La squadra di calcio macedone del Teteks dopo la vittoria della Coppa nazionale (uefa.com)
È retrocesso, ma il prossimo anno potrà giocare in Europa. L’FK Teteks, squadra di calcio della terza città macedone, ha vinto la coppa nazionale una settimana dopo aver perso il posto nella massima serie. Un’impresa che ricorda quella del Wigan, avvenuta poche settimane prima in Inghilterra.
Il comune di Tetovo confina il Kosovo, e ha circa 100mila abitanti. Qui è nato Blerim Dzemaili, centrocampista del Napoli ma non della Nazionale macedone: gioca per la Svizzera, dove ha vissuto da quando aveva 4 anni. L’FK Teteks è stato fondato nel ’53, quarant’anni prima del riconoscimento Onu del Paese come Stato indipendente. Ancora oggi, come alle origini, è di proprietà di un’azienda tessile. Nella sua storia ha vinto 4 campionati della Macedonia jugoslava (l’ultimo nel 1985) e due coppe in quella post-guerra.
Il primo successo risale al 2009. Il secondo a due giorni fa. La finale era un derby cittadino: il Teteks ha pareggiato 1-1 contro lo Shkendija, vincitore del campionato nel 2011. Ai rigori l’FK ha avuto la meglio 6-5, e ha battuto i “cugini” per la terza volta in questa stagione, dato che li aveva già sconfitti in due gare di campionato. “Siamo il Wigan macedone”, esulta l’allenatore Gorazd Mihailov. Parla del club che l’11 maggio ha vinto la coppa d’Inghilterra, e tre giorni dopo è retrocesso in campionato.
Del calcio macedone si parla poco, perché perdente nelle competizioni internazionali e con poche stelle in giro per il mondo. La Nazionale non si è mai qualificata né ai Mondiali né agli Europei, e ha il suo unico uomo di spicco in Goran Pandev, attaccante anche lui del Napoli. Il club più titolato è il Vardar della capitale Skopje: 6 campionati e 5 coppe macedoni, ma nessun risultato significativo all’estero. In questo senso il piccolo Teteks è riuscito a far meglio, attirando su di sé i riflettori del calcio europeo.
Nemanja Vidic ha sbagliato il rigore che avrebbe potuto salvare la Serbia (pianetazzurro.it)
Tre squadre potrebbero andare agli Europei. Altre due al massimo li guarderanno in tv. È il (magro) bilancio delle Nazionali di calcio dell’area ex jugoslava dopo l’ultimo turno dei gironi di qualificazione a Polonia-Ucraina 2012. Slovenia e Serbia sono tagliate fuori; sognano ancora Croazia, Bosnia e Montenegro, che se la giocheranno agli spareggi.
SERBIA AMARA. Dopo aver pareggiato venerdì con un’Italia già qualificata, l’undici capitanato dall’interista Stankovic perde in casa della Slovenia, già matematicamente eliminata. Tutto si decide in due episodi. Prima Dare Vrsic, centrocampista dell’Olimpia Lubiana, segna con una punizione rocambolesca da metà campo. Poi Nemanja Vidic, capitano del Manchester United, si fa parare un rigore dal portiere dell’Udinese Handanovic. L’1-0 è inutile per gli sloveni e catastrofico per i serbi, fuori dagli Europei dopo l’uscita al primo turno dal Mondiale sudafricano. La delusione si fa sentire: a fine gara i “pilastri” Stankovic e Vidic annunciano di voler lasciare la Nazionale.
