Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘esercito’

Un mezzo della forza internazionale a guida Nato a Pristina nel 2000 (foto Michelle Walz, http://bit.ly/1kuY8rA)

Un mezzo della forza internazionale a guida Nato a Pristina nel 2000 (foto Michelle Walz, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il Kosovo sembra somigliare sempre di più a uno Stato vero e proprio. Un mese fa il primo ministro ha annunciato l’istituzione di un esercito di 5mila militari. Qualche giorno fa gli Stati Uniti hanno rinnovato il loro appoggio alla regione che si è dichiarata indipendente nel 2008. Intanto il comandante italiano della missione Nato parla di progressi ottenuti grazie al dialogo con la Serbia.

Al momento la sicurezza kosovara è gestita da 2.500 militari con equipaggiamento leggero. Presto potrebbero raddoppiare ed essere armati come soldati regolari. Belgrado ha già chiesto che le truppe non possano entrare nel nord della regione – a maggioranza serba – senza l’ok dell’Alleanza Atlantica. Contro la creazione dell’esercito si sarebbe schierato il presidente della Repubblica Ceca, dicendo di temere un ritorno dell’UCK, forza attiva nella zona negli anni ’90 e accusata di terrorismo anche da Washington.

La Casa Bianca, così come Praga, hanno accettato da anni l’indipendenza di Pristina, e nei giorni scorsi Barack Obama è tornato a sottolineare il concetto, anche se indirettamente. Durante la sua visita a Bruxelles, il presidente ha definito “illegittimo” il referendum che si è tenuto in Crimea, ricordando invece che in Kosovo si tenne una consultazione “organizzata nel rispetto del diritto internazionale”. L’affermazione è vera a metà: un voto popolare con osservatori stranieri c’è stato, ma nel 1992, sedici anni prima della secessione.

Oggi il generale Salvatore Farina, comandante della missione Nato nella regione, parla di situazione “soddisfacente”. Descrive miglioramenti nel processo elettorale, nell’organizzazione della polizia, nel controllo dei confini. Ammette che continuano a esserci violenze, ma le definisce “episodi”. Ricorda che ora a Pristina e dintorni ci sono 5mila militari dell’Alleanza, un decimo di quanti ce erano nel 1999. Ed esattamente quanti dovrebbero essere i futuri soldati regolari del Kosovo.

Read Full Post »

Il soldato Valery Melis, morto di tumore nel 2004 dopo la missione in Kosovo (qn.quotidiano.net)

“Cos’è l’uranio impoverito? È una scoria nucleare. Un sottoprodotto di scarto delle centrali nucleari che viene utilizzato per rafforzare gli armamenti. Molto più economico del tungsteno, facilita due cose: rende più efficienti le armi e aiuta a disperdere delle scorie che altrimenti non si saprebbe dove andare a nascondere. Insomma, si sono inventati un modo per risparmiare e contemporaneamente per perfezionare il grande mostro bellico”.

(Giulia Di Pietro, dal libro di Falco Accame Uranio impoverito. La verità)

L’Esercito italiano sapeva della presenza di uranio impoverito nei Balcani. E non ha fatto nulla né per informare del pericolo i soldati, né per proteggere la loro salute. Lo dice la sentenza con cui il Tribunale civile di Cagliari ha condannato il ministero della Difesa a risarcire con 584mila euro i familiari di Valery Melis, il militare di Quartu Sant’Elena (Cagliari) morto il 4 febbraio 2004 a causa di un tumore contratto nell’autunno del ’99, al termine della sua partecipazione alla missione in Kosovo.

“Deve ritenersi – scrive il giudice Vincenzo Amato – che il linfoma di Hodgkin sia stato contratto dal giovane Valery Melis (scomparso a 27 anni, ndr) proprio a causa dell’esposizione ad agenti chimici e fisici potenzialmente nocivi durante il servizio militare nei Balcani. […] I detriti reperiti nel suo organismo hanno ben più che attendibilmente causato alterazioni gravi alle cellule del sistema immunitario come rilevato con frequenza di gran lunga superiore della media per i militari rientrati dai Balcani”.

