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Ivica Dacic visita la salma di Milosevic. Oggi è il primo ministro serbo (pravda.rs)

Ivica Dacic visita la salma di Slobodan Milosevic. Oggi è il primo ministro serbo (pravda.rs)

Avanti il prossimo. Da quattro giorni la Croazia fa parte dell’Unione europea, e poche ore prima un altro Paese ex jugoslavo si era avvicinato a Bruxelles: la Serbia dovrebbe iniziare i negoziati di adesione entro la fine del prossimo gennaio. Il Consiglio europeo ha dato l’ok, a un paio di mesi dall’accordo tra le autorità di Belgrado e quelle kosovare che sembra aver aperto una nuova fase dei rapporti tra le due entità.

Al momento la Ue comprende due Stati ex jugoslavi: Slovenia e Croazia. Il terzo a entrare dovrebbe essere appunto la Serbia, a lungo frenata proprio dai contrasti col Kosovo. L’intesa di aprile è un compromesso tra la sua indipendenza auto-dichiarata e la volontà di Belgrado di mantenere influenza nella regione. Un test importante ci sarà a novembre, con le elezioni amministrative kosovare. Nel 2009 i serbi che vivono nella ex provincia ribelle le avevano boicottate, e minacciano di farlo di nuovo, perché l’accordo di due mesi fa a loro sembra non piacere proprio.

Dopo il patto Belgrado-Pristina si è addirittura parlato di possibile Nobel per la pace per i loro rappresentanti a Bruxelles: il primo ministro serbo Dacic e quello kosovaro Thaci. L’ipotesi fa un certo effetto, perché negli anni ’90 il primo era portavoce del partito di Milosevic, e il secondo militava nell’Esercito di liberazione del Kosovo. Se davvero fossero premiati, il riconoscimento potrebbe essere un simbolo dei nuovi Balcani: chi ha fatto la guerra ora costruisce la pace. L’aspetto più importante dell’ingresso dei Paesi ex jugoslavi nella Ue è proprio la stabilizzazione dei Balcani occidentali. Che hanno ancora molti problemi, ma da anni li affrontano pacificamente.

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Una veduta di Travnik, la città bosniaca che ha dato i natali allo scrittore Ivo Andric

Ivo Andric scrisse La cronaca di Travnik tra gli anni ’20 e il 1942, tra lunghe meditazioni e approfondite ricerche. Nel 1945 vide pubblicata la sua opera, tradotta in italiano nel 1961, l’anno in cui vinse il Nobel. Il libro racconta la storia del console francese Jean Daville: inviato in Bosnia da Napoleone, si trova immerso in una miscela di culture diverse tra di loro e diverse dalla sua, e riflette su se stesso e su ciò che lo circonda. Anziché darvi altre informazioni sul romanzo, vogliamo offrirvene un assaggio: il passo che segue è un piccolo saggio della bravura di Andric, del suo straordinario talento letterario nel descrivere l’animo umano.

Finché l’uomo vive nel suo ambiente e in condizioni normali, gli elementi del curriculum vitae rappresentano per lui periodi importanti e svolte significative della sua vita. Ma appena il caso o il lavoro o le malattie lo separano dagli altri e lo isolano, questi elementi di colpo cominciano a scolorirsi, si inaridiscono e si decompongono con incredibile rapidità, come una maschera di cartone o di lacca senza vita, usata una volta sola. Sotto questa maschera comincia a intravedersi un’altra vita, conosciuta solo a noi, ossia la “vera” storia del nostro spirito e del nostro corpo, che non è scritta da nessuna parte, di cui nessuno suppone l’esistenza, una storia che ha molto poco a che fare con i nostri successi in società, ma che è, per noi, per la nostra felicità o infelicità, l’unica valida e la sola davvero importante.

Andric davanti al ponte sulla Drina, che ha dato il nome al suo romanzo più famoso

Sperduto in quel luogo selvaggio, durante le lunghe notti, quando tutti i rumori erano cessati, Daville pensava alla sua vita passata come a una lunga serie di progetti audaci e di scoraggiamenti noti a lui solo, di lotte, di atti eroici, di fortune, di successi e di crolli, di disgrazie, di contraddizioni, di sacrifici inutili e di vani compromessi. Nelle tenebre e nel silenzio di quella città che ancora non aveva visto ma in cui lo attendevano, senza dubbio, preoccupazioni o difficoltà, sembrava che nulla al mondo si potesse risolvere né conciliare. In certi momenti gli pareva che per vivere fossero necessari sforzi enormi e per ogni sforzo una sproporzionata dose di coraggio. E, visto nel buio di quelle notti, ogni sforzo gli sembrava infinito. Per non fermarsi e rinunciare, l’uomo inganna se stesso, sostituendo gli obiettivi che non è riuscito a raggiungere con altri, che ugualmente non raggiungerà; ma le nuove imprese e i nuovi tentativi lo obbligheranno a cercare dentro di sé altre energie e maggiore coraggio. Così l’uomo si autoinganna e col passare del tempo diviene sempre più e senza speranza debitore verso se stesso e verso tutto quello che lo circonda.

Leggi anche: I Balcani di Ivo Andric: un ponte tra le diversità

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Mileva Maric, serba, e Albert Einstein, tedesco. La loro unione durò 16 anni

Dietro un grande uomo, si dice, c’è sempre una grande donna. Albert Einstein non fa eccezione. La prima moglie del genio tedesco, Mileva Maric, era una scienziata nata a Titel, nel nord della Serbia. C’è chi sostiene che con i suoi studi abbia addirittura contribuito alla teoria della relatività, elaborata durante il loro matrimonio. Di sicuro è stata una delle intellettuali balcaniche più brillanti. Eppure le sue spoglie oggi riposano in Svizzera. E i discendenti si mobilitano per farle tornare in patria.

Einstein e la Maric si conoscono a Zurigo nel 1898. Entrambi studiano al Politecnico: la futura consorte di Albert è l’unica ragazza che è riuscita ad entrarci. I due si innamorano e nel 1902 hanno una figlia, Lieserl, che però svanisce misteriosamente dalla loro vita: per alcuni la bimba muore di scarlattina, per altri viene data in adozione per volere dei genitori di lui, contrari al legame con una donna non ebrea. Un anno dopo il padre di Einstein muore e la coppia può sposarsi. Avrà due figli, Hans Albert nel 1904 e Eduard nel 1910. Il matrimonio, però, non è destinato a durare.

Maya Sansa e Vincenzo Amato interpretano Mileva e Albert nel film di Liliana Cavani "Einstein" (2007)

Nel 1914 Einstein diviene direttore dell’Istituto di fisica Kaiser Wilhelm a Berlino. Mileva si rifiuta di seguirlo in Germania. Da due anni Albert ha perso la testa per la cugina Elsa, una donna frivola, famosa per la sua vanità: a un pranzo mondano, pur di non mettersi gli occhiali mangia una decorazione floreale credendola insalata. Nel 1919 Einstein e la Maric divorziano. Nello stesso anno, Albert sposa Elsa. Mileva Einstein torna ad essere Mileva Maric, depressa e con due figli a carico. L’ultimo contatto tra i due avviene nel 1921, quando lo scienziato le dona il ricavato del Nobel per la Fisica. Poi più nulla. Mileva morirà a Zurigo nel 1948.

Oggi Dragisa Maric chiede alle autorità serbe di riportare nei Balcani la salma della sua antenata. Il luogo della sepoltura, ignoto per decenni, è stato scoperto nel 2004 grazie all’impegno di un pittore: Petar Stojanovic, fondatore del Centro memoriale intitolato a Nikola Tesla. Ironia della sorte, il grande fisico serbo era amico proprio della Maric: fu lui a presentarla al suo collega Einstein. Non poteva sapere che in suo nome, oltre un secolo dopo, qualcuno si sarebbe ricordato di lei.

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Il ponte sulla Drina oggi. E' stato costruito nel '500

“L’esistenza nella cittadina si faceva sempre più vivace, sembrava sempre più ricca e ordinata e assumeva un passo uniforme e un equilibrio fino ad allora sconosciuto, quell’equilibrio cui ovunque e da sempre tende ogni cosa ma che viene raggiunto solo raramente, parzialmente e per poco tempo”.

“Il ponte sulla Drina” è l’opera più famosa di Ivo Andric, premio Nobel per la letteratura nel 1961. Lo scrittore racconta la storia della cittadina bosniaca di Visegrad, divisa in due dal fiume Drina e unita dal ponte che collega le due sponde. Questo essere frammentata e congiunta insieme è la caratteristica fondamentale della città, così come dell’intera ex Jugoslavia. I bosniaci in particolare sono la popolazione balcanica più eterogenea, anche dopo una guerra che ha sterminato intere famiglie o le ha costrette a fuggire all’estero solo perché appartenevano all’etnia “sbagliata”.

La statua di Andric a Belgrado

Il ponte sulla Drina è il filo conduttore della narrazione, che ci trasporta attraverso secoli di storia jugoslava. Sul ponte si intrecciano i commerci tra Oriente e Occidente, ai suoi piedi si fermano i viaggiatori che riposano nella locanda. Dal ponte partono le storie dei tanti personaggi del libro: mille vicende particolari che si intrecciano a comporre una trama universale, quella delle genti balcaniche, in continuo mutamento e contaminazione con altri popoli. Andric descrive benissimo questo incontro tra culture: uno scambio costante che è al tempo stesso ricchezza e condanna, fonte di crescita e di conflitto. Uno scambio che non si interrompe mai, neanche quando degenera e si trasforma in scontro violento.

“Il ponte sulla Drina” è uno splendido romanzo storico. Le vicende di Visegrad, piccolo centro al confine tra Bosnia e Serbia, sono narrate con leggerezza e profondità. L’umanità dei personaggi fa appassionare al racconto, vero affresco collettivo tracciato con mano sapiente da Andric. La sua penna ci conduce al cuore dell’ex Jugoslavia, avvicinandoci all’essenza dei popoli che la abitano.


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