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Posts Tagged ‘ironia’

Ivano Pasqualino, autore del blog "La finestra sul fronte"

Quando abbiamo aperto Balcanews, ci siamo proposti di andare “oltre” la guerra: quella degli anni ’90, che spesso sembra essere l’unico argomento che spinge i mass media a parlare dell’ex Jugoslavia. Stavolta, però, trasgrediremo al nostro proposito, per presentarvi un blog che parla proprio di conflitti armati: La finestra sul fronte. La contraddizione è solo apparente, perché lo spirito che anima i nostri articoli in fondo è simile a quello dei pezzi del collega Ivano Pasqualino: la guerra esiste e va raccontata, ma cercando di dare rilievo ai gesti di umanità di chi oppone resistenza all’orrore.

Digitando l’indirizzo www.lafinestrasulfronte.wordpress.com, è probabile veder apparire il volto serio di Obama o quello compiaciuto di Berlusconi: molti dei post si occupano dei potenti della Terra, quando le loro decisioni si intrecciano con avvenimenti bellici o addirittura li provocano. I protagonisti, però, non sono solo i politici, ed anzi è proprio alle persone comuni, alle “storie di vita quotidiana” che Pasqualino si dedica con maggior passione. Dai reduci della prima guerra mondiale ai giornalisti incarcerati in Eritrea, veniamo a conoscenza di aneddoti, avventure, tragedie che finiscono solo superficialmente sui giornali. La “finestra” che si apre davanti ai nostri occhi ci offre un punto di vista diverso su realtà di cui si parla molto (Afghanistan, Haiti), ma spesso senza andare oltre le cifre e i comunicati ufficiali. Pasqualino descrive realtà drammatiche con grande forza emotiva e a volte anche con ironia, quest’ultima ovviamente riservata ai “grandi” capi di Stato e ai loro errori. Il tutto arricchito da video, citazioni (la pagina “Pensieri”) e da una veste grafica leggera e gradevole.

La homepage del blog, che parla di storie di guerra tra capi di Stato e persone comuni

Una critica a La finestra sul fronte? Non sulla frequenza di aggiornamento, regolare anche se non altissima. Non sulla struttura dei pezzi, divisi in sezioni e con numerosi link ad altri siti. Se proprio dovessimo dire qualcosa a Pasqualino, non sarebbe un rimprovero, ma un suggerimento: sviluppare ancora meglio la pagina “Volti”, dedicata agli “occhi di uomini e donne che hanno già aperto una finestra sul fronte, pagando a volte con la loro stessa vita”. Per ora ci sono gli sguardi di Anna Politkovskaja e Maria Grazia Cutuli. Sarebbe bello se alle loro si aggiungessero altre storie, oltre alle tante ben raccontate dall’autore nelle altre parti del blog.

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Mileva Maric, serba, e Albert Einstein, tedesco. La loro unione durò 16 anni

Dietro un grande uomo, si dice, c’è sempre una grande donna. Albert Einstein non fa eccezione. La prima moglie del genio tedesco, Mileva Maric, era una scienziata nata a Titel, nel nord della Serbia. C’è chi sostiene che con i suoi studi abbia addirittura contribuito alla teoria della relatività, elaborata durante il loro matrimonio. Di sicuro è stata una delle intellettuali balcaniche più brillanti. Eppure le sue spoglie oggi riposano in Svizzera. E i discendenti si mobilitano per farle tornare in patria.

Einstein e la Maric si conoscono a Zurigo nel 1898. Entrambi studiano al Politecnico: la futura consorte di Albert è l’unica ragazza che è riuscita ad entrarci. I due si innamorano e nel 1902 hanno una figlia, Lieserl, che però svanisce misteriosamente dalla loro vita: per alcuni la bimba muore di scarlattina, per altri viene data in adozione per volere dei genitori di lui, contrari al legame con una donna non ebrea. Un anno dopo il padre di Einstein muore e la coppia può sposarsi. Avrà due figli, Hans Albert nel 1904 e Eduard nel 1910. Il matrimonio, però, non è destinato a durare.