Quella di Cagliari non è la prima sentenza di questo tipo. Il 17 dicembre 2008 il Tribunale civile di Firenze aveva condannato il ministero della Difesa a risarcire con 545mila euro il paracadutista Gianbattista Marica, rientrato da una missione in Somalia (e a sua volta ucciso da un linfoma il 10 marzo 2009). Nel gennaio 2010 il Tribunale civile di Roma ha stimato in 656mila euro il risarcimento dovuto ai familiari di Salvatore Vacca, morto di leucemia a 23 anni, pochi mesi dopo esser tornato dalla Bosnia.

Proprio a inizio 2010 il ministro della Difesa Ignazio La Russa ribadiva che “le Forze armate non impiegano, né hanno mai impiegato, munizionamento contenente uranio impoverito”, ma ammetteva che al 31 dicembre 2009 risultavano 594 tumori tra il personale impiegato tra Balcani, Iraq, Libano e Afghanistan. Secondo fonti Onu, durante i bombardamenti del ’99 su Serbia, Montenegro e Kosovo furono riversate oltre 8 tonnellate di uranio impoverito. Una tragedia nella tragedia, su cui oggi – a 12 anni di distanza – rimangono troppe zone d’ombra.

Fonti: corriere.it, repubblica.it, mainfatti.it, Osservatorio Balcani e Caucaso

Read Full Post »

Festeggiamenti a Pristina (Kosovo) per l'indipendenza nel febbraio 2008

Come si mantiene la pace in una zona uscita da poco dalla guerra? Per Ivo Josipovic, neo-presidente croato, è essenziale mantenere buoni rapporti con i Paesi vicini. Per Boris Tadic, capo di Stato serbo, un fattore chiave per evitare conflitti armati è… l’esercito. Le dichiarazioni dei leader rispecchiano i contrasti tra i due governi, emersi con evidenza alla cerimonia di insediamento di Josipovic, disertata da Belgrado per protesta contro la presenza del presidente kosovaro Fatmir Sejdiu.

“L’esercito deve sempre avere il posto che gli spetta nella nostra società – ha detto Tadic l’11 febbraio. – La Serbia è un fattore di pace ed è pronta ad assumersi responsabilità nelle missioni di pace nelle varie parti del mondo. Solo su questi presupposti saremo rispettati nella comunità internazionale”. Un esercito forte, quindi, come strumento per far sentire il proprio peso sullo scacchiere europeo.

Tadic e Josipovic, presidenti di Serbia e Croazia, divisi dal riconoscimento dell'autonomia del Kosovo

La pensa diversamente Josipovic, che nel suo primo discorso ufficiale da presidente ha definito una “priorità” i rapporti di buon vicinato con gli Stati confinanti. Se le cose non vanno benissimo con la Serbia, è sempre più forte il legame con Pristina. Il 19 febbraio a Zagabria è stata inaugurata l’ambasciata kosovara: un ulteriore segno di amicizia dopo il riconoscimento dell’indipendenza dichiarata dalla provincia serba (e mai accettata da Belgrado).

All’insediamento di Josipovic era presente il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. L’Italia è uno dei 65 Paesi che accettano il Kosovo come Stato autonomo, ma allo stesso tempo preme per l’ingresso in Europa della Serbia. L’adesione alla Ue è uno dei pochi obiettivi comuni di Tadic e Josipovic: qualche giorno fa Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, ha espresso il desiderio che anche il Kosovo si avvicini a Bruxelles. I destini delle nazioni balcaniche, insomma, si intrecciano sempre più strettamente: dall’atteggiamento di Zagabria e Belgrado dipenderà buona parte della stabilità dell’ex Jugoslavia.

Read Full Post »

Anton K. e Murat A., a processo da novembre, si dichiarano vittime di un caso di omofobia

L’amore non ha segreti. A meno che tu non sia una spia omosessuale. Anton K., 42 anni, tedesco, e Murat A., 29 anni, macedone di etnia albanese, sono sotto processo a Monaco di Baviera. L’accusa? Aver passato informazioni riservate al crimine organizzato balcanico o a servizi di intelligence di altri Paesi. I due imputati, però, sostengono di essere perseguiti solo in quanto gay.

