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Posts Tagged ‘lubiana’

Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Nei primi quattro mesi al Quirinale Sergio Mattarella è stato in visita ufficiale in dieci paesi esteri. Quattro di questi facevano parte della Jugoslavia. Colpisce l’attenzione del presidente per quella regione, così come l’ordine con cui si è presentato nelle capitali balcaniche. Circa un mese fa ha cominciato dalla Slovenia, primo stato che era governato da Tito a entrare nell’Unione europea. Il giorno dopo è andato in Croazia, che ha seguito la stessa strada ed è stata l’ultima new entry a Bruxelles.

La prossima in lista è la Serbia, in cui l’ex ministro è stato ieri prima di spostarsi in Montenegro, altro candidato all’integrazione. Da Lubiana e Zagabria erano arrivate in Italia soprattutto dichiarazioni di Mattarella sull’immigrazione: erano passati pochi giorni dall’ennesimo naufragio e si era in pieno dibattito sulla necessaria risposta europea. In questi giorni, invece, i titoli sono dedicati al cammino di Belgrado e Podgorica verso l’Unione. Il presidente chiede un’accelerazione proprio mentre l’allargamento sta frenando, nel contesto delle tensioni con la Russia.

La crisi ucraina era nata con la scelta delle autorità di Kiev di congelare l’avvicinamento a Bruxelles, che aveva causato proteste di piazza. Il paese si è trovato in mezzo a due contendenti, due aree di influenza che sembrano aver giocato un ruolo importante nel conflitto. Se a questo si sommano la crisi economica europea e il tira e molla tra i sostenitori del rigore e quelli della spesa pubblica si capisce perché la Ue ha rallentato il percorso che porta a far entrare altri stati. L’ultima conferma al vertice di Riga, che non ha fatto segnare progressi per le ex nazioni sovietiche.

È vero che Moldova, Georgia e Ucraina non sono ancora candidati all’adesione, mentre lo sono Serbia, Montenegro, Macedonia, Albania, Islanda e Turchia. Un passo più indietro (ma più avanti dei paesi che appartenevano all’Urss) ci sono Bosnia e Kosovo, che “potenzialmente” – secondo la formula di Bruxelles – potrebbero aspirare all’ingresso. Mattarella pare voler ridare vigore alla prospettiva europea dell’ex Jugoslavia, ma difficilmente Belgrado entrerà nell’Unione prima di qualche anno, e per le altre capitali dell’area i tempi sono più lunghi e incerti.

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Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Per la prima volta un paese ex-jugoslavo ha legalizzato i matrimoni gay. La Slovenia lo ha fatto circa una settimana fa, scatenando le proteste dei partiti di centrodestra e della chiesa cattolica. La conferenza episcopale di Lubiana ha invitato i preti a darsi da fare per raccogliere le firme necessarie a ottenere un referendum, ma sembra che la maggioranza dei cittadini sia favorevole alle nuove norme.

Il sì del parlamento è arrivato su una proposta di Sinistra unita, formazione di opposizione, appoggiata anche dal gruppo del primo ministro Miro Cerar. Pare che ora le coppie omosessuali potranno anche adottare bambini. Finora altri 12 paesi europei avevano istituito i matrimoni gay: in buona parte si tratta di stati del nord (Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Gran Bretagna, Danimarca). Ora la Slovenia apre una porta nei Balcani, dove l’intolleranza verso le persone non eterosessuali ha fatto notizia anche negli ultimi anni, dalla Serbia al Montenegro.

A Lubiana migliaia di cittadini hanno manifestato contro la svolta approvata dal parlamento. Dal partito di destra Nuova Slovenia, al governo negli scorsi anni, sono arrivate parole gravissime. “Così facendo – ha detto la presidente del comitato cultura – legalizzeremo la poligamia, e poi dovremo permettere anche il matrimonio tra uomini e bestie”. La speranza è che a pensarla così sia una parte molto minoritaria della popolazione.

