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Posts Tagged ‘grecia’

Migranti in cammino in Macedonia (foto International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, http://bit.ly/R7HqWA)

Migranti in cammino in Macedonia verso la Serbia (foto International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, http://bit.ly/R7HqWA)

Migliaia in cammino ogni giorno nell’ex Jugoslavia per raggiungere l’Europa del centro e del nord. L’odissea dei migranti va avanti anche d’inverno, con numeri minori rispetto a qualche mese fa ma con in più i rischi legati alla stagione. Nei giorni scorsi dalla Turchia è arrivata notizia di un bambino siriano morto di freddo. Il timore è che tragedie simili si ripetano lì e altrove.

I muri disseminati lungo il percorso dei profughi non riescono a fermarli. Pensiamo al blocco tra Grecia e Macedonia, al filo spinato tra Serbia e Ungheria, a quello tra Croazia e Slovenia. Il flusso che da quest’ultimo paese va verso l’Italia sembra preoccupare il nostro governo: in questi giorni si è parlato di un ripristino dei controlli al confine, come quelli annunciati in Svezia e Danimarca. Il ministro dell’interno Alfano ha smentito, ma ha ammesso che nelle ultime settimane sono state rafforzate le verifiche anti-terrorismo lungo la cosiddetta rotta balcanica.

Mentre gli accordi di Schengen sulla libera circolazione traballano sempre di più, chi scappa da guerre, persecuzioni e fame continua a cercare una vita migliore. Il fatto che il flusso sia ridotto rispetto all’estate può spingere i media a parlarne meno. Per non dimenticare può essere utile guardare due brevi video che circolano in queste ore. Entrambi arriverebbero dalla Serbia. Uno mostra persone in cammino nonostante il clima difficile, coperte da mantelline colorate. L’altro sarebbe stato girato in un campo profughi e riprende uno scambio di palle di neve tra alcuni bambini e un poliziotto.

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L'euro è stato adottato da 19 Stati dell'Unione europea, più alcuni che non ne fanno parte (foto JT, http://bit.ly/R7HqWA)

L’euro è la moneta di 19 Stati della Ue, più alcuni che non ne fanno parte (foto JT, http://bit.ly/R7HqWA)

C’è chi resta nell’Unione europea, ma ha rischiato di abbandonare la moneta unica. Poi c’è chi l’ha adottata senza far parte della Ue. È il caso di Montenegro e Kosovo, che hanno fatto questa scelta nel 2002. Già prima si erano buttate sul marco tedesco: quando è sparito hanno seguito la stessa strada della Germania. L’esistenza di questi due precedenti fa pensare che espellere la Grecia dall’euro potrebbe essere più difficile di quanto sembra. Se Podgorica e Pristina hanno iniziato a usarlo senza chiedere il permesso a nessuno, cosa impedirebbe ad Atene di continuare a farlo?

In queste ore un’ipotesi di questo tipo sembra lontana, perché a Bruxelles è stato trovato un compromesso: il governo greco dovrebbe essersi garantito sia la permanenza nell’Unione che quella nella valuta continentale. La scelta fatta dai due Stati dell’ex Jugoslavia, però, è interessante in ogni caso. Non possono stampare euro, perché non sono autorizzati: per ottenerli passano dalle banche internazionali e dai cittadini stranieri in visita nel Paese. Se un giorno dovesse scoppiare una crisi come quella ellenica, in teoria i governi balcanici non potrebbero chiedere aiuto alle istituzioni europee, dato che non ne fanno parte.

Difficile dire cosa succederebbe se la moneta unica dovesse perdere bruscamente valore, o comunque essere meno stabile di oggi. Una soluzione potrebbe essere l’addio all’euro, con il ritorno a una valuta nazionale. Al momento l’economia di Montenegro e Kosovo sembra legata a doppio filo agli istituti di credito stranieri. Viene da dire che non è una bella situazione. Ma nemmeno quella della Grecia lo è.