GRIDO STROZZATO. È quello del ct bosniaco Safet Susic, bomber del Paris Saint-Germain e della selezione jugoslava negli anni ’80. La sua squadra, che nella storia non è mai arrivata né a un Mondiale né a un Europeo, passa in vantaggio a Parigi contro la Francia. Un bellissimo gol di Edin Dzeko (7 reti in 8 partite in questo avvio di stagione col Manchester City) porta la Bosnia al primo posto, quello che vale la qualificazione diretta. L’urlo di Susic si spegne al 78’: Samir Nasri, compagno di squadra di Dzeko in Inghilterra, conquista e realizza un rigore molto dubbio, assicurando ai transalpini il biglietto per Euro 2012. I ragazzi di Sarajevo cercheranno fortuna agli spareggi, come è accaduto per i Mondiali 2010, quando si sono dovuti arrendere al Portogallo. Una cosa è certa: il calcio bosniaco è in grande crescita.
BELLE SPERANZE. Le hanno Croazia e Montenegro, seconde nei rispettivi gironi e dunque qualificate agli spareggi. Anche per Zagabria c’è un pò di rimpianto: gli uomini di Slaven Bilic (bronzo da difensore ai Mondiali del ’98) battono 2-0 la Lettonia e sono al primo posto fino a dieci minuti dalla fine, ovvero finché la Grecia sta perdendo in Georgia. Due gol degli ellenici fanno ammutolire i croati, che pagano le sconfitte subite proprio in Georgia e in Grecia. Più tranquilla la serata dei montenegrini: la squadra degli “italiani” Vucinic e Jovetic aveva già ottenuto l’accesso agli spareggi, grazie anche a due stupefacenti pareggi contro l’Inghilterra di Fabio Capello. La sconfitta in Svizzera (2-0) non cambia le carte in tavola.
La Nazionale di calcio jugoslava vincitrice dei Mondiali under 20 del 1987. Il primo in piedi a sinistra è Zvonimir Boban (radioeuropaunita.wordpress.com)
Svezia, giugno 1992. Si disputa una delle competizioni calcistiche più sorprendenti di sempre. La Danimarca di Peter Schmeichel e Brian Laudrup si laurea campione d’Europa, facendo fuori – nell’ordine – Inghilterra, Francia, Olanda e Germania. Ma il particolare più incredibile, e spesso dimenticato, è un altro. I biancorossi non avrebbero dovuto partecipare alla manifestazione. Furono ripescati all’ultimo minuto, in sostituzione di un’altra squadra: la Jugoslavia.
La selezione balcanica, che si era qualificata a pieno titolo, venne esclusa per la guerra in corso. Una decisione che decretò la fine di una delle Nazionali storiche del calcio mondiale. Quarta ai Mondiali del 1930 e 1962, seconda agli Europei del 1960 e 1968, a Italia ’90 era stata fermata ai quarti di finale dall’Argentina. In quella formazione c’erano campioni come Boksic, Prosinecki, Savicevic, Stojkovic, Suker. Alcuni di loro si sarebbero ritrovati avversari otto anni dopo, ai Mondiali di Francia, con le maglie di Croazia e Serbia.
Da allora il calcio balcanico ha vissuto alterne fortune. Il picco è rappresentato dal terzo posto croato ai Mondiali conquistato proprio nel 1998. La selezione biancorossa può vantare anche di essere arrivata due volte ai quarti di finale degli Europei: nel 1996, in Inghilterra, e nel 2008, in Austria e Svizzera. Allo stesso punto si è fermata nel 2000 (Europei in Belgio e Olanda) la Serbia, mai più avanti degli ottavi di finale di un Mondiale (raggiunti nel ’98). Ancora più modesti i risultati della Slovenia (bloccata al primo turno a Euro 2000 e ai Mondiali 2002 e 2010), per non parlare di quelli di Bosnia, Macedonia e Montenegro (unito alla Nazionale serba fino al 2007), mai qualificate a nessuna delle due competizioni.
Nemanja Vidic, capitano del Manchester United e pilastro della Nazionale serba (mjpurpleaces.blogspot.com)
Poca gloria, quindi, per squadre giovani e ancora “immature”. Eppure il talento ci sarebbe. Se proviamo a mettere insieme i migliori elementi delle sei selezioni nate dalla disgregazione balcanica (Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Macedonia e Montenegro), il risultato è eccellente. In porta possiamo affidarci a Samir Handanovic, estremo difensore sloveno dell’Udinese. Davanti a lui un invidiabile terzetto serbo: Nemanja Vidic, capitano del Manchester United, Branislav Ivanovic, pilastro del Chelsea, e Neven Subotic, campione di Germania col Borussia Dortmund.