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Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto,  http:// bit.ly/1iowB8m)

Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto, http:// bit.ly/1iowB8m)

Una crescita del pil del 2,4% nel 2014, dell’1,7% nel 2015 e del 2,5% nel 2016. C’è da scommettere che Matteo Renzi pagherebbe per avere delle stime così dalla commissione europea. Questi dati però riguardano la Slovenia. Lubiana è in crisi da anni, nei mesi scorsi si era parlato di possibili aiuti internazionali, insomma: non siamo di fronte alla locomotiva tedesca, o agli Stati Uniti rimessi in piedi dopo il crac del 2008. Come si spiegano allora le previsioni sul paese balcanico?

Iniziamo col dire che quelle europee per quest’anno sono addirittura migliori di quelle del governo sloveno, che parlava di un aumento del prodotto interno lordo del 2%. A trainare la crescita sembrano essere export e investimenti, entrambi in ripresa negli scorsi mesi. Difficile, invece, dire che dietro il trend positivo ci sia la stabilità politica: l’ultimo governo è nato in estate, e quello precedente si era insediato l’anno scorso. Il pil era crollato dell’8% nel 2009, per poi aumentare di poco nei due anni seguenti. Poi ancora segno meno, ed è interessante segnalare che proprio un anno fa la commissione europea stimava che nel 2014 il prodotto sloveno avrebbe perso l’1%.

Stime come queste vanno prese con le molle, quindi, come insegnano anche le vicende italiane (ad aprile il governo ipotizzava per quest’anno una crescita vicino al punto percentuale; alla fine dei conti molto probabilmente sarà negativa). A Lubiana i fattori che potrebbero causare un nuovo peggioramento della situazione non mancano: debito pubblico aumentato negli ultimi anni, sistema bancario in crisi, politiche di austerità che altrove hanno fatto molti danni. Ancora presto, quindi, per parlare di sicura uscita dal tunnel.

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Il parlamento sloveno (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Il parlamento sloveno, costruito negli anni ’50 (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Domenica prossima gli sloveni saranno chiamati al voto per le politiche. Tutti i sondaggi danno in vantaggio il giurista Milo Cerar, che ha appena fondato un partito di centrosinistra. Le europee di fine maggio, però, sono state vinte dalla fazione opposta, e in particolare dalla formazione di Janez Jansa, ex capo del governo finito in carcere a giugno.

La storia recente di Lubiana somiglia a quella di Roma, almeno apparentemente. Parliamo di crisi economica, voci sulla possibile richiesta di aiuti internazionali (più insistenti nell’ex Paese jugoslavo che non in Italia), opinione pubblica irritata dalla corruzione politica, governi che durano appena un anno. L’ultimo a cadere è stato quello di Alenka Bratusek, prima donna a guidare la Slovenia, abbattuta da una faida interna al suo centrosinistra.

Forse è per questo che il voto comunitario ha premiato la destra di Jansa, nonostante i problemi giudiziari del suo leader. Condannato a due anni per corruzione, un paio di settimane fa è finito nello stesso carcere in cui era dovuto entrare a fine anni ’80: allora però il motivo era il possesso di un documento riservato, fatto sgradito al regime comunista. Secondo diversi sondaggi al momento il partito di Jansa sarebbe tra il 13 e il 15%, secondo dopo il 15-19% di Cerar. Tutti gli altri sarebbero sotto il 10%.

L’esito delle elezioni sembra comunque una grossa incognita, legata anche all’astensionismo: alle europee ha votato solo uno su quattro tra gli aventi diritto. La politica slovena pare messa male, come l’economia, e il prossimo primo ministro dovrà lavorare duro se vorrà cambiare davvero le cose. Per ora l’impressione è quella di un circolo vizioso: l’uomo che ha tolto la sedia a Bratusek, Zoran Jankovic, era tra i bersagli dei cortei anti-corruzione a cavallo tra fine 2012 e inizio 2013.

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A destra l'ex primo ministro sloveno Jansa (foto European People's Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

A destra l’ex primo ministro sloveno Janez Jansa (foto European People’s Party, http://bit.ly/1ryPA8o)

Un elettore su quattro. Nei due Stati ex-jugoslavi che fanno parte dell’Unione europea l’affluenza al voto per Bruxelles è stata intorno al 25%, molto più bassa della media continentale (43%). Sia in Slovenia che in Croazia hanno vinto i conservatori.