Anton, ex ufficiale dell’esercito, arriva a Pristina nel 2005. Ufficialmente è nella capitale del Kosovo come diplomatico del ministero degli Esteri, in realtà deve investigare sui legami tra criminalità e istituzioni del luogo. Dopo poco conosce Murat, che parla un tedesco perfetto ed è ben inserito in città. Lo ingaggia come suo interprete. I due vanno a vivere insieme e in breve tempo si innamorano. Nel 2007 Anton cambia il beneficiario della sua polizza d’assicurazione sulla vita: sostituisce la moglie, rimasta in patria, con il suo innamorato. Un errore che gli costerà caro.

Il logo dei servizi segreti tedeschi. Negli anni ’90 indagarono sui fondi provenienti dalla Germania e destinati all’Esercito di liberazione del Kosovo

Appena la consorte riceve la notizia dalla compagnia assicurativa, si precipita a chiedere spiegazioni negli uffici dell’intelligence tedesca. Che non ne sa nulla. Anton viene denunciato alla magistratura ed arrestato assieme a Murat nel marzo 2008. L’agente avrebbe passato notizie confidenziali all’amante, che a sua volta le avrebbe divulgate ad altri 007 o alla delinquenza locale. Tutto falso per gli accusati, che affermano di essere vittime di un caso di omofobia.

Non è la prima volta che Murat finisce in tribunale: sulle sue spalle pende una condanna per lesioni personali e sequestro di persona nei confronti della compagna. Sì, perché anche l’interprete, come Anton, aveva una relazione eterosessuale. I due innamorati ammettono di aver sbagliato a non avvisare i superiori del loro rapporto. Se avessero avvertito anche i rispettivi partner, adesso non rischierebbero 10 anni di carcere.

Read Full Post »

Il presidente serbo Boris Tadic con Milorav Dodik, premier della Repubblica serba di Bosnia

“Se il Kosovo diventa indipendente, non vedo perché non dovremmo esserlo anche noi”. Milorad Dodik, primo ministro della Repubblica serba di Bosnia (RS), parlava così nel settembre 2006. Oggi giura di non volere più la separazione dalla Federazione croato-musulmana (l’altra entità in cui è divisa la Bosnia-Erzegovina), ma sono in molti a non credergli. Il sospetto nasce dalla legge sul referendum approvata in questi giorni dal parlamento dei serbi bosniaci: un provvedimento che potrebbe essere un primo passo verso la secessione da Sarajevo.

La nuova normativa attribuisce il diritto di indire un referendum al presidente della Repubblica, al governo o ad almeno 30 deputati, stabilendo il ricorso obbligatorio alla consultazione popolare in caso di adesione del Paese alla Nato o di modifica degli accordi di pace di Dayton del 1995. Dodik sostiene di voler garantire proprio l’attuazione dei patti che posero fine alla guerra, a suo parere minacciata dal rafforzamento del governo centrale bosniaco voluto dalla comunità internazionale. Se si terrà un referendum, dice il primo ministro, sarà per difendere l’autonomia dei serbi di Bosnia, ma non per promuovere la creazione di un nuovo Stato indipendente.

Valentin Inzko, Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina per la comunità internazionale

“Siamo pronti a inviare l’esercito per difendere l’integrità della Bosnia”, aveva tuonato a gennaio dalla Croazia Stipe Mesic. La preoccupazione dell’ex presidente è condivisa dai deputati musulmani e croati della RS, che dopo l’approvazione della legge sul referendum hanno abbandonato l’aula, annunciando che ricorreranno al diritto di veto nella Camera dei popoli (il secondo ramo del parlamento) e alla Corte costituzionale. Per loro l’unico obiettivo di Dodik è la scissione dalla Federazione croato-musulmana: non gli credono neanche quando afferma di voler limitare i poteri dell’Alto rappresentante dell’Ohr, l’istituzione internazionale che vigila sull’attuazione di Dayton e che può rimuovere i membri del governo, imporre e revocare normative, congelare le attività dei partiti.

