Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘slovenia’

Migranti in cammino in Macedonia (foto International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, http://bit.ly/R7HqWA)

Migranti in cammino in Macedonia verso la Serbia (foto International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, http://bit.ly/R7HqWA)

Migliaia in cammino ogni giorno nell’ex Jugoslavia per raggiungere l’Europa del centro e del nord. L’odissea dei migranti va avanti anche d’inverno, con numeri minori rispetto a qualche mese fa ma con in più i rischi legati alla stagione. Nei giorni scorsi dalla Turchia è arrivata notizia di un bambino siriano morto di freddo. Il timore è che tragedie simili si ripetano lì e altrove.

I muri disseminati lungo il percorso dei profughi non riescono a fermarli. Pensiamo al blocco tra Grecia e Macedonia, al filo spinato tra Serbia e Ungheria, a quello tra Croazia e Slovenia. Il flusso che da quest’ultimo paese va verso l’Italia sembra preoccupare il nostro governo: in questi giorni si è parlato di un ripristino dei controlli al confine, come quelli annunciati in Svezia e Danimarca. Il ministro dell’interno Alfano ha smentito, ma ha ammesso che nelle ultime settimane sono state rafforzate le verifiche anti-terrorismo lungo la cosiddetta rotta balcanica.

Mentre gli accordi di Schengen sulla libera circolazione traballano sempre di più, chi scappa da guerre, persecuzioni e fame continua a cercare una vita migliore. Il fatto che il flusso sia ridotto rispetto all’estate può spingere i media a parlarne meno. Per non dimenticare può essere utile guardare due brevi video che circolano in queste ore. Entrambi arriverebbero dalla Serbia. Uno mostra persone in cammino nonostante il clima difficile, coperte da mantelline colorate. L’altro sarebbe stato girato in un campo profughi e riprende uno scambio di palle di neve tra alcuni bambini e un poliziotto.

Read Full Post »

Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Sergio Mattarella e il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Nei primi quattro mesi al Quirinale Sergio Mattarella è stato in visita ufficiale in dieci paesi esteri. Quattro di questi facevano parte della Jugoslavia. Colpisce l’attenzione del presidente per quella regione, così come l’ordine con cui si è presentato nelle capitali balcaniche. Circa un mese fa ha cominciato dalla Slovenia, primo stato che era governato da Tito a entrare nell’Unione europea. Il giorno dopo è andato in Croazia, che ha seguito la stessa strada ed è stata l’ultima new entry a Bruxelles.

La prossima in lista è la Serbia, in cui l’ex ministro è stato ieri prima di spostarsi in Montenegro, altro candidato all’integrazione. Da Lubiana e Zagabria erano arrivate in Italia soprattutto dichiarazioni di Mattarella sull’immigrazione: erano passati pochi giorni dall’ennesimo naufragio e si era in pieno dibattito sulla necessaria risposta europea. In questi giorni, invece, i titoli sono dedicati al cammino di Belgrado e Podgorica verso l’Unione. Il presidente chiede un’accelerazione proprio mentre l’allargamento sta frenando, nel contesto delle tensioni con la Russia.

La crisi ucraina era nata con la scelta delle autorità di Kiev di congelare l’avvicinamento a Bruxelles, che aveva causato proteste di piazza. Il paese si è trovato in mezzo a due contendenti, due aree di influenza che sembrano aver giocato un ruolo importante nel conflitto. Se a questo si sommano la crisi economica europea e il tira e molla tra i sostenitori del rigore e quelli della spesa pubblica si capisce perché la Ue ha rallentato il percorso che porta a far entrare altri stati. L’ultima conferma al vertice di Riga, che non ha fatto segnare progressi per le ex nazioni sovietiche.

È vero che Moldova, Georgia e Ucraina non sono ancora candidati all’adesione, mentre lo sono Serbia, Montenegro, Macedonia, Albania, Islanda e Turchia. Un passo più indietro (ma più avanti dei paesi che appartenevano all’Urss) ci sono Bosnia e Kosovo, che “potenzialmente” – secondo la formula di Bruxelles – potrebbero aspirare all’ingresso. Mattarella pare voler ridare vigore alla prospettiva europea dell’ex Jugoslavia, ma difficilmente Belgrado entrerà nell’Unione prima di qualche anno, e per le altre capitali dell’area i tempi sono più lunghi e incerti.