Zagabria è entrata nella Ue meno di un anno fa, ma la scarsa partecipazione alla consultazione sembra confermare la mancanza di entusiasmo dei suoi cittadini nei confronti dell’Europa. L’Unione Democratica Croata ha dato 12 punti ai partiti governativi: il centrodestra ha preso il 41%, contro il 29% messo insieme da socialdemocratici e liberali. Molto bene una nuova formazione ecologista, guidata da una ex ministra fuoriuscita dai socialdemocratici. Il suo 9,5% la pone davanti alla destra euroscettica, poco sotto il 7%. In tutto Zagabria manderà a Strasburgo 12 parlamentari.

In Slovenia le europee precedono di poco le politiche anticipate, in programma a luglio. Il grande vincitore della tornata appena conclusa è l’Sds, partito conservatore guidato da Janez Jansa, ex capo del governo condannato ad aprile per corruzione. In estate si tornerà alle urne per una faida interna al centrosinistra, punito dal voto comunitario: Slovenia Positiva, formazione del primo ministro dimissionario Bratusek, non è arrivata nemmeno al 7%.

In entrambi i Paesi un elemento centrale è la crisi economica. Per Lubiana si parla da molti mesi di possibili aiuti internazionali. Zagabria è in recessione da sei anni: a fine 2014 il pil potrebbe scendere di quasi un punto. Gli elettori dei due Stati hanno fatto capire di non credere che l’Europa possa aiutarli a risollevarsi.

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Il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy e il capo di Stato sloveno Borut Pahor (foto President of the European Council, http://bit.ly/R7HqWA)

Il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy e il capo di Stato sloveno Borut Pahor (foto President of the European Council, http://bit.ly/R7HqWA)

Confina con l’Italia, e politicamente sembra somigliarle. La Slovenia si avvia a cambiare di nuovo governo, a poco più di un anno dalla nascita dell’ultimo. Anche a Lubiana, come è successo pochi mesi fa a Roma, l’instabilità è causata da una sfida interna al centrosinistra. Al posto di Enrico Letta c’è l’attuale primo ministro Alenka Bratusek; il ruolo di Matteo Renzi tocca a Zoran Jankovic, sindaco di Lubiana.

Pochi giorni fa c’è stato il congresso di Slovenia Positiva, partito di Bratusek e Jankovic. Il secondo ha battuto la prima, che ha reagito stracciando la tessera e portando con sé metà gruppo parlamentare. La stessa Bratusek ha ammesso che ora il governo non potrà andare avanti a lungo. Quindi elezioni, che al più tardi dovrebbero tenersi subito dopo l’estate. L’attuale primo ministro era subentrato a Janez Jansa, uomo di centrodestra, abbattuto da proteste di piazza e dalla crisi economico-finanziaria. Pochi giorni fa è stato condannato a due anni di carcere per corruzione. Il possibile nuovo leader di governo, Zoran Jankovic, aveva già provato a conquistare quel posto a inizio 2012, ma non era riuscito a ottenere la maggioranza in parlamento. Un anno dopo accuse di corruzione lo avevano costretto a lasciare a Bratusek la presidenza del partito.

Recuperata la guida di Slovenia Positiva, Jankovic sembra puntare anche a quella del governo. A differenza di Renzi, probabilmente dovrà passare dalle urne, perché le altre formazioni politiche della maggioranza avevano detto che l’avrebbero lasciata se la “staffetta” si fosse concretizzata. Tutto questo avviene in un Paese in crisi, in cui da anni si parla di una possibile richiesta di aiuti internazionali. I manifestanti che contribuirono ad affossare Jansa protestavano per lo stato dell’economia e la diffusione della corruzione. Le manovre di potere in corso a Lubiana non fanno sperare che in questi due ambiti saranno fatti presto passi avanti.

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Johannes Hahn, commissario per le Politiche regionali (foto European Parliament, http://bit.ly/18HnU5u)

Johannes Hahn è commissario europeo per le Politiche regionali dal 2010 (foto European Parliament, http://bit.ly/18HnU5u)

La Slovenia punta sulle privatizzazioni e si vede congelare i fondi europei. Il secondo fatto non è conseguenza del primo, ma messi insieme formano un’immagine preoccupante dell’economia di Lubiana. Le sue difficoltà durano da tempo: per tutto il 2013 si è parlato di una possibile richiesta di aiuti internazionali, che finora non è arrivata.

Tra i provvedimenti che dovrebbero permettere di evitarla ci sono appunto le cessioni di proprietà statali, a partire dalle banche più in crisi, che sono tutte sotto controllo pubblico. L’operazione riguarda anche altri settori, dai trasporti alle telecomunicazioni. Viene da chiedersi come saranno gestite le dismissioni, e in particolare i destini dei lavoratori: nelle scorse settimane molti cittadini bosniaci sono scesi in piazza anche per il modo in cui la classe politica ha svenduto aziende dopo la guerra.

Proprio mentre il governo sloveno è a caccia di soldi, Bruxelles blocca fondi comunitari per centinaia di milioni di euro, già messi a bilancio per quest’anno da Lubiana. Nel mirino della Commissione europea ci sarebbe la gestione di appalti e cantieri delle opere pubbliche. Nei prossimi giorni alcuni rappresentanti del “governo” dell’Unione visiteranno il Paese balcanico, che spera di poter tornare in possesso delle somme promesse.

La settimana scorsa Bruxelles ha accusato tre Stati Ue di avere squilibri economici eccessivi: Italia, Croazia e Slovenia. La prima fu tra i fondatori dell’edificio europeo. Le ultime due ci sono entrate negli ultimi anni. Lo stesso sperano di fare gli altri Paesi ex jugoslavi, anche loro colpiti dalla crisi, in alcuni casi molto più duramente. La speranza è che se e quando si uniranno ai 28 attuali l’austerità sarà finalmente passata di moda.

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Tra gennaio e agosto il numero di multe legate ai pedaggi sloveni è sceso di circa il 15% (foto Chriszwolle, http://bit.ly/1kea6Vb)

Tra gennaio e agosto il numero di multe legate ai pedaggi sloveni è sceso del 15% rispetto allo stesso periodo 2012 (foto Chriszwolle, http://bit.ly/1kea6Vb)

Non sempre le vignette fanno ridere. A volte fanno arrabbiare: è il caso della Slovenia, dove la parola che a noi fa venire in mente i fumetti si riferisce al ticket necessario per viaggiare in autostrada. Da gennaio scattano forti aumenti per le macchine e soprattutto per i mezzi commerciali. Facile immaginare che dietro ci sia la crisi economica, che ha colpito duramente il Paese.

La vignetta può essere settimanale, mensile, semestrale o annua. In quest’ultimo caso gli automobilisti pagheranno 110 euro contro i 95 attuali. La novità più pesante riguarda i veicoli commerciali leggeri: il pedaggio raddoppia passando a 220 euro. Per le macchine non cambiano i costi dei bollini mensili (30) e settimanali (15); per le moto salgono leggermente quelli annuali e semestrali.

Secondo il quotidiano di Lubiana Dnevnik le autostrade slovene si apprestano a diventare le più care d’Europa per camion e simili. I rincari potrebbero spiegarsi anche con lo scarso funzionamento dei controlli elettronici al casello, che devono verificare se sul vetro del mezzo c’è la vignetta (e che non sia scaduta). Chi fa il furbo rischia una multa di 300 euro. A gestire tutto è la società pubblica Dars, che stimerebbe di incassare diverse decine di milioni in più grazie agli aumenti.

Il ticket è richiesto sia a chi vive in Slovenia che a chi arriva dall’estero. Il sistema è entrato in vigore nel 2008, causando proteste dalla Croazia, legate al timore che il pedaggio avrebbe spaventato i turisti. Ora però anche Zagabria starebbe pensando di introdurre le vignette. Cinque anni fa la crisi non c’era. Adesso sì, e anche nei Balcani si sente.

