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Posts Tagged ‘processo’

Thom Karremans, il comandante che guidava le truppe olandesi a Srebrenica (bilitimatlasi.com)

Thom Karremans, il comandante che guidava le truppe olandesi a Srebrenica, nel ’95 (bilitimatlasi.com)

Nel luglio 1995 a Srebrenica (Bosnia) morivano migliaia di musulmani, uccisi dai soldati serbi e non protetti dalle forze Onu. Alla guida dei caschi blu dei Paesi Bassi che dovevano difendere le vittime c’era il comandante Thom Karremans. Quasi 18 anni dopo, la magistratura della sua madrepatria ha confermato di non voler processare lui, né il suo vice Rob Franken, né l’ufficiale responsabile delle risorse umane del contingente, Berend Oosterveen.

Secondo la Procura di Stato i tre non possono essere considerati responsabili penalmente per non aver evitato la strage. Già nel ‘98 i pubblici ministeri dei Paesi Bassi decisero di non denunciare le proprie truppe. L’avvocato delle famiglie delle vittime dice di voler portare il caso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, a Strasburgo. Lo scorso luglio il segretario Onu Ban Ki-moon ha ammesso – e ci mancherebbe – che la comunità internazionale non riuscì a proteggere adeguatamente le persone che furono uccise. A ottobre le vedove degli uomini che morirono hanno fatto causa alle Nazioni Unite e ai Paesi Bassi proprio davanti alla Corte europea.

Nel suo libro Le guerre jugoslave, lo storico Jože Pirjevec ricorda che durante l’avanzata dei serbi su Srebrenica, Karremans chiese più volte l’intervento aereo della Nato, ma “il meccanismo che regolava le comunicazioni nell’ambito dell’apparato burocratico delle Nazioni Unite era talmente inceppato, da impedire ai loro rappresentanti più qualificati di rendersi conto appieno della gravità di quel che stava accadendo”. Quando finalmente i raid aerei iniziarono, il generale serbo Mladić minacciò ritorsioni contro i militari dei Paesi Bassi, e il loro ministro della Difesa intervenne – con successo – per fermare i bombardamenti appena cominciati.

Alla fine i soldati serbi entrarono in città, dopo che Mladić aveva assicurato a Karremans che donne, anziani e bambini sarebbero stati evacuati. Fu così che il massacrò poté iniziare. Un militare dei Paesi Bassi raccontò: “La stagione di caccia è al culmine… presi a bersaglio non sono solo gli uomini al servizio del governo bosniaco… ma anche donne, pure quelle incinte, bambini e vecchi… Su alcuni si spara o li si ferisce, ad altri vengono tagliate le orecchie e alcune donne sono state stuprate”. Difficile scrivere altro.

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Nella città bosniaca di Srebrenica, vicino al confine serbo, vennero uccisi 8mila musulmani (h3nr1.splinder.com)

Oggi Ratko Mladic è arrivato a L’Aja. L’ex capo di stato maggiore dell’esercito della Repubblica serba di Bosnia verrà giudicato dallo stesso tribunale che sta processando Radovan Karadzic, suo sodale nel massacro di migliaia di innocenti durante la guerra degli anni ’90. Il modo migliore per celebrare l’arresto e il rinvio a giudizio di Mladic ci sembra ricordare ciò che successe nel luglio 1995 a Srebrenica, la più orrenda strage di cui si sono macchiati i due criminali alla sbarra in Olanda. Per farlo ci serviamo di un brano tratto da “Le guerre jugoslave” dello storico Joze Pirjevec, che riportiamo qua sotto leggermente riadattato nella forma, ma identico nella sostanza.

Srebrenica, 12 luglio 1995. Le truppe serbe entrano a Potocari, un villaggio a sei chilometri da Srebrenica, dove le truppe dell’Onu hanno il loro quartier generale. Il comandante dei caschi blu ha ottenuto da Mladic l’assicurazione che donne, vecchi e bambini saranno evacuati nel territorio sotto il controllo dei musulmani. Nel primo pomeriggio arrivano a Potocari 40-50 veicoli, tra furgoni, camion e jeep, su cui viene caricato un primo contingente di persone. Mladic si fa vedere sulla scena dai giornalisti, che osservano i soldati serbi mentre distribuiscono acqua e pane agli sfollati e gettano dolci ai bambini. “Non abbiate paura – dice Mladic davanti alle telecamere. – State calmi, calmi. Lasciate che donne e bambini vadano per primi. Verranno tanti autobus. Non abbandonatevi al panico. State attenti che nessuno dei bambini si perda. Non abbiate paura. Nessuno vi farà del male”.

Ratko Mladic dopo l'arresto, avvenuto il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza (ilmessaggero.it)

Intanto a New York il Consiglio di sicurezza dell’Onu adotta all’unanimità una risoluzione per chiedere “l’immediata cessazione dell’offensiva dei serbi bosniaci e il loro ritiro dalla zona di protezione di Srebrenica”. Una pronuncia formale, che non avrà alcun effetto. Sul calar della notte, i serbi raccolgono a Potocari gli uomini che sono riusciti a rastrellare in un edificio di fronte all’accampamento dell’Onu, noto come “casa bianca”. Alcuni di loro vengono uccisi sul posto, mentre la maggioranza viene trasportata a Bratunac, dove viene sottoposta a sevizie, prima di essere trucidata. Il 13 luglio inizia la grande mattanza in un’atmosfera di esaltazione collettiva, come sarà testimoniato dagli appartenenti a un convoglio dell’Agenzia Onu per i rifugiati, che vedono i serbi bosniaci, molti dei quali ubriachi, festeggiare nelle strade. Nei quattro giorni successivi le uccisioni di massa continuano senza tregua, con ogni tipo di arma, anche con granate.

Boutros Boutros-Ghali, segretario generale Onu dal 1992 al 1996. La comunità internazionale non impedì la strage di Srebrenica (agenziastampaitalia.it)

Per quanto già il 13 luglio le notizie che qualcosa di terribile sta accadendo a Bratunac comincino a raggiungere i vertici delle Nazioni Unite, Jasushi Akashi – rappresentante speciale del segretario Boutros-Ghali – chiede che non vengano rese pubbliche, per non mettere in pericolo gli osservatori militari dell’Onu ancora a Srebrenica. Solo il 16 e il 17 luglio, quando i giornalisti intervistano i primi fuggiaschi all’aeroporto di Tuzla e i caschi blu rimpatriati attraverso Zagabria, cominciano a trapelare le prime informazioni sul massacro. Uno degli uomini dell’Onu racconterà: “La stagione di caccia è al culmine… presi al bersaglio non sono solo gli uomini al servizio del governo bosniaco… ma anche donne, pure quelle incinte, bambini e vecchi… su alcuni si spara o li si ferisce, ad altri vengono tagliate le orecchie e alcune donne sono state stuprate”.

Il 16 luglio sul tardi e nelle prime ore del 17 luglio una colonna di uomini e ragazzi fuggiti attraverso i boschi raggiunge dopo sei giorni di marcia il territorio controllato dal governo di Sarajevo. Di 15mila, quanti erano partiti, ne sono rimasti vivi tra i 4500 e i 6000.

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Nel 1995 a Srebrenica morirono 8 mila musulmani: "genocidio" per il Tribunale per l'ex Jugoslavia

“La strage di Srebrenica è un’invenzione, un mito”. Radovan Karadzic, il massacratore dei Balcani, parla di fronte al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia de L’Aja. Arrestato nel luglio 2008, l’ex leader dei serbi di Bosnia ha boicottato a lungo il processo, ma ora ha deciso di affrontare le tremende accuse che gli sono rivolte: genocidio e crimini contro l’umanità. A Srebrenica, nel luglio 1995, vennero uccise circa 8 mila persone. Un numero “esagerato” per Karadzic, che parla di “menzogne” diffuse sull’eccidio dei musulmani.

L’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia si presenta davanti ai giudici da solo, come avvocato di se stesso. “La nostra fu una guerra giusta e santa: abbiamo difeso la grandiosità di una piccola nazione oppressa per 500 anni”. Secondo Karadzic, i suoi uomini avrebbero agito per impedire la creazione di uno Stato teocratico. “Lottavamo contro i fondamentalisti, che volevano trasformare il Paese in una Repubblica islamica”.

Karadzic è accusato per la strage di Srebrenica: la giustizia internazionale ha invece assolto lo Stato serbo

Nessuna ammissione di colpa, neanche parziale, per la carneficina che fu perpetrata insieme a Ratko Mladic, allora capo militare dei serbi bosniaci (tuttora latitante e ricercato dal tribunale olandese). Durante l’arringa difensiva, Karadzic ha calcato la mano anche su un’altra delle sue teorie: quella secondo cui Richard Holbrooke, vicesegretario di Stato Usa e mediatore tra le parti durante la guerra, gli promise l’immunità se si fosse ritirato dalla vita pubblica. Un “patto con il diavolo” che, anche se realmente avvenuto, non ridurrebbe di un millimetro l’enormità dei crimini in discussione.

Oggi La Stampa definisce l’ex leader dei serbi di Bosnia “il presunto boia di Srebrenica”. Un eccesso di garantismo (nessuno è colpevole fino alla fine del processo) che offende, oltre alla verità, anche e soprattutto i familiari delle vittime del massacro. Se c’è un’occasione buona per non perdersi nei “se” e nei “ma”, per non abusare dei condizionali di cui sono pieni i giornali, è proprio questa. Radovan Karadzic è sotto accusa per lo sterminio di circa 8 mila persone. L’arroganza con cui nega le atrocità commesse ci rende ancora più convinti che sia necessario scriverlo chiaro.

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Anton K. e Murat A., a processo da novembre, si dichiarano vittime di un caso di omofobia

L’amore non ha segreti. A meno che tu non sia una spia omosessuale. Anton K., 42 anni, tedesco, e Murat A., 29 anni, macedone di etnia albanese, sono sotto processo a Monaco di Baviera. L’accusa? Aver passato informazioni riservate al crimine organizzato balcanico o a servizi di intelligence di altri Paesi. I due imputati, però, sostengono di essere perseguiti solo in quanto gay.

Anton, ex ufficiale dell’esercito, arriva a Pristina nel 2005. Ufficialmente è nella capitale del Kosovo come diplomatico del ministero degli Esteri, in realtà deve investigare sui legami tra criminalità e istituzioni del luogo. Dopo poco conosce Murat, che parla un tedesco perfetto ed è ben inserito in città. Lo ingaggia come suo interprete. I due vanno a vivere insieme e in breve tempo si innamorano. Nel 2007 Anton cambia il beneficiario della sua polizza d’assicurazione sulla vita: sostituisce la moglie, rimasta in patria, con il suo innamorato. Un errore che gli costerà caro.

Il logo dei servizi segreti tedeschi. Negli anni ’90 indagarono sui fondi provenienti dalla Germania e destinati all’Esercito di liberazione del Kosovo

Appena la consorte riceve la notizia dalla compagnia assicurativa, si precipita a chiedere spiegazioni negli uffici dell’intelligence tedesca. Che non ne sa nulla. Anton viene denunciato alla magistratura ed arrestato assieme a Murat nel marzo 2008. L’agente avrebbe passato notizie confidenziali all’amante, che a sua volta le avrebbe divulgate ad altri 007 o alla delinquenza locale. Tutto falso per gli accusati, che affermano di essere vittime di un caso di omofobia.

Non è la prima volta che Murat finisce in tribunale: sulle sue spalle pende una condanna per lesioni personali e sequestro di persona nei confronti della compagna. Sì, perché anche l’interprete, come Anton, aveva una relazione eterosessuale. I due innamorati ammettono di aver sbagliato a non avvisare i superiori del loro rapporto. Se avessero avvertito anche i rispettivi partner, adesso non rischierebbero 10 anni di carcere.

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