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Un monumento all'Esercito di Liberazione del Kosovo nella città di Deçani (foto Kobac, http://bit.ly/1iavpZ2)

Monumento all’Esercito di Liberazione a Deçani, Kosovo ovest (foto Kobac, http://bit.ly/1iavpZ2)

In Kosovo nasce una corte per giudicare su crimini di guerra e traffico d’organi di cui si sarebbe macchiato l’Esercito di Liberazione durante il conflitto del 1998-99. Il parlamento ha approvato la costituzione di questo tribunale, motivata con una richiesta in questo senso da parte della comunità internazionale. Il primo ministro Thaci parla di “ingiustizia” da accettare per evitare conseguenze pesanti con partner come Stati Uniti e Unione europea.

Lo stesso Thaci faceva parte dell’Esercito di Liberazione, ed è tra le persone citate in un rapporto del Consiglio d’Europa del 2010, che punta il dito contro ex alti ufficiali e parte dell’attuale classe politica con accuse come tortura e traffico di droga e organi. Le vittime di quest’ultimo crimine sarebbero state prigionieri di guerra. A quanto pare molti parlamentari erano contrari all’istituzione di una corte speciale, anche perché potrebbe danneggiare l’immagine internazionale del Kosovo. Il sospetto è che alcuni tra gli oppositori abbiano semplicemente paura di essere condannati per il loro passato.

Chiedersi se creare un tribunale di questo tipo sia opportuno è comunque giusto. Sembra che sarà formato da giudici provenienti da vari Paesi, ma avrà sede a Pristina. Punire chi ha commesso crimini è ciò che la magistratura dovrebbe fare sempre e in ogni caso: se la corte speciale servirà ad assicurare alla giustizia chi finora l’ha fatta franca, sarà utile. Quali possono essere le conseguenze negative? In effetti è probabile che all’estero si tornerà a parlare di Kosovo, e non per motivi edificanti. L’area rischia di tornare all’attenzione dell’opinione pubblica globale per l’emergere di atrocità nascoste. Poi ci sono le ricadute “locali”. Andare a scavare tra gli orrori degli anni ’90 aumenterà la tensione sociale e politica?

Per la comunità internazionale, però, la domanda più interessante potrebbe essere un’altra. L’attività dei giudici influenzerà i rapporti tra Kosovo e Serbia? E come? Le loro relazioni sono migliorate nell’ultimo anno, e un ulteriore rasserenamento sarebbe una bella notizia per la stabilità di tutta la regione. Immaginiamo che a Belgrado piacerebbe veder condannare i responsabili di crimini contro i serbi. Ma come sarebbero accolte le sentenze a Pristina e dintorni? A questo interrogativo, come agli altri precedenti, è difficile dare risposta.

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Il primo è considerato da molti il miglior giocatore di sempre. Il secondo è il regista balcanico più famoso al mondo. Maradona di Emir Kusturica è un documentario passionale e coinvolgente. Presentato nel 2008 al Festival di Cannes, è rimasto poco nelle sale italiane ed è forse una delle produzioni meno conosciute del regista serbo. Un peccato per gli amanti del cinema, del calcio, delle grandi storie di vita.

Eccentrici, discussi, unici: Kusturica e Maradona si sono incontrati nel 2005

Dalla droga al pallone, dalla famiglia alla politica, Maradona si confessa sinceramente in una sorta di lunghissima intervista, ambientata tra Belgrado, Buenos Aires e Napoli. Ai video delle sue prodezze calcistiche si accompagnano gli abbracci con Fidel Castro e Hugo Chavez. Nelle sue parole l’affetto per le figlie si confonde col dolore della tossicodipendenza. Il risultato è un mix esplosivo, che affascina anche chi non sa distinguere tra un fuorigioco e un calcio d’angolo. L’energia travolgente di Diego, creatrice e distruttiva allo stesso tempo, investe lo spettatore e lo immerge nel dramma di un personaggio eccezionale, padrone e schiavo di un potere quasi impossibile da controllare.

Alcuni sostengono che il vero protagonista della pellicola non sia Maradona. Kusturica non si nasconde ma partecipa al racconto, dialoga con il Pibe de Oro, traccia improbabili paragoni tra lui e i personaggi dei suoi film. Forse la narrazione sarebbe stata più fluida senza la sua continua presenza, ma era impensabile che l’ego del regista di Sarajevo – notoriamente smisurato – non emergesse in una storia come questa. Tutto è eccessivo in Maradona: la classe del calciatore, la fragilità dell’uomo, la retorica del rivoluzionario, l’amore dei tifosi che ne fanno un Dio. “Io sono il cinema” ha detto una volta Kusturica. “Io sono il calcio” potrebbe dire a maggior ragione Diego. Due esagerazioni che vale la pena di vivere.

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