A centrocampo spazio al 21enne bosniaco Miralem Pjanic, già più di 100 partite col Lione, e al 26enne croato Luka Modric, inamovibile del Tottenham. Al loro fianco altri tre serbi: Dejan Stankovic, 209 presenze e 29 gol nell’Inter, Milos Krasic, nota lieta nella disastrosa Juventus recente, e Zdravko Kuzmanovic, rinato allo Stoccarda dopo l’esperienza altalenante di Firenze. Devastante la coppia d’attacco: il bosniaco Edin Dzeko, da gennaio al Manchester City, e il montenegrino Mirko Vucinic, fuoriclasse della Roma.
Tra i “rincalzi”, tra chi resterebbe escluso solo per ragioni di spazio, ci sono giocatori del calibro di Aleksandar Lukovic, difensore serbo dello Zenit San Pietroburgo, Josip Ilicic, centrocampista sloveno del Palermo, e Goran Pandev, attaccante macedone dell’Inter. Una squadra così potrebbe tranquillamente puntare alle prime posizioni di qualsiasi competizione. Ma una squadra così non può esistere, perché la Storia con la esse maiuscola – quella vera, ben più ampia di un campo di calcio – ha separato i Paesi che componevano la Jugoslavia. E le loro (finora) poco fortunate Nazionali di calcio.
Il socialdemocratico Ivo Josipovic, 53 anni, da gennaio è il nuovo presidente della Croazia
Dodici mesi di Balcani. Dodici mesi scanditi da svolte politiche, delusioni sportive, novità religiose. Proviamo a ripercorrerli insieme, a partire dai primi sei mesi di questo anno che si sta chiudendo.
Gennaio. Ivo Josipovic, socialdemocratico, è il nuovo presidente della Croazia. Succede a Stipe Mesic, capo dello Stato per dieci anni. Dovrà traghettare il suo Paese nell’Unione europea, che potrebbe accoglierlo nel 2012. Rispetto al suo predecessore, ha adottato un atteggiamento più morbido nei confronti della Serbia, con cui la riconciliazione post-guerra è possibile, ma ancora lontana.
Febbraio. Se a Zagabria c’è un nuovo presidente, a Belgrado c’è un nuovo patriarca. A capo degli ortodossi arriva Irinej, al secolo Miroslav Gavrilovic, che scatena subito polemiche. Prima riscuote approvazione invitando Papa Ratzinger a visitare la Serbia: sarebbe la prima volta nella storia. Poi si attira l’ostilità dei musulmani, accusandoli di essere oppressivi verso le altre confessioni. Sì al dialogo inter-religioso, quindi. Ma solo con alcuni.
I massacratori di Srebrenica: il latitante Ratko Mladic e Radovan Karadzic, sotto processo all'Aja
Marzo. “La strage di Srebrenica? Un’invenzione”. Lo dice Radovan Karadzic, che insieme a Ratko Mladic fu il principale responsabile della morte di circa 8 mila musulmani. Il poeta, psichiatra e massacratore non è nuovo ad affermazioni deliranti come questa. E paradossalmente, il fatto di essere sotto processo all’Aja dà una visibilità mondiale alle sue farneticazioni. Solo una condanna potrebbe rendere giustizia alla verità, e dare un po’ di pace ai familiari delle vittime.
Aprile. Il Parlamento serbo si scusa per la strage di Srebrenica. Il documento approvato dall’assemblea parla di “eccidio”, anziché di “genocidio”, ma è comunque un passo avanti verso il riconoscimento delle responsabilità legate al massacro. Una piccola svolta che avvicina Belgrado all’Unione europea, e dà un pur minimo sollievo a chi nel luglio 1995 perse un padre, un marito, un fratello, un figlio.