Read Full Post »

Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Il primo ministro sloveno Miro Cerar con il presidente del parlamento europeo (foto Martin Schulz, http://bit.ly/R7HqWA)

Per la prima volta un paese ex-jugoslavo ha legalizzato i matrimoni gay. La Slovenia lo ha fatto circa una settimana fa, scatenando le proteste dei partiti di centrodestra e della chiesa cattolica. La conferenza episcopale di Lubiana ha invitato i preti a darsi da fare per raccogliere le firme necessarie a ottenere un referendum, ma sembra che la maggioranza dei cittadini sia favorevole alle nuove norme.

Il sì del parlamento è arrivato su una proposta di Sinistra unita, formazione di opposizione, appoggiata anche dal gruppo del primo ministro Miro Cerar. Pare che ora le coppie omosessuali potranno anche adottare bambini. Finora altri 12 paesi europei avevano istituito i matrimoni gay: in buona parte si tratta di stati del nord (Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Gran Bretagna, Danimarca). Ora la Slovenia apre una porta nei Balcani, dove l’intolleranza verso le persone non eterosessuali ha fatto notizia anche negli ultimi anni, dalla Serbia al Montenegro.

A Lubiana migliaia di cittadini hanno manifestato contro la svolta approvata dal parlamento. Dal partito di destra Nuova Slovenia, al governo negli scorsi anni, sono arrivate parole gravissime. “Così facendo – ha detto la presidente del comitato cultura – legalizzeremo la poligamia, e poi dovremo permettere anche il matrimonio tra uomini e bestie”. La speranza è che a pensarla così sia una parte molto minoritaria della popolazione.

Read Full Post »

Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto,  http:// bit.ly/1iowB8m)

Il parlamento sloveno (foto Simonetta Di Zanutto, http:// bit.ly/1iowB8m)

Una crescita del pil del 2,4% nel 2014, dell’1,7% nel 2015 e del 2,5% nel 2016. C’è da scommettere che Matteo Renzi pagherebbe per avere delle stime così dalla commissione europea. Questi dati però riguardano la Slovenia. Lubiana è in crisi da anni, nei mesi scorsi si era parlato di possibili aiuti internazionali, insomma: non siamo di fronte alla locomotiva tedesca, o agli Stati Uniti rimessi in piedi dopo il crac del 2008. Come si spiegano allora le previsioni sul paese balcanico?

Iniziamo col dire che quelle europee per quest’anno sono addirittura migliori di quelle del governo sloveno, che parlava di un aumento del prodotto interno lordo del 2%. A trainare la crescita sembrano essere export e investimenti, entrambi in ripresa negli scorsi mesi. Difficile, invece, dire che dietro il trend positivo ci sia la stabilità politica: l’ultimo governo è nato in estate, e quello precedente si era insediato l’anno scorso. Il pil era crollato dell’8% nel 2009, per poi aumentare di poco nei due anni seguenti. Poi ancora segno meno, ed è interessante segnalare che proprio un anno fa la commissione europea stimava che nel 2014 il prodotto sloveno avrebbe perso l’1%.

Stime come queste vanno prese con le molle, quindi, come insegnano anche le vicende italiane (ad aprile il governo ipotizzava per quest’anno una crescita vicino al punto percentuale; alla fine dei conti molto probabilmente sarà negativa). A Lubiana i fattori che potrebbero causare un nuovo peggioramento della situazione non mancano: debito pubblico aumentato negli ultimi anni, sistema bancario in crisi, politiche di austerità che altrove hanno fatto molti danni. Ancora presto, quindi, per parlare di sicura uscita dal tunnel.

