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La prefazione del libro è del giornalista de "La Repubblica" Paolo Rumiz

L’hanno chiamata guerra etnica. Guerra religiosa. Guerra fratricida. Ma nessuno ha mai parlato di “guerra psichiatrica” per riferirsi al conflitto balcanico degli anni ’90. Lo fanno Angelo Lallo, collaboratore del Centro studi e ricerche sulla salute mentale di Merano, e Lorenzo Toresini, direttore dello stesso Centro studi: Il tunnel di Sarajevo (Ediciclo Editore, 2004) raccoglie i loro scritti e quelli di altri studiosi, per spiegare le violenze avvenute oltre Adriatico in una chiave molto particolare.

Perché parlare di guerra psichiatrica? In primo luogo perché molti protagonisti dei massacri erano psichiatri: uno su tutti, Radovan Karadzic, il boia di Srebrenica, attualmente sotto processo a L’Aja per genocidio e crimini contro l’umanità. In secondo luogo perché la guerra dei Balcani aveva il primo scopo, in parte raggiunto, di dividere ciò che era stato unito fino ad allora: persone di religione diversa, o appartenenti ad “etnie” (o presunte tali) diverse, che avevano sempre convissuto pacificamente. E per farlo, lo strumento principe era la pulizia etnica, lo sterminio del “diverso”, spesso giustificato dai paradigmi della peggiore psichiatria sociale. E dire che – scrive Toresini – “la psichiatria vede nel suo DNA primigenio i principi di tolleranza, disponibilità e apertura nei confronti di chi, diverso, non meritava più la punizione della sofferenza nelle segrete”: ma la psichiatria, come ogni strumento, può diventare mortale se ne se fa un uso distorto e volto a seminare odio.

Lo psichiatra e massacratore Radovan Karadzic: a sinistra, dopo la cattura nel 2008, a destra, con la moglie nel 1994

Il libro contiene i contributi di persone che hanno lavorato nel cuore di Sarajevo assediata (Mevlida Serdarevic, direttore del Museo ebraico; Ajnija Omanic, direttore della facoltà di Medicina), di professionisti che hanno lavorato nella stessa clinica di Karadzic prima della guerra (Slobodan Loga e Ismet Ceric) e altri ancora: tutto per dimostrare come l’ottica psichiatrica sia quella giusta per valutare il conflitto dei Balcani. Non ci sentiamo di sposare in toto questa tesi, ma una cosa è certa: qualunque interpretazione si allontani da quelle, superficiali e fuorvianti, che vedono nella guerra degli anni ’90 esclusivamente una guerra di religione, o peggio ancora una guerra etnica, contribuisce ad arricchire la riflessione su un dramma le cui vere ragioni sono ancora tutte da chiarire.

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