Maggio. Ratko Mladic è morto. Lo annuncia la moglie Bosa, che vuole mettere le mani sulla sua pensione. Ma nessuno può provare che dica il vero. Ratko Vucetic, uno dei protettori dello sterminatore di Srebrenica, sostiene che sia vivo e faccia il professore in un Paese dell’ex Urss. Serge Brammertz, procuratore capo del Tribunale dell’Aja, pensa che sia ancora in Serbia. E che sia tutt’altro che morto.
La Nazionale slovena che ha partecipato ai Mondiali sudafricani, uscendo al primo turno
Giugno. Mondiali disastrosi per i Balcani. La Serbia di Radomir Antic, arrivata in Sudafrica con grandi speranze, esce al primo turno. La affossano due brutte sconfitte, con Australia e Ghana. Sono proprio gli africani, rivelazione del torneo, a qualificarsi al posto dei ragazzi di Belgrado. Non va meglio alla Slovenia, che parte benissimo – vittoria con l’Algeria e 2-0 a fine primo tempo contro gli Stati Uniti – ma poi si spegne. Passano Inghilterra e Usa. E per l’ex Jugoslavia il Mondiale finisce prima degli ottavi di finale.
La repubblica marinara di Dubrovnik fu il primo stato europeo ad abolire la schiavitù nel 1416
Terremoti e guerre non sono riusciti a intaccare la sua bellezza. Come molti altri luoghi dei Balcani, Dubrovnik ha rischiato più volte di soccombere sotto il peso della violenza. Per sua (e nostra) fortuna è riuscita sempre a risorgere dalle macerie, e ancora oggi tiene fede al suo soprannome: la “perla dell’Adriatico”, a lungo repubblica marinara indipendente, attira migliaia di turisti da ogni parte del mondo.
E dire che non basta andare in vacanza in Croazia per visitare la splendida città balcanica. Chi va al mare in Istria, o passa qualche giorno a Zagabria, deve fare un bel po’ di strada per raggiungere Dubrovnik. Per arrivarci bisogna addirittura passare dalla Bosnia: Ragusa (nome italiano della città) è in fondo alla Dalmazia, a 200 km da Spalato. In mezzo c’è Neum, centro abitato di 4 mila anime che separa la… Croazia del nord da quella del sud, in quel lembo di “terra di nessuno” (almeno per i viaggiatori) che è l’unico sbocco sul mare della Bosnia. Per vedere Dubrovnik, insomma, bisogna volerci andare appositamente. E lo sforzo viene ampiamente ripagato.
Lo "Stradun", il viale che attraversa Dubrovnik. La città fu fondata nella prima metà del VII secolo
Il primo gioiello che scintilla all’arrivo sono le mura della città: oltre 2 chilometri di pietra bianca, affascinante come quella che riveste tutto lo splendido centro storico (patrimonio dell’umanità Unesco). Per visitarlo si cammina obbligatoriamente nello Stradun, il viale che va dalla porta Pile a piazza Luza: attraversarlo è una delle principali attività serali per i turisti, che passeggiano in mezzo ai negozi e a un’architettura rinascimentale che allo stesso tempo abbaglia e riposa la vista. Non ci si accorge dei segni, che pure – a volerli cercare – ci sono, del bombardamento che il 6 dicembre 1991 colpì la città e l’opinione pubblica internazionale, sdegnata per quell’affronto a una simile meraviglia (e soprattutto ai suoi abitanti, uccisi dalle forze armate jugoslave e in particolare montenegrine).