Read Full Post »

Violeta Bulc, candidata slovena a far parte della commissione europea (foto Jan Sandred, http://bit.ly/1jpMrk5)

Violeta Bulc, candidata slovena a far parte della commissione europea (foto Jan Sandred, http://bit.ly/1jpMrk5)

L’entrata in funzione della nuova commissione europea potrebbe slittare per colpa della Slovenia. L’ex capo del governo Alenka Bratusek, candidata alla vicepresidenza a Bruxelles, è stata bocciata dal parlamento comunitario. Il Sole 24 Ore scrive che durante l’audizione di fronte ai politici eletti è apparsa impreparata. Ora Lubiana propone Violeta Bulc, vice di Miro Cerar, alla guida dell’esecutivo nazionale da poche settimane. Il neo-presidente della commissione, Jean-Claude Juncker, potrebbe incontrarla nei prossimi giorni.

L’obiettivo sarebbe non rimandare l’inaugurazione del governo di Bruxelles, prevista il 1° novembre. I capigruppo di socialisti e popolari all’europarlamento chiedevano che Bratusek fosse sostituita da Tanja Fajon, già deputata comunitaria. Le autorità slovene hanno deciso di puntare su un altro nome. Attualmente il voto di fiducia per l’esecutivo Juncker è fissato il 22 ottobre. L’audizione di Bulc potrebbe svolgersi il 20. Nelle sue mani finirebbe la delega all’energia, finora detenuta dal tedesco Oettinger.

Bulc ha 50 anni e una storia da imprenditrice. Bratusek ne ha 44, e ha guidato il governo di Lubiana per un anno e mezzo. Per sei era stata a capo di un dipartimento del ministero delle finanze. Insomma, sembra conoscere la politica meglio della sua sostituta. Ora però il tempo stringe: un’altra bocciatura farebbe montare il caso, e va detto che dalle elezioni europee sono passati quattro mesi. Impiegarne di più per far insediare la nuova commissione potrebbe creare diverse polemiche.

Read Full Post »

Novo Mesto, città nell'area più colpita in Slovenia (foto Tony Bowden, http://bit.ly/1o0kLtT)

Novo Mesto, città nell’area più colpita in Slovenia (foto Tony Bowden, http://bit.ly/1o0kLtT)

Almeno due morti in Slovenia e uno in Serbia. In questi giorni gli stati dell’ex Jugoslavia sono stati colpiti di nuovo da inondazioni, dopo quelle che a maggio fecero decine di vittime. Stavolta il numero è decisamente più basso, ma certo per quell’area il 2014 non è un anno fortunato.

In Slovenia la zona più disastrata è quella di Novo Mesto, cittadina vicina al confine croato. Si parla di danni per cinque milioni di euro, che riguardano case, scuole, fabbriche, asili. In Croazia finora sembra che non sia morto nessuno, ma ci sono stati allagamenti e tre affluenti della Sava hanno raggiunto livelli record, toccando picchi mai eguagliati dagli anni ’50. Esercito e volontari hanno lavorato per rafforzare gli argini dei centri abitati vicini a quei corsi d’acqua. C’è ansia anche per la Sava stessa, che segna il confine con la Bosnia. Lungo la frontiera c’è Jasenovac, che ospitò il maggiore campo di concentramento del regime filonazista di Zagabria: il materiale del museo che lo ricorda è stato portato altrove per evitare che si rovinasse.

Poi c’è la Serbia, dove si parla di tre dispersi nell’area orientale di Kladovo, vicina alla Romania. Quattrocento persone sono state evacuate e una donna anziana è morta. In questo caso a preoccupare è il livello del Danubio e dei suoi affluenti. Ieri le autorità di Belgrado hanno dichiarato lo stato di emergenza. Una centrale idroelettrica che alimenta Serbia e Romania ha smesso di funzionare, e l’acqua ha fatto crollare un ponte in un villaggio sul confine. In Montenegro le forti piogge hanno fatto saltare l’elettricità in diversi centri sulla costa adriatica. Molte strade e ferrovie sono state chiuse.

Read Full Post »

Un tratto di autostrada in Croazia (foto vacation2, http://bit.ly/1kuY8rA=

Un tratto di autostrada in Croazia, direzione Spalato (foto vacation2, http://bit.ly/1kuY8rA)

La Croazia vende le autostrade. Per essere precisi, dovrebbe darle in concessione a un privato per un periodo di 30 o 50 anni. I motivi sarebbero le difficoