Dai 10 ai 25 anni. Oscillano in questa fascia le condanne del tribunale Onu sull’ex Jugoslavia a sei esponenti della comunità croata di Herceg-Bosna. Secondo i giudici hanno avuto un ruolo nel tentativo di costruire una Grande Croazia che annettesse parte della Bosnia: tentativo condotto attraverso uccisioni, deportazioni, violenze sessuali. Uno dei sei è stato ritenuto il principale responsabile dell’abbattimento del ponte di Mostar, distrutto il 9 novembre 1993.
Il verdetto dell’Aja individua anche il mandante delle barbarie che dovevano servire all’espansione croata: l’allora presidente Tudjman, morto nel 1999. Sono invece ancora vivi i sei esponenti dell’auto-proclamata repubblica croata di Herceg-Bosna, dissolta nel ’94. In tutto la corte ha inflitto 111 anni di carcere, ma in appello le cose potrebbero cambiare, come è successo con l’assoluzione dei generali croati Gotovina e Markac. L’uomo che guidò i bombardamenti sul ponte di Mostar è Slobodan Praljak, oggi 68enne, ai tempi comandante dei soldati che lo buttarono giù.
A inizio luglio la Croazia entrerà nell’Unione europea, e certo questa sentenza non è un buon biglietto da visita. Il prossimo Stato ex-jugoslavo che riuscirà a farsi dire sì da Bruxelles potrebbe essere la Serbia, ancor più al centro dell’attenzione dei magistrati internazionali per le violenze della guerra. Molto più difficile il cammino europeo della Bosnia, che in quegli anni – ora si può dirlo con più forza – rimase schiacciata in mezzo alle volontà espansionistiche di Belgrado e Zagabria.
FONTI: East Journal, LaPresse, Repubblica