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Posts Tagged ‘indipendenza’

La missione Eulex è iniziata quando il Kosovo si è dichiarato indipendente (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

La missione Eulex esiste da quando il Kosovo ha rotto con la Serbia (foto European External Action Service, http://bit.ly/R7HqWA)

Il cammino del Kosovo verso un futuro migliore sembra ancora lungo. Nei giorni scorsi l’Unione europea ha diffuso un rapporto sulla missione comunitaria Eulex, attiva nella regione da sette anni. Il documento scagiona i militari da accuse di corruzione emerse nel 2014, ma mette in luce insuccessi nel contrasto alla criminalità. Il governo tratta con quello serbo per costruire un rapporto meno ostile, ma non è detto che i negoziati siano facili.

L’ultimo incidente istituzionale risale a pochi giorni fa. Il ministro degli interni di Belgrado ha detto che il responsabile esteri di Pristina sarà arrestato se – come pare – parteciperà a una conferenza prevista nella capitale serba tra il 23 e il 25 aprile. Il diretto interessato è Hashim Thaci, ex capo del governo kosovaro ed ex leader dei combattenti albanesi nella regione, accusato per crimini che avrebbe commesso negli anni ‘90. In questo contesto oggi a Bruxelles riprendono i colloqui tra le due rappresentanze.

Il tira e molla con Belgrado, in ogni caso, non è il problema principale dei cittadini di Pristina. Economia debole, disoccupazione alta, corruzione, politici nazionali ed europei incapaci di aiutare l’area a liberarsi dalle difficoltà: la lista rende l’idea della gravità della situazione. Un tempo l’ostacolo principale sembrava proprio lo scontro con la Serbia, che però si è affievolito esattamente due anni fa, quando i negoziati di Bruxelles hanno prodotto un accordo di distensione. Da allora quell’alibi non c’è più, ma i nodi da sciogliere in Kosovo restano ben stretti.

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Il complesso industriale di Trepča (foto Global.finland.fi, http://bit.ly/1m88Mqa)

Il complesso industriale di Trepča, nel nord del Kosovo (foto Global.finland.fi, http://bit.ly/1m88Mqa)

Una vicenda che riguarda direttamente la vita di migliaia di persone, ma che potrebbe avere ricadute ancora più ampie. Parliamo delle difficoltà del complesso minerario di Trepča, vicino a Mitrovica, nel nord del Kosovo. Il governo di Pristina aveva annunciato di volerne assumere il controllo, causando la dura reazione delle autorità serbe, che vogliono avere voce in capitolo sulla questione. Il passo indietro conseguente dei politici della (ex) provincia ribelle ha scatenato proteste dei lavoratori, che temono di perdere il posto.

Il sito oggetto della contesa dà occupazione a circa 4mila persone, 20mila compreso l’indotto. Se pensiamo che gli abitanti del Kosovo sono meno di due milioni, che la regione ha una delle economie più povere d’Europa e che nel 2014 ha visto emigrare almeno 30mila cittadini verso i paesi dell’Unione, si capisce quanto è importante il futuro delle miniere di Trepča. Il ministro delle finanze serbo dice che il complesso industriale ha debiti per 400 milioni di dollari. Al momento Belgrado ha in mano la maggioranza della società, che però opera in territorio kosovaro. Nelle scorse settimane Pristina ha detto di voler acquisire unilateralmente il 100% dell’azienda, ma dopo le proteste della Serbia ha sospeso l’operazione.

Tra i due litiganti ci sono i lavoratori. La scorsa settimana 250 di loro si sono rifiutati di tornare in superficie, chiedendo una soluzione positiva del problema. Dopo un paio di giorni la mobilitazione è stata “congelata” in attesa delle scelte dei due governi, che a febbraio si incontreranno a Bruxelles, in un nuovo round dei colloqui decollati un paio di anni fa. La vicenda di Trepča potrebbe avere un peso non marginale nei negoziati, in cui finora rimangono due punti fermi: la Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo, e Pristina la ribadisce. Sul resto, però, le trattative sembrano aperte.

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15-01-20 kosovo

Hashim Thaci con la responsabile esteri Ue Mogherini (foto European External Action Service, http://bit.ly/RT9dL0)

In Montenegro centinaia di persone hanno contestato il ministro degli esteri kosovaro Hashim Thaci, in visita a Podgorica. I manifestanti di etnia serba gli rimproverano i crimini di guerra di cui si sarebbe macchiato durante il conflitto del 1998-99 e si oppongono all’indipendenza di Pristina, riconosciuta dal loro paese pochi mesi dopo lo strappo da Belgrado.