Delle due l’una: o i politici croati e musulmani esagerano con le loro proteste, oppure Dodik mente. Sempre nel 2006, il primo ministro raccontava che ogni volta che tornava da Sarajevo a Banja Luka, capitale della RS, suo figlio gli chiedeva: “Come si sta a Teheran?”. Allora la lotta “contro l’islamizzazione della Bosnia” era uno dei suoi cavalli di battaglia. Oggi, almeno a parole, le sue intenzioni sono cambiate. Tattica politica o sincero ravvedimento?

Leggi anche: Croazia: “Pronti a prendere le armi”. Solo una provocazione?

Read Full Post »

Il presidente uscente croato Stipe Mesic e il premier della Repubblica serbia di Bosnia Milorad Dodik

“Se in Bosnia si tenesse un referendum secessionista, come presidente della Croazia non esiterei un attimo a inviare l’esercito”. Stipe Mesic non ama usare giri di parole. Non lo fece nel 2007 con Napolitano, che definì “razzista” per aver parlato di pulizia etnica a proposito del massacro delle foibe. Non lo ha fatto lo scorso 19 gennaio, minacciando l’uso della forza se gli elettori della Repubblica serba di Bosnia (RS) saranno chiamati alle urne per decidere sulla separazione dalla Federazione croato-musulmana, l’altra entità in cui è diviso il Paese. La sua è probabilmente una provocazione, ma il conflitto degli anni ’90 è troppo vicino per non provare comunque una certa inquietudine.

La minaccia di Mesic nasce dall’intenzione di Milorad Dodik, premier della RS, di indire un referendum per difendere l’autonomia dei serbi di Bosnia. Secondo alcuni il vero obiettivo della consultazione sarebbe spingere verso un distacco dallo Stato unitario. “In base agli accordi di Dayton, che nel 1995 posero fine alla guerra – ha detto Mesic – la Croazia è uno dei garanti della sopravvivenza della Bosnia-Erzegovina e la sua disgregazione è inaccettabile”. Dodik sostiene di non volere la scissione, ma uno stop al rafforzamento delle strutture di potere centrali, promosso dalla comunità internazionale per accelerare l’integrazione europea della Bosnia.

Milosevic, Itzebegovic e Tudjman firmano l'accordo di Dayton, che nel 1995 pose fine alla guerra

“Mesic ha iniziato la sua carriera politica con la guerra e ora vuole concluderla con la guerra”, ha replicato Dodik al capo dello Stato croato, ultimo presidente della Repubblica socialista federale di Jugoslavia. Il 18 febbraio Mesic sarà sostituito dal neo-eletto Ivo Josipovic, anch’egli di centrosinistra, ma più morbido in politica estera: pochi giorni fa ha annunciato di voler proporre alla Serbia di ritirare le reciproche denunce di genocidio presentate alla Corte internazionale di giustizia de L’Aja. La “pacificazione” dovrebbe iniziare in occasione dell’insediamento di Josipovic: quel giorno, però, potrebbe mancare proprio il capo dello Stato serbo Boris Tadic, deciso a non presentarsi se all’evento parteciperà anche Fatmir Sejdiu, presidente del Kosovo (la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Croazia ma non da Belgrado).

La mappa politico-diplomatica dei Balcani, insomma, è più intricata che mai: i protagonisti delle guerre degli anni ’90 alternano segnali di distensione a gesti di ostilità. Se Tadic si dice contrario a un referendum che porti alla frammentazione della Bosnia, il ministro degli Esteri serbo Vuk Jemeric getta benzina sul fuoco: “Mesic è un uomo senza alcuna coscienza politica e morale”. Servirà la buona volontà di tutti per far sì che quello del ritorno alle armi continui ad essere una surreale, improbabile ipotesi.

Leggi anche: Bosnia, serbi verso la secessione? Il premier Dodik smentisce

Read Full Post »