
Una partita di calcio in Kosovo (foto Groundhopping Merserburg, http://bit.ly/1bSunio)
Ujkani, Sadiku, Pepa, Perdedaj, Nushi, Hasani, Alushi, Gashi, Rashkaj, Azemi, Bunjaku. I tifosi kosovari potrebbero ricordare questa sequenza di nomi anche tra molti anni. Appartengono agli undici calciatori scesi in campo dall’inizio nella prima amichevole internazionale giocata con l’ok della Fifa. L’avversario era Haiti, che ha fermato i padroni di casa sullo 0-0. Per loro la festa del 5 marzo è stata quasi perfetta.
Quasi perché non sono arrivati gol né vittoria, e perché il completo riconoscimento internazionale dell’ex provincia serba (che si è autodichiarata indipendente nel 2008) sembra ancora lontano. Al momento Pristina ha luce verde da 23 dei 28 Stati Ue e da 108 dei 193 Paesi Onu. In cima alla lista dei no c’è quello di Belgrado, che però negli scorsi mesi ha ammorbidito la sua posizione, ottenendo un avvicinamento all’Unione europea.
La selezione kosovara aveva già giocato alcune amichevoli, ma senza il beneplacito Fifa, arrivato a gennaio. Le negoziazioni precedenti hanno coinvolto anche la Serbia, che ha imposto due condizioni: allo stadio le autorità di Pristina non hanno potuto issare la loro bandiera, né far suonare l’inno. Il valore simbolico è stato comunque alto: tra i 17mila spettatori c’erano anche presidente e primo ministro.
Fuori dall’impianto cittadini kosovari hanno bruciato una bandiera serba. È stato l’unico incidente segnalato in una giornata potenzialmente pericolosa: le squadre si sono affrontate a Mitrovica, città divisa a metà tra le due etnie presenti nella regione. È andata bene, in attesa di eventi ancora più epocali. Come una partita tra la Nazionale di Belgrado e quella di Pristina.