Hashim Thaci è l’uomo che ha guidato quello strappo. E’ stato primo ministro dal 2008 allo scorso dicembre, quando ha lasciato la poltrona più importante. Negli anni ’90 è stato leader politico dell’esercito di liberazione del Kosovo. Contro il suo arrivo a Podgorica si è schierato anche il vescovo ortodosso Amfilohije, la figura religiosa più importante del paese. Al suo interno i montenegrini in senso stretto sono circa il 45%; un altro 33% è composto da serbi, mentre la percentuale restante si divide tra albanesi, bosniaci e altri gruppi. In Kosovo invece la maggioranza è albanese, con la minoranza serba concentrata a nord.

Podgorica ha dichiarato l’indipendenza da Belgrado nel 2006. Logico che abbia sostenuto la scelta analoga fatta da Pristina due anni dopo e mai accettata dalla (ex) madrepatria. Abbastanza comprensibile anche la protesta dei serbi montenegrini, diventati minoranza nel loro paese proprio dopo la secessione. Il punto è che in ex Jugoslavia le tensioni etniche fanno più paura che altrove, e gli spettri del terrorismo islamico potrebbero contribuire ad aumentarle.

 

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Il 14 ottobre ci sono stati scontri durante la partita Serbia-Albania (foto Nazionale Calcio, http://bit.ly/1ryPA8o)

Gli scontri di ottobre durante Serbia-Albania (foto Nazionale Calcio, http://bit.ly/1ryPA8o)

Una visita che avrebbe fatto notizia comunque, e che la fa a maggior ragione per le parole sorprendenti di uno dei partecipanti. Il primo ministro albanese Edi Rama è stato ricevuto a Belgrado: non succedeva da quasi 70 anni. Di fronte al suo omologo serbo ha difeso l’indipendenza del Kosovo, causando una reazione stizzita.

Il colloquio era previsto il 22 ottobre, ma era stato rinviato dopo gli scontri alla partita di calcio Serbia-Albania del 14. Le autorità di Belgrado avevano addirittura sparso la voce – poi smentita – che a guidare sopra lo stadio il drone che ha scatenato il caos fosse stato Olsi Rama, fratello di Edi. Col passare dei giorni la tensione è scemata e si è arrivati a due giorni fa, quando i due leader si sono finalmente incontrati.

Tra i temi del vertice non doveva esserci il Kosovo, che è a maggioranza albanese e ha dichiarato un’indipendenza non riconosciuta dalla Serbia. A sorpresa il primo ministro di Tirana ha tirato fuori l’argomento e l’ha fatto in pubblico, durante la conferenza stampa con il capo del governo serbo, Aleksandar Vucic. “L’indipendenza di Pristina è un dato di fatto – gli ha detto. – Prima la riconoscerete, più velocemente potremo fare progressi”.

Il leader di Belgrado ha risposto parlando di nuova provocazione dopo quella del 22 ottobre. Allora il drone aveva fatto sventolare la bandiera della cosiddetta Grande Albania, che punterebbe a riunire tutti gli appartenenti alla stessa etnia. Due anni fa era stato Sali Berisha, predecessore di Rama, a dire che “tutti gli albanesi devono vivere in una sola nazione”. In mezzo c’è il Kosovo, sospeso nel limbo tra i 110 stati Onu che ne hanno riconosciuto il distacco dalla Serbia e gli 83 che finora non l’hanno fatto.

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Grande come l'Abruzzo, il Kosovo ha poco meno di 2 milioni di abitanti (foto MichelleWalz, http://bit.ly/1cQnChe)

Grande come l’Abruzzo, nel 2011 il Kosovo aveva circa un milione e 800mila abitanti (foto MichelleWalz, http://bit.ly/1cQnChe)

Tra passato e futuro. Il Kosovo deve fare i conti con una possibile nuova fossa comune, probabilmente legata agli orrori degli anni ’90. Questo mentre Pristina vede rasserenarsi le relazioni con Belgrado, e la (ex) provincia ribelle viene riconosciuta come indipendente da un fronte sempre più vasto.

