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La Bosnia allagata vista da un elicottero di aiuti sloveni (foto European Commission DG ECHO, http://bit.ly/RaejCi)

La Bosnia allagata vista da un elicottero di aiuti (foto European Commission DG ECHO, http://bit.ly/RaejCi)

“Vedere gente che abbandona in fretta le case mi ha ricordato la guerra”. Una frase come questa può spiegare la portata delle alluvioni in ex-Jugoslavia. L’ha detta a Radio Popolare Azra Ibrahimovic, che lavora per il gruppo solidale Cesvi a Srebrenica. Gli effetti delle piogge torrenziali dei giorni scorsi sono stati davvero drammatici, con decine di morti e migliaia di sfollati.

La catastrofe ambientale che ha colpito soprattutto Bosnia e Serbia sarebbe la peggiore degli ultimi 120 anni. Una delle ultime cifre diffuse parla di 50 vittime, di cui almeno una in Croazia, ma è possibile che il numero salga con il ritirarsi delle acque, che potrebbe portare alla luce altri corpi senza vita. In Bosnia si teme per le conseguenze sui campi minati ancora presenti: da una parte la rimozione dei cartelli che segnalano il pericolo, dall’altra lo spostamento di ordigni che rischiano di arrivare non solo in Serbia, ma addirittura fino al Mar Nero.

Nelle scorse ore il ministro degli Esteri di Sarajevo parlava di un milione di persone senza acqua potabile: oltre un quarto della popolazione. In Serbia paura anche per alcune tra le maggiori centrali elettriche, minacciate dall’inondazione. Repubblica ha parlato di “diluvio che unisce i popoli nemici”, per raccontare la solidarietà tra cittadini di etnie diverse dopo i massacri degli anni ’90. Per chi vuole dare una mano, segnaliamo la pagina apposita di Osservatorio Balcani:

http://www.balcanicaucaso.org/news-balcani/Inondazioni-in-Bosnia-Erzegovina-Serbia-e-Croazia-come-aiutare-152066

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L'assemblea cittadina di Sarajevo (foto #plenumsa, http://bit.ly/1o0kLtT)

L’assemblea cittadina di Sarajevo (foto #plenumsa, http://bit.ly/1o0kLtT)

Le dimissioni di un ministro e di diversi premier cantonali. Sono questi i risultati più visibili della protesta in Bosnia, che dura da quasi tre mesi. Ad aver lasciato il governo è stato il responsabile della Sicurezza, accusato di aver gestito male le violenze di piazza del 7 febbraio. Presto potrebbe dover lasciare il suo posto anche il capo dei servizi di sicurezza.

Le manifestazioni di queste settimane hanno vissuto diverse fasi. La prima, quella dell’esplosione, è durata pochi giorni. Tutto è cominciato a Tuzla, dai cortei degli operai senza lavoro, e si è esteso a molte altre città del Paese. Ci sono state anche violenze: i media internazionali sono rimasti colpiti soprattutto da quelle di Sarajevo, dove è stata attaccata la presidenza ed è stato incendiato un archivio storico. Poi gli scontri sono cessati, ma non la contestazione.

ASCOLTA LO SPECIALE DI RADIO POPOLARE SULLE PROTESTE IN BOSNIA

Le proteste di chi chiede più occupazione e una politica migliore non sono continuate solo nelle piazze, dove tra l’altro il numero dei partecipanti è calato col passare delle settimane. Ai cortei si sono affiancati i plenum, assemblee di cittadini che discutono i loro problemi e fanno proposte alle istituzioni. Alcune sono già state realizzate, molte altre restano da mettere in pratica.

La domanda di fondo è ancora senza risposta: i politici bosniaci cambieranno davvero il loro modo di gestire la cosa pubblica? A ottobre ci saranno le elezioni politiche. I prossimi mesi di campagna elettorale dovrebbero spingere i candidati a modificare realmente il loro atteggiamento. Le questioni centrali sono molto serie: la disoccupazione, sopra il 40%, la corruzione e le privatizzazioni post-Jugoslavia, duramente contestate dai manifestanti.

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Hasan Muratovic è stato primo ministro bosniaco e rettore dell’università di Sarajevo (italiaglobale.it)

Hasan Muratovic è stato il primo capo di governo bosniaco dopo la guerra degli anni ’90. Durante il conflitto era stato ministro degli Interni; tra ’96 e ’97 è stato primo ministro, poi è stato per due anni  vicepresidente del Consiglio d’Europa e per quattro ambasciatore in Croazia. Tra 2004 e 2006 è stato rettore dell’Università di Sarajevo, dove insegna tuttora alla facoltà di Economia. Qualche giorno fa era in Italia per una conferenza organizzata dall’organizzazione umanitaria Intersos. Quella che segue è la trascrizione dell’intervista che gli ho fatto per la trasmissione “Esteri” di Radio Popolare, andata in onda ieri, 29 ottobre.

Tra i temi della conferenza a cui ha partecipato in Italia c’era la prevenzione delle guerre. Quella in Bosnia poteva essere evitata?

Sì, nello stesso modo in cui fermata: con gli attacchi della Nato contro la Serbia, contro le sue infrastrutture, contro il suo esercito. Questo però fu fatto solo dopo 40 mesi di guerra. Il conflitto avrebbe potuto essere fermato subito, ma invece della Nato arrivarono le forze Onu, che si proclamarono neutrali e portarono una pace che non esisteva.

Lei partecipò alla preparazione dei negoziati di Dayton, che posero fine alla guerra. A distanza di 17 anni, come giudica l’accordo che uscì da quei negoziati?

Avrebbe dovuto essere migliore. La parte che riguardava lo stop alle armi funzionò rapidamente ed ebbe molto successo. La parte “civile”, dai diritti umani alla ricostruzione della Bosnia, non ha funzionato bene. Ancora oggi abbiamo problemi nell’applicarla. La struttura del nostro Stato non ha mai iniziato a funzionare. In questi anni si è sviluppata, ma non può funzionare sotto una Costituzione che è stata scritta a Dayton e non è mai stata accettata in parlamento.

Al momento qual è la situazione politica del Paese?

Probabilmente la peggiore dai tempi di Dayton. Abbiamo avuto le elezioni due anni fa. Ci sono voluti 17 mesi per formare il governo, e pochi giorni fa è caduto di nuovo. Anche a livello locale ci sono problemi, dovuti alla Costituzione e alla composizione dei governi locali. Il 13 ottobre ci sono state le amministrative: la maggior parte dei cantoni non è andata alle urne, perché i partiti si sono rifiutati di votare con la legge attuale.

A che punto è il processo di adesione della Bosnia all’Unione europea?

Si è praticato fermato 4 anni fa, a causa dei problemi tra i partiti. Ci stiamo muovendo molto, molto lentamente verso Bruxelles. Eppure il solo modo di risolvere i nostri problemi è entrare nell’Unione. Finchè siamo fuori, non vedo speranze né per la nostra politica, né per l’economia, né per la società. Bruxelles dovrebbe essere più comprensiva con noi, come ha fatto – per esempio – con Bulgaria e Romania. Siamo un Paese molto piccolo, come economia e non solo. Se l’Unione mostra più comprensione, possiamo integrarci velocemente.

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