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La direttrice del Fondo monetario Christine Lagarde (foto International Monetary Fund, http://bit.ly/R7HqWA)

La direttrice del Fondo monetario Christine Lagarde (foto International Monetary Fund, http://bit.ly/R7HqWA)

Il Kosovo si avvicina all’Unione europea e ottiene un prestito dal Fondo monetario. “Come paese nato da poco, abbiamo bisogno di entrare nel pieno del consesso internazionale per finanziare progetti di sviluppo”, dice il ministro dell’economia. In effetti sembra che l’ex provincia serba stia facendo passi avanti verso nuovi riconoscimenti.

A fine aprile la commissione europea ha adottato una proposta di accordo di stabilizzazione e associazione con Pristina. Ora serve l’ok del consiglio Ue e del parlamento di Strasburgo, poi il testo potrà essere firmato, con l’obiettivo di entrare in vigore a inizio 2016. La mossa successiva dovrebbe essere la richiesta di adesione all’Unione, che però si scontra con il fatto che alcuni degli Stati membri non hanno mai accettato l’indipendenza kosovara.

Questa settimana Pristina ha ottenuto dal Fondo monetario un prestito di circa 185 milioni di euro che saranno versati in un paio d’anni. L’istituzione guidata da Christine Lagarde sembra fidarsi delle autorità balcaniche, e il governo lo sottolinea come prova di un crescente distacco dalla Serbia. Vanno ricordati, però, i crediti concessi dal Fondo che hanno strozzato i debitori, vedi Grecia. In questo senso è difficile pensare che l’accordo di questi giorni aumenti l’autonomia del Kosovo.

Il piccolo neo-Stato è l’unico dell’ex Jugoslavia che ancora non ha raggiunto un’intesa con la Ue per liberalizzare i visti, garantendo libertà di movimento ai suoi cittadini. La popolazione è povera e subisce la corruzione politica. Il rischio è che l’avvicinamento alle istituzioni internazionali sostenitrici del rigore aggiunga anche questo fardello sulle fragili spalle di Pristina.

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Stefan Füle, commissario europeo per l'Allargamento (inserbia.info)

Stefan Füle, commissario a Bruxelles per l’Allargamento e la Politica europea di vicinato (inserbia.info)

Serbia e Montenegro avanzano verso l’Unione europea. La Bosnia molto meno. La Macedonia resta in stallo. Si possono sintetizzare così – per quanto riguarda i Paesi ex jugoslavi – i rapporti sull’allargamento della Ue pubblicati pochi giorni fa dalla Commissione. Bruxelles ne ha steso uno anche per il Kosovo, che però sembra più interlocutorio, dato lo status tuttora indefinito della regione di Pristina, che è comunque considerata “potenziale candidata” a entrare nell’Unione, esattamente come Sarajevo. Hanno già fatto più strada invece Belgrado, Podgorica e Skopje, classificate come “candidate”.

Serbia. La Commissione scrive che “soddisfa a sufficienza i criteri politici” necessari. Sottolinea che è fondamentale continuare il dialogo col Kosovo, la riforma della giustizia, la lotta alla corruzione e difendere libertà dei media, minoranze e ambiente. Tutti ambiti in cui Belgrado ha dei problemi, ma i negoziati con Pristina avviati ad aprile sembrano aver messo in discesa la strada verso Bruxelles.

Montenegro. Il rapporto parla di “ulteriori progressi” compiuti nella costruzione di un’economia di mercato funzionante, e riconosce che i criteri politici richiesti dalla Ue sono rispettati. I temi principali su cui la Commissione si aspetta miglioramenti sembrano essere il crimine organizzato e la corruzione “di alto livello”, in un Paese dominato da decenni dalla stessa classe politica, incarnata dall’attuale primo ministro Djukanovic.

