a sufficienza il processo, non verrà mai giudicato. E intanto il suo sodale Ratko Mladic resta a piede libero.

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Anton K. e Murat A., a processo da novembre, si dichiarano vittime di un caso di omofobia

L’amore non ha segreti. A meno che tu non sia una spia omosessuale. Anton K., 42 anni, tedesco, e Murat A., 29 anni, macedone di etnia albanese, sono sotto processo a Monaco di Baviera. L’accusa? Aver passato informazioni riservate al crimine organizzato balcanico o a servizi di intelligence di altri Paesi. I due imputati, però, sostengono di essere perseguiti solo in quanto gay.

Anton, ex ufficiale dell’esercito, arriva a Pristina nel 2005. Ufficialmente è nella capitale del Kosovo come diplomatico del ministero degli Esteri, in realtà deve investigare sui legami tra criminalità e istituzioni del luogo. Dopo poco conosce Murat, che parla un tedesco perfetto ed è ben inserito in città. Lo ingaggia come suo interprete. I due vanno a vivere insieme e in breve tempo si innamorano. Nel 2007 Anton cambia il beneficiario della sua polizza d’assicurazione sulla vita: sostituisce la moglie, rimasta in patria, con il suo innamorato. Un errore che gli costerà caro.

Il logo dei servizi segreti tedeschi. Negli anni ’90 indagarono sui fondi provenienti dalla Germania e destinati all’Esercito di liberazione del Kosovo

Appena la consorte riceve la notizia dalla compagnia assicurativa, si precipita a chiedere spiegazioni negli uffici dell’intelligence tedesca. Che non ne sa nulla. Anton viene denunciato alla magistratura ed arrestato assieme a Murat nel marzo 2008. L’agente avrebbe passato notizie confidenziali all’amante, che a sua volta le avrebbe divulgate ad altri 007 o alla delinquenza locale. Tutto falso per gli accusati, che affermano di essere vittime di un caso di omofobia.

Non è la prima volta che Murat finisce in tribunale: sulle sue spalle pende una condanna per lesioni personali e sequestro di persona nei confronti della compagna. Sì, perché anche l’interprete, come Anton, aveva una relazione eterosessuale. I due innamorati ammettono di aver sbagliato a non avvisare i superiori del loro rapporto. Se avessero avvertito anche i rispettivi partner, adesso non rischierebbero 10 anni di carcere.

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