Dubrovnik ferita suscitò la commozione e la solidarietà di tutto il mondo: i fondi per la ricostruzione giunsero immediatamente dopo il conflitto. Non era la prima volta che bisognava impegnarsi per salvare la sua bellezza: il 6 aprile 1667 un terribile terremoto distrusse Ragusa quasi interamente. Allora furono il Papa e i sovrani di Inghilterra e Francia a finanziare la sua ristrutturazione. Proprio i transalpini, un secolo e mezzo dopo, avrebbero decretato la fine dell’indipendenza della repubblica marinara, attiva nel Mediterraneo orientale dall’Alto Medioevo. Oggi Dubrovnik è più “periferica” di un tempo, almeno per i turisti. Ma chi si sforza di andarla a vedere difficilmente resta deluso.
Il portiere sloveno Handanovic, immobile sul primo gol statunitense che ha avviato la rimonta
Due gol per tempo. Due gol per squadra. Un punto per uno. E’ in pareggio il bilancio di Slovenia-Stati Uniti. I balcanici puntavano a rafforzare il primo posto nel girone. Gli americani volevano confermare la buona impressione dell’esordio contro l’Inghilterra. Ne è uscita una partita avvincente, in bilico fino all’ultimo secondo.
I primi dieci minuti passano senza emozioni. Nasce il sospetto che anche stavolta la noia la farà da padrona. Niente di più sbagliato. Al 13’ Valter Birsa, centrocampista sloveno, trafigge il portiere Tim Howard con un sinistro perfetto da lontano. Gli Stati Uniti vacillano e stentano a riprendersi. Ma poi iniziano a premere sugli avversari. Jozy Altidore semina il panico nella difesa balcanica. Una sua giocata sulla destra gli procura un buon calcio di punizione. Batte Josè Torres, che si vede respingere il tiro dal portiere dell’Udinese Samir Handanovic. Tra il 38’ e il 40’ gli americani hanno due occasioni clamorose. Prima Findley entra in area da sinistra e cerca Donovan sul palo opposto, senza trovarlo. Poi Altidore infila la retroguardia slovena, ma invece di tirare in porta cerca un passaggio di troppo e l’azione si perde. Gli Stati Uniti sono leziosi, la Slovenia no. A tre minuti dalla fine del primo tempo, i balcanici castigano ancora la squadra di Bob Bradley. Milivoje Novaković serve in profondità Zlatan Ljubijankic. Il centravanti scatta sul filo del fuorigioco e supera Howard con un tocco di piatto. E’ una mazzata tremenda per gli States. In questo momento la Slovenia è matematicamente qualificata agli ottavi di finale.
Sembra una partita chiusa. E invece è una delle gare più sorprendenti di questo Mondiale. Neanche il tempo di tornare in campo e gli Stati Uniti accorciano le distanze. Al secondo minuto della ripresa, Landon Donovan entra in area dalla destra. Potrebbe crossare, passarla, cercare il dribbling. Tira in porta da posizione impossibile. E segna. Gli sloveni, però, reggono bene il colpo. Per mezz’ora non succede quasi nulla. Gli uomini di Bradley hanno in mano il gioco, ma non creano occasioni. A completare la rimonta ci pensa il figlio del ct americano. Michael Bradley, centrocampista, mette in rete una bella sponda di testa di Altidore. Mancano dieci minuti alla fine. Ora gli Stati Uniti potrebbero vincere. Glielo impedisce l’arbitro Koman Coulibaly, che all’85’ annulla un gol regolare di Maurice Edu. Potrebbe tornare in vantaggio anche la Slovenia: Aleksandar Radosavljevic sfodera un bel tiro da fuori, respinto da Handanovic.
Alla fine vince solo lo spettacolo. Il pareggio premia gli Stati Uniti, che vincendo nell’ultima gara con l’Algeria avranno ottime possibilità di passare il turno. Gli sloveni dovranno cercare l’impresa contro l’Inghilterra. Stasera gli uomini di Fabio Capello affrontano la squadra africana, in un match dal risultato apparentemente già scritto. Non si può dire lo stesso della classifica finale del girone C. Per conoscere le qualificate agli ottavi, bisognerà attendere il 23 giugno.