La fossa è stata scoperta a Raska, in Serbia, vicino al confine kosovaro. Conterrebbe resti di vittime di etnia albanese del conflitto del 1998-99. Se non ci saranno sorprese, si tratta della sesta fossa portata alla luce dal 2000. La maggiore fu trovata un anno dopo vicino Belgrado: c’erano 800 corpi. Oggi i dispersi della guerra sono ancora oltre 1.700.

Le tragedie di quindici anni fa influenzano il presente dell’area, che però da qualche mese pare un po’ meno cupo. Questo grazie alla Serbia, che ha ammorbidito le sue posizioni, e ha concesso al Kosovo più autonomia. Belgrado però non riconosce ancora – e forse non lo farà mai – l’indipendenza di Pristina, accettata da 106 dei 193 Paesi Onu (e 23 dei 28 Stati dell’Unione europea).

Una piccola, ma importante legittimazione si è aggiunta nei giorni scorsi. Facebook ha deciso di permettere agli utenti di indicare il Kosovo come Paese d’appartenenza. 240mila persone lo hanno già fatto. Quando non potevano, magari sceglievano l’Albania. Quanto pesa il cambiamento? Magari meno del no di Russia e Cina, che difendono la linea serba. Ma l’azienda di Zuckerberg è comunque un colosso. E in qualche modo un’istituzione.

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Una donna serba al voto a Mitrovica, nord Kosovo (EPA/DJORDJE SAVIC)

Una donna serba vota a Mitrovica, città nord-kosovara divisa etnicamente a metà (EPA/DJORDJE SAVIC)

Intimidazioni e violenze. Queste due parole, agli occhi della stampa internazionale, riassumono i tratti fondamentali delle elezioni municipali kosovare del 3 novembre. Il voto era un test per i rapporti con la Serbia, migliorati negli scorsi mesi. La tensione non è stata alta ovunque, ma l’attesa era soprattutto per capire se minacce e incidenti si sarebbero verificati, e l’impressione è che siano stati significativi.

Ad aprile Belgrado e Pristina hanno firmato un importante accordo in sede europea. La prima ha concesso più autonomia alla seconda, e in cambio si è avvicinata alla Ue. Subito sono arrivate proteste dal nord del Kosovo, dove vivono molti serbi. Nel resto della regione la maggioranza è albanese. Il boicottaggio delle elezioni era stato annunciato proprio da chi non è contento dell’intesa firmata a Bruxelles: persone che dicono di sentirsi abbandonate dalla Serbia, che pure ancora non riconosce l’indipendenza di Pristina.

Domenica le violenze peggiori ci sono state a Mitrovica, città nord-kosovara divisa a metà tra albanesi e serbi. Uomini col passamontagna sono entrati in almeno tre seggi, picchiando i presenti e distruggendo le urne. In altre zone della regione sono state segnalate intimidazioni ai serbi che andavano a votare: al nord è andato alle urne meno del 10% degli aventi diritto. La giornata elettorale ha comunque avuto dei risultati. Dieci sindaci sono stati eletti al primo turno, gli altri (tra cui quello della capitale) saranno scelti al ballottaggio il 1° dicembre.

Dopo gli incidenti il segretario della Nato ha escluso che il contingente kosovaro sarà ridotto a breve. Belgrado non è stata tenera coi sabotatori: il ministro che si occupa del Kosovo li ha accusati di aver perso un’occasione per decidere del loro futuro. La Serbia pare aver sempre meno voglia di rivendicare il controllo della sua ex provincia.

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Uno degli eventi più celebrati della storia serba, la battaglia della Piana dei Merli, si tenne nel 1389 nell'odierno Kosovo (Wikipedia)

Uno degli eventi più celebrati della storia serba, la battaglia della Piana dei Merli, si tenne nel 1389 in Kosovo (Wikipedia)

I colloqui Belgrado-Pristina continuano a dare frutti. Ieri i loro rappresentanti si sono accordati su due temi importanti per la vita quotidiana delle persone: elettricità e comunicazioni. A Bruxelles, dove si tengono i negoziati, tutto sembra filare liscio, mentre in Kosovo il primo test importante saranno le elezioni di novembre.