Macedonia. Bruxelles ricorda che è candidata dal 2005, e soddisfa i criteri politici necessari. Poi raccomanda “per il quinto anno di fila” l’avvio dei negoziati di adesione. A bloccarli sarebbero soprattutto le dispute in corso con Grecia e Bulgaria: nel primo caso c’entra il nome (Macedonia è anche quello di una regione ellenica), nel secondo la lingua (Sofia sostiene che quello parlato a Skopke è solo un dialetto bulgaro).

Bosnia. Dal rapporto pare trapelare irritazione. Si inizia dicendo che Sarajevo ha fatto progressi “molto limitati” verso il rispetto dei criteri politici necessari. Si aggiunge che i politici locali continuano a non avere una visione condivisa del futuro del Paese, e a non applicare la sentenza europea Sejdic-Finci, che riguarda la discriminazione dei cittadini su base etnica. Infine si denuncia l’assenza di coordinamento tra i vari livelli di governo, per quanto riguarda i temi legati alla Ue. Bruxelles resta lontana, almeno per ora.

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Angela Merkel e il primo ministro croato Milanovic. La cancelliera non era tra i leader europei che hanno partecipato alle celebrazioni per l'ingresso di Zagabria nella Ue (zimbio.com)

Angela Merkel e il primo ministro croato Milanovic. La cancelliera non era tra i leader europei presenti alle celebrazioni per l’ingresso di Zagabria nella Ue (zimbio.com)

Nuovo Paese, vecchie ricette. La Banca centrale europea chiede alla Croazia – da inizio luglio nell’Unione – di affrontare la crisi riformando sanità, pensioni, lavoro: “medicine” distribuite a piene mani in altri Stati, con risultati quantomeno discutibili. Va detto che Zagabria ha effettivamente grossi problemi da risolvere: corruzione, indebitamento, disoccupazione. E negli ultimi anni la situazione è peggiorata.

La Bce sembra avere un vocabolario molto ristretto. Una delle poche parole ammesse, e ripetute in continuazione, è “consolidamento”: mettere in sicurezza i conti, e farlo andando a toccare lo Stato sociale. Anche dalla Croazia Bruxelles si aspetta riforme di sanità e pensioni, oltre a un aumento della flessibilità nel mercato del lavoro: pazienza se la disoccupazione è vicina al 21%, al terzo posto tra i Paesi Ue dopo Spagna e Grecia. Più di metà dei croati under 25 è senza occupazione. Un quadro che offre decisamente poche certezze, soprattutto ai giovani. Per migliorare la situazione l’Europa propone più flessibilità, cioè ancora più incertezza.

Si diceva della corruzione, che ha colpito in modo pesante la politica, e del debito, cresciuto di molti punti sul pil negli ultimi anni. La percentuale, non lontana dal 60%, è di gran lunga inferiore a quella italiana: più che il debito pubblico a preoccupare sembra essere quello privato dei singoli cittadini, che prima dell’inizio della crisi sembrano aver vissuto sopra le loro possibilità, grazie a crediti ottenuti dalle banche. Ora che molti perdono – o hanno perso – il lavoro, diventa difficile restituire le somme ricevute.

Il quadro è fosco, ed è completato dal calo di consumi e investimenti dall’estero: rispettivamente -3 e -4% nel 2012. A fine 2013 il pil dovrebbe diminuire rispetto all’anno scorso, quando era sceso rispetto a quello prima. L’Unione europea, insomma, ha aperto le porte a un nuovo Paese in difficoltà. E cerca di “curarlo” come ha fatto con gli altri malati del continente.