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Il Ponte dei Draghi è uno dei simboli della capitale slovena, Lubiana

Il Ponte dei Draghi è uno dei simboli della capitale slovena Lubiana

E’ fatto di privatizzazioni e di una possibile richiesta di aiuti internazionali l’orizzonte della Slovenia. Da mesi si parla del fatto che Lubiana potrebbe dover chiedere il sostegno della troika Bce-Unione europea-Fondo monetario. Uno scenario che col passare delle settimane sembra diventare più concreto: alcuni giorni fa il governatore della banca centrale del Paese lo ha definito “probabile”, se la politica non approverà le misure necessarie per evitarlo.

La parola magica in questo senso sembra essere una: dismissioni. In vendita grossi calibri come la compagnia aerea di bandiera, la Telecom slovena e la seconda banca nazionale. Il piano di privatizzazioni dovrebbe essere pronto entro fine novembre. Al governo c’è Alenka Bratusek, prima donna della storia a guidare il Paese. Da quando è diventata primo ministro – lo scorso marzo – ha imposto l’aumento Iva dal 20 al 22% e promosso la creazione di una bad bank, che a partire dalle prossime settimane dovrebbe farsi carico dei mutui concessi dagli istituti di credito e mai rimborsati.

La disoccupazione è intorno al 10%: nel 2009 era sotto il 6%. Il pil è sceso di oltre il 2% nel 2012 e non dovrebbe andare molto meglio alla fine di quest’anno. Nove anni fa Lubiana entrava nell’Unione europea. Nel 2007 adottava la moneta unica. Ora molti dei suoi due milioni di cittadini sembrano soffrire la crisi, a quasi un anno dall’inizio delle proteste di piazza contro corruzione e austerità. Quelle manifestazioni portarono alla caduta del governo. Forse in questi mesi la politica slovena è migliorata. Lo stesso non sembra potersi dire dell’economia.

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Una chiesa a Maribor, seconda città slovena dopo Lubiana (slovenia.info)

La Chiesa dei Francescani a Maribor, seconda città della Slovenia dopo la capitale Lubiana (slovenia.info)

Oggi la Slovenia, domani (forse) lo Ior. L’arcivescovo di Lubiana e quello di Maribor si sono dimessi: dietro il loro gesto, secondo la versione ufficiale, c’è la volontà di Papa Francesco, intervenuto su un grosso scandalo finanziario.

Le prime notizie pesanti su problemi interni alla Chiesa del Paese balcanico emergono nel 2007. La stampa denuncia che un’emittente che fa capo alla Conferenza episcopale trasmette film porno. Le scoperte più clamorose, però, sono di tipo economico: due anni fa si è saputo che la diocesi di Maribor (non lontano dal confine austriaco) ha un enorme buco, oggi stimato in 900 milioni. Il crac sarebbe dovuto a investimenti sbagliati, seguiti da debiti fatti per coprirne altri, fino all’esplosione della bolla.

I due ecclesiastici che si sono dimessi ammettono responsabilità, ma sostengono di non essere i principali colpevoli. Quello che finora era arcivescovo di Lubiana prima era attivo a Maribor, dove si occupava dei conti. Già un altro vescovo di Maribor era stato rimosso da Ratzinger, sempre per motivi legati al dissesto finanziario. Il crac ha anche ricadute occupazionali: si parla di 10mila posti a rischio.

I vertici della Chiesa slovena, quindi, lasciano per ragioni economiche, mentre il loro Paese sta affrontando a sua volta una dura crisi. Le ispezioni vaticane su Maribor erano iniziate con Benedetto XVI, e pare difficile dire quanto le dimissioni dei due arcivescovi siano dovute alla volontà di Bergoglio. Gli occhi di molti sono puntati soprattutto su ciò che potrebbe fare allo Ior, altra fonte di scandali finanziari. Qualcuno spera che a Roma si ripeta quanto sembra esser successo a Lubiana. Qualcun altro, probabilmente, lo teme.

FONTI: Espresso, Messaggero, Famiglia Cristiana

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