Il primo ministro serbo Dacic, quello kosovaro Thaci e la mediatrice europea Ashton si sono visti per proseguire una serie di incontri che ha avuto il suo punto di maggior successo ad aprile, quando le parti si sono avvicinate come non erano riuscite a fare fino ad allora. Ieri si è deciso che Pristina avrà un prefisso internazionale autonomo (0083) distinto da quello di Belgrado, ma la minoranza serba che vive in Kosovo dovrebbe poter continuare a chiamare la madrepatria senza i costi aggiuntivi dovuti per una telefonata internazionale. La (ex) provincia ribelle diventa autonoma dal punto di vista elettrico, staccandosi dalle reti di Belgrado, che però – a quanto pare – fornirà ancora energia alle zone abitate dai serbi (principalmente il nord).

Un compromesso dietro l’altro, a prova della Realpolitik che le autorità in gioco applicano da mesi. In comune c’è l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea, che vede di buon occhio ogni segno di calo della tensione nell’area. Bruxelles aspetta il voto locale del 3 novembre, che parte dei dirigenti serbo-kosovari minaccia di boicottare. Il Kosovo continua a essere uno Stato per 103 dei 193 Paesi Onu, e per 23 dei 28 Ue. Non lo è per Belgrado, che su questo punto sembra aver fissato la sua “linea rossa”. Un baluardo che farà piacere ai nazionalisti, ma che pare sempre più formale.

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Mitrovica, Kosovo nord: manifestazione serba contro l'accordo di Bruxelles (osservatorioitaliano.org)

Mitrovica, Kosovo nord: manifestazione serba contro l’accordo di Bruxelles (osservatorioitaliano.org)

La svolta sembra esserci stata. Alcuni giorni fa a Bruxelles le autorità di Belgrado e Pristina hanno trovato un accordo per “normalizzare” i loro rapporti, e avvicinare i rispettivi obiettivi. La Serbia punta a entrare nell’Unione europea, in particolare a ottenere una data per l’avvio dei negoziati. Il Kosovo vuole percorrere la stessa strada, anche se servirà più tempo, e cerca un riconoscimento sempre maggiore sul piano internazionale.

L’intesa raggiunta concede autonomia alle municipalità kosovare del nord, a maggioranza serba; in cambio Belgrado smantella le sue strutture di polizia nella regione, ma mantiene un suo uomo a capo del comando comune di quelle municipalità. Il primo ministro di Pristina sostiene che l’accordo sancisce il riconoscimento dell’indipendenza dichiarata unilateralmente nel 2008; il governo serbo smentisce, e sottolinea di aver ottenuto che nel testo non si parlasse di una possibile adesione del Kosovo all’Onu.

Interpretato diversamente dalle due parti, forse distorto a scopi elettorali o comunque di consenso popolare, l’accordo dei giorni scorsi pare davvero un passo avanti importante. La Slovenia è già nella Ue, la Croazia entrerà a luglio, e la Serbia ora sembra aver rimosso un ostacolo preoccupante. Le autorità di Belgrado parlano di possibile referendum sull’intesa, e l’annuncio di una consultazione arriva anche dal Kosovo a maggioranza serba, dove ieri oltre 10mila persone hanno manifestato per dire che vogliono una tutela maggiore dei loro interessi. Al momento però nessuna delle reazioni pare avere la forza necessaria per far cambiare strada ai due governi.

FONTI: Euronews, Ansa, Osservatorio Balcani e Caucaso, Repubblica, East Journal, Reset

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La cosiddetta “Grande Albania” potrebbe avere più o meno questi confini (Wikipedia)

“Gli albanesi devono vivere tutti in una sola nazione”. Parole così sono un po’ inquietanti, alla luce dei conflitti balcanici degli anni ’90, e lo sono di più se arrivano dal capo di governo di Tirana, Sali Berisha. Il suo Paese in questi giorni celebra il 100° anniversario dell’indipendenza dall’impero ottomano, ma si festeggia anche fuori dai confini, a partire dal Kosovo (dove gli albanesi sono maggioranza) e dalla Macedonia (dove sono una minoranza consistente).

Dietro alla frase di Berisha sembra strisciare l’idea di “Grande Albania”, che richiama alla mente la “Grande Serbia”, una delle cause delle guerre di fine secolo. “Bisogna fare tutto il possibile per rendere trascurabili le frontiere”, ha detto pochi giorni fa il primo ministro albanese, leader di un partito di centrodestra da più di vent’anni. Ieri sera era a Skopje, la capitale macedone, insieme al suo omologo kosovaro Hashim Thaci. Di fronte a 20mila persone hanno celebrato il centenario dell’indipendenza di Tirana, con toni nazionalisti e discorsi privi di traduzione in altre lingue.