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Migliaia di persone in piazza contro il governo davanti al parlamento macedone (Osservatorio Italiano)

In Macedonia il 2012 si è chiuso in modo molto turbolento. L’opposizione è scesa in piazza contro la finanziaria approvata dal parlamento, e contro il modo in cui ha ricevuto l’ok: il governo di centrodestra avrebbe violato la legge per far passare il testo nonostante l’ostruzionismo degli avversari. Nella capitale Skopje ci sono stati scontri con almeno 17 feriti, tra cui 11 poliziotti e due deputati. L’anno appena iniziato non promette nulla di buono: il governo prevede di chiedere alla Banca mondiale un prestito di almeno 250 milioni, e i socialdemocratici parlano di “scenario greco” per il Paese.

La situazione macedone è spiegata bene, e in dettaglio, da Davide Denti su “East Journal”. Proviamo a riassumerla. Nel 2012 Skopje ha ricevuto 700 milioni in prestito e ha aumentato il suo debito pubblico. Ora chiede altri soldi, che secondo i critici finanzierebbero spese inutili, come i 200 milioni contenuti nel bilancio per costruire monumenti grandiosi e comprare auto e mobili nuovi. I socialdemocratici volevano il taglio di questa somma e avevano bloccato la finanziaria nelle commissioni parlamentari, presentando centinaia di emendamenti. Il governo ha preparato una nuova bozza, molto simile a quella ferma in commissione, e il 23 dicembre l’ha inviata direttamente in aula, dove è stata approvata il giorno dopo.

La forzatura ha scatenato proteste dentro e fuori il parlamento. I giornalisti e alcuni deputati dell’opposizione sono stati espulsi dall’aula. Nelle strade della capitale ci sono state due manifestazioni contrapposte: da una parte chi contesta il governo, dall’altra chi lo sostiene, con lanci di pietre, uova, mele e pomodori tra i due gruppi. Il leader dei socialdemocratici ha definito il capo del governo Gruevski “il Milosevic macedone”, e ha detto che il parlamento, di fatto, non esiste più. Gruevski è al potere da sei anni, e l’opposizione minaccia di rovesciarlo a suon di cortei, come successe al dittatore serbo. La Macedonia scende in piazza, più a nord fa lo stesso la Slovenia. E le poltrone dei potenti balcanici sembrano sempre più fragili.

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La sede della Banca mondiale a Washington (anordestdiche.com)

La sede della Banca mondiale a Washington, negli Stati Uniti (anordestdiche.com)

Un 2013 in timida ripresa. Ma con possibili “sconvolgimenti sociali” dovuti a disoccupazione e austerità. Sono le previsioni della Banca mondiale su sei Paesi balcanici: Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia. Per quasi tutti quello che sta finendo è stato un anno difficile, con il picco peggiore a Belgrado e l’unica eccezione a Pristina. Le proteste sociali si fanno già sentire, anche in altri Stati dell’area: basti pensare alle manifestazioni delle ultime settimane in Slovenia, contro i tagli e la classe politica che ne è responsabile.

Quest’anno il Pil serbo è calato del 2%. Intorno allo zero Albania, Bosnia e Montenegro, mentre il Kosovo è cresciuto del 3%. Pristina dovrebbe mantenere questo ritmo anche nel 2013, seguita da Belgrado (+2%), Tirana (+1,6%) e da Skopje, Podgorica e Sarajevo, comprese tra l’1 e lo 0,5%. A accomunare tutti c’è l’alto tasso di disoccupazione: dal 15% albanese al 45% kosovaro, ben sopra la media dell’Unione europea, a cui finora non appartiene nessuno dei Paesi citati. La crescita economica prevista per l’anno prossimo non basta a far sorridere la Banca mondiale, che definisce i Balcani occidentali come la regione europea che forse ha subìto lo choc maggiore per la crisi globale. Austerità e recessione rischiano di impantanare l’area in un circolo vizioso, proprio come sembra esser successo alla Grecia, pochi chilometri più a sud.

Il timore di conflitti sociali nasce da qui, dalla consapevolezza delle difficoltà di nazioni spesso ancora segnate dai conflitti degli anni ’90, in cui alle sofferenze di tipo economico in molti casi si somma il nazionalismo, che è ancora vivo e potrebbe infiammarsi. Tra le cause delle guerre jugoslave c’è molto probabilmente anche la crisi degli anni ’80, quando l’inflazione arrivò a toccare punte spaventose. Questo non significa che nei Balcani stia per scoppiare un’altra guerra: significa che bisogna stare attenti, per evitare che si ricreino condizioni simili a quelle di quegli anni.

FONTI: Il Piccolo, TMNews, Eurostat

Leggi anche: Sloveni in piazza: no all’austerità che piace al neopresidente

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Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche e contro la classe politica (notizie.it)

Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche dei cittadini e contro la classe politica (notizie.it)

È l’unico Paese dell’ex Jugoslavia già entrato nell’Unione europea. E pare sprofondare nei problemi che stanno tirando a fondo altri Stati della Ue. La Slovenia ha eletto un nuovo presidente, ma la questione più grossa – anche politica – è un’altra. Disoccupazione, bolla immobiliare, titoli di Stato sotto pressione: la crisi si fa sentire, sia nel mondo “virtuale” della finanza che in quello concreto della vita quotidiana delle persone. Che nei giorni scorsi hanno manifestato in migliaia, per chiedere cambiamento e contestare la classe politica.

Le ricette di Borut Pahor, neo-capo di Stato ed ex primo ministro socialdemocratico, non suonano nuove. “Bisogna continuare con i tagli alla spesa pubblica”: austerità, come in Grecia, Spagna e tanti altri Paesi. Pahor ha sconfitto il capo di Stato uscente, Danilo Turk, anche lui di centrosinistra. L’affluenza è stata la più bassa di sempre: poco più del 40%, un sintomo della rabbia dei cittadini. Rabbia espressa restando lontani dall’urna, ma anche e soprattutto scendendo in piazza: in questi giorni si è manifestato nella capitale Lubiana e in altre città, come a Maribor, dove nel mirino c’è il sindaco indagato per corruzione. In alcuni casi ci sono stati scontri: venerdì sera a Lubiana ci sono stati quindici feriti.

Il Paese potrebbe dover chiedere aiuti internazionali, che causerebbero altre misure pesanti per la popolazione. Appena eletto Pahor ha fatto appello all’unità, ma in effetti – come ha fatto notare qualcuno – gli sloveni sembrano già uniti, contro la politica e l’abbassamento del loro tenore di vita. È vero che Turk aveva detto di voler salvare lo Stato sociale, opponendosi all’austerità, e ha perso. Ma la maggioranza dei cittadini non è quella che ha premiato il suo rivale. È quella che non è andata a votare.

FONTI: Corriere, Ansa, Il Piccolo, East Journal

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La cosiddetta “Grande Albania” potrebbe avere più o meno questi confini (Wikipedia)

“Gli albanesi devono vivere tutti in una sola nazione”. Parole così sono un po’ inquietanti, alla luce dei conflitti balcanici degli anni ’90, e lo sono di più se arrivano dal capo di governo di Tirana, Sali Berisha. Il suo Paese in questi giorni celebra il 100° anniversario dell’indipendenza dall’impero ottomano, ma si festeggia anche fuori dai confini, a partire dal Kosovo (dove gli albanesi sono maggioranza) e dalla Macedonia (dove sono una minoranza consistente).

Dietro alla frase di Berisha sembra strisciare l’idea di “Grande Albania”, che richiama alla mente la “Grande Serbia”, una delle cause delle guerre di fine secolo. “Bisogna fare tutto il possibile per rendere trascurabili le frontiere”, ha detto pochi giorni fa il primo ministro albanese, leader di un partito di centrodestra da più di vent’anni. Ieri sera era a Skopje, la capitale macedone, insieme al suo omologo kosovaro Hashim Thaci. Di fronte a 20mila persone hanno celebrato il centenario dell’indipendenza di Tirana, con toni nazionalisti e discorsi privi di traduzione in altre lingue.