Maya Sansa e Vincenzo Amato interpretano Mileva e Albert nel film di Liliana Cavani "Einstein" (2007)

Nel 1914 Einstein diviene direttore dell’Istituto di fisica Kaiser Wilhelm a Berlino. Mileva si rifiuta di seguirlo in Germania. Da due anni Albert ha perso la testa per la cugina Elsa, una donna frivola, famosa per la sua vanità: a un pranzo mondano, pur di non mettersi gli occhiali mangia una decorazione floreale credendola insalata. Nel 1919 Einstein e la Maric divorziano. Nello stesso anno, Albert sposa Elsa. Mileva Einstein torna ad essere Mileva Maric, depressa e con due figli a carico. L’ultimo contatto tra i due avviene nel 1921, quando lo scienziato le dona il ricavato del Nobel per la Fisica. Poi più nulla. Mileva morirà a Zurigo nel 1948.

Oggi Dragisa Maric chiede alle autorità serbe di riportare nei Balcani la salma della sua antenata. Il luogo della sepoltura, ignoto per decenni, è stato scoperto nel 2004 grazie all’impegno di un pittore: Petar Stojanovic, fondatore del Centro memoriale intitolato a Nikola Tesla. Ironia della sorte, il grande fisico serbo era amico proprio della Maric: fu lui a presentarla al suo collega Einstein. Non poteva sapere che in suo nome, oltre un secolo dopo, qualcuno si sarebbe ricordato di lei.

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Lionel Abelanski nei panni di Shlomo. Il suo ruolo era stato offerto a Benigni

“Se Hitler fosse vivo e vedesse tutti i programmi tv cupi e noiosi sulla Shoah e sentisse tutti i pianti e i lamenti degli ebrei sarebbe felice. L’unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti, che sono ancora vivi in Sudamerica, è farli imbestialire, è mostrar loro che siamo vivi, che non ci hanno distrutti, che il nostro umorismo non è stato cancellato dalle loro barbarie”.

Radu Mihaileanu è nato a Bucarest 51 anni fa. Train de vie è il suo film più famoso: ambientato durante la seconda guerra mondiale, racconta la tragicomica fuga di una comunità di ebrei dalla persecuzione nazista. Dopo aver rimesso in sesto un vecchio treno, i protagonisti lasciano il proprio villaggio dell’Europa dell’Est, inscenando una falsa deportazione di se stessi. Alcuni di loro si vestono da soldati tedeschi, fingendo di dover portare i propri concittadini in un campo di concentramento: in realtà la loro meta è la Palestina, ma per arrivarci dovranno superare molte difficoltà. Lungo la strada li fermeranno più volte gli uomini di Hitler, che inganneranno con vari stratagemmi; il viaggio raggiungerà il suo punto più surreale quando a bloccare la stravagante comitiva sarà una compagnia di gitani, anch’essi incredibilmente travestiti da nazisti.

Il taglio del racconto è ironico, delicato, inusuale per un tema come quello della Shoah. Oltre a Mihaileanu, solo un altro regista è riuscito a parlare dell’argomento con la stessa profonda leggerezza: Roberto Benigni. Proprio al comico toscano era stata offerta la parte di Shlomo, il matto del villaggio che è il narratore di Train de vie. Dal suo rifiuto nacque La vita è bella, che nel 1999 vinse l’Oscar come miglior film straniero. La pellicola di Mihaileanu si dovette “accontentare” del David di Donatello, sempre come migliore produzione straniera, sempre nello stesso anno.

Cosa c’entra Train de vie con i Balcani? I punti di contatto sono almeno due. C’è la colonna sonora di Goran Bregovic, soave, trascinante, che accompagna con allegra malinconia le peripezie dei “deportati”. E c’è una filosofia, uno spirito di vita che è quello che oggi anima anche i Paesi dell’ex Jugoslavia. “L’unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti è mostrar loro che siamo vivi”: le parole di Mihaileanu valgono per chiunque reagisca a una tragedia puntando tutto sull’umanità, sulla fede (laica o religiosa che sia) nella capacità di fare del bene. Una fede che sopravvive all’orrore prodotto dagli stessi esseri umani, nell’Europa degli anni ’40 come in quella degli anni ’90.

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