In Macedonia gli albanesi sono circa il 25% della popolazione, e la percentuale schizza al 90% in Kosovo. Minoranze importanti della stessa etnia sono presenti anche in Montenegro, Serbia e Grecia. Riunirle in un solo Paese è un’idea folle, e pare difficile che alle parole possano seguire i fatti. La retorica, però, può bastare ad aumentare la tensione sociale, oltre che a inseguire gli scopi politici di chi la usa. Chissà se Berisha vuole davvero la Grande Albania, o se vuole solo essere rieletto. L’anno prossimo ci saranno le parlamentari, e un po’ di nazionalismo può sempre servire.

FONTI: Ansa, Focus Information Agency, Agenzia Nova

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Incontro teso tra il cancelliere tedesco Merkel e il presidente serbo Tadic (morgenpost.de)

La Croazia è un esempio da seguire. La Serbia può imitarla, ma deve fare passi avanti sul Kosovo. Sono i due messaggi-chiave del cancelliere tedesco Angela Merkel, in visita ufficiale per la prima volta a Zagabria e Belgrado. Tutta coccole e complimenti nella capitale croata, la “donna più potente del mondo” (così l’ha definita la rivista americana Forbes) ha chiesto progressi al presidente serbo Boris Tadic, invitandolo al dialogo con la provincia ribelle se vuole continuare la marcia verso l’Europa.

Oltre 2 miliardi e mezzo di interscambio commerciale: basterebbe questo dato a spiegare l’affinità tra Germania e Croazia, che ha radici davvero molto profonde. Berlino è stata in prima fila nel riconoscere l’indipendenza di Zagabria a inizio anni ’90; il governo tedesco si impegnò a fondo per far entrare ufficialmente il nuovo Stato nello scacchiere internazionale. A vent’anni di distanza, i rapporti sono ancora saldi: la Germania è al terzo posto tra gli investitori in Croazia, preceduta solo da Austria e Olanda, e quest’anno il flusso turistico in direzione dei Balcani (già consistente) è aumentato del 15%.

A inizio anni '90 il ministro degli Esteri tedesco Genscher e il cancelliere Kohl aiutarono la Croazia a rendersi indipendente (bundestag.de)

Naturale che la Merkel abbia indicato il percorso di Zagabria verso Bruxelles come un percorso-modello, che salvo intoppi improvvisi porterà il Paese a essere il 28° membro dell’Unione europea. In realtà è come se il colloquio avuto il 22 agosto con il primo ministro Jadranka Kosor fosse un’anticipazione di quello del giorno successivo con Tadic: gli apprezzamenti rivolti alla Croazia sono inviti indiretti alla Serbia, perché rimuova gli ostacoli che ancora frenano la sua corsa verso l’Europa.

L’ostacolo, in verità, è uno solo e si chiama Kosovo. “So che un problema simile non si risolve in una notte. Ma credo che un problema simile si possa risolvere”, ha detto la Merkel di fronte al presidente serbo. Il cancelliere tedesco ha assicurato che “il posto della Serbia è in Europa, ma è necessario che ci siano progressi nei rapporti tra Belgrado e Pristina”. Equilibrista come sempre la posizione di Tadic: “La Serbia è consapevole di non poter portare nell’Unione un nuovo conflitto, ma ritiene del tutto sbagliato porre il Paese di fronte alla scelta fra Europa e Kosovo. Vogliamo una soluzione, vogliamo la libera circolazione di beni e servizi, non vogliamo congelare il conflitto. Vogliamo riprendere il dialogo con Pristina. Ma non riconosceremo mai il Kosovo“.

Belgrado, insomma, insiste nel suo tentativo di avvicinarsi a Bruxelles senza lasciare indietro Pristina, con cui Tadic intravede la possibilità di una “soluzione di compromesso” che accontenti a metà entrambi i contendenti. Una strada difficile, ma percorribile, soprattutto dopo che la Serbia ha adempiuto completamente ai suoi obblighi riguardo ai criminali di guerra, consegnando al Tribunale de L’Aja – dopo Karadzic – anche Mladic e Hadzic. Zagabria è quasi in Europa, Belgrado ancora no. Ma se vuole farcela portando con sé il Kosovo, l’attesa è inevitabile.

Fonti: Radio Radicale, Lettera 43, presseurop.eu

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