In Macedonia gli albanesi sono circa il 25% della popolazione, e la percentuale schizza al 90% in Kosovo. Minoranze importanti della stessa etnia sono presenti anche in Montenegro, Serbia e Grecia. Riunirle in un solo Paese è un’idea folle, e pare difficile che alle parole possano seguire i fatti. La retorica, però, può bastare ad aumentare la tensione sociale, oltre che a inseguire gli scopi politici di chi la usa. Chissà se Berisha vuole davvero la Grande Albania, o se vuole solo essere rieletto. L’anno prossimo ci saranno le parlamentari, e un po’ di nazionalismo può sempre servire.

FONTI: Ansa, Focus Information Agency, Agenzia Nova

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Nemanja Vidic ha sbagliato il rigore che avrebbe potuto salvare la Serbia (pianetazzurro.it)

Tre squadre potrebbero andare agli Europei. Altre due al massimo li guarderanno in tv. È il (magro) bilancio delle Nazionali di calcio dell’area ex jugoslava dopo l’ultimo turno dei gironi di qualificazione a Polonia-Ucraina 2012. Slovenia e Serbia sono tagliate fuori; sognano ancora Croazia, Bosnia e Montenegro, che se la giocheranno agli spareggi.

SERBIA AMARA. Dopo aver pareggiato venerdì con un’Italia già qualificata, l’undici capitanato dall’interista Stankovic perde in casa della Slovenia, già matematicamente eliminata. Tutto si decide in due episodi. Prima Dare Vrsic, centrocampista dell’Olimpia Lubiana, segna con una punizione rocambolesca da metà campo. Poi Nemanja Vidic, capitano del Manchester United, si fa parare un rigore dal portiere dell’Udinese Handanovic. L’1-0 è inutile per gli sloveni e catastrofico per i serbi, fuori dagli Europei dopo l’uscita al primo turno dal Mondiale sudafricano. La delusione si fa sentire: a fine gara i “pilastri” Stankovic e Vidic annunciano di voler lasciare la Nazionale.

GRIDO STROZZATO. È quello del ct bosniaco Safet Susic, bomber del Paris Saint-Germain e della selezione jugoslava negli anni ’80. La sua squadra, che nella storia non è mai arrivata né a un Mondiale né a un Europeo, passa in vantaggio a Parigi contro la Francia. Un bellissimo gol di Edin Dzeko (7 reti in 8 partite in questo avvio di stagione col Manchester City) porta la Bosnia al primo posto, quello che vale la qualificazione diretta. L’urlo di Susic si spegne al 78’: Samir Nasri, compagno di squadra di Dzeko in Inghilterra, conquista e realizza un rigore molto dubbio, assicurando ai transalpini il biglietto per Euro 2012. I ragazzi di Sarajevo cercheranno fortuna agli spareggi, come è accaduto per i Mondiali 2010, quando si sono dovuti arrendere al Portogallo. Una cosa è certa: il calcio bosniaco è in grande crescita.

BELLE SPERANZE. Le hanno Croazia e Montenegro, seconde nei rispettivi gironi e dunque qualificate agli spareggi. Anche per Zagabria c’è un pò di rimpianto: gli uomini di Slaven Bilic (bronzo da difensore ai Mondiali del ’98) battono 2-0 la Lettonia e sono al primo posto fino a dieci minuti dalla fine, ovvero finché la Grecia sta perdendo in Georgia. Due gol degli ellenici fanno ammutolire i croati, che pagano le sconfitte subite proprio in Georgia e in Grecia. Più tranquilla la serata dei montenegrini: la squadra degli “italiani” Vucinic e Jovetic aveva già ottenuto l’accesso agli spareggi, grazie anche a due stupefacenti pareggi contro l’Inghilterra di Fabio Capello. La sconfitta in Svizzera (2-0) non cambia le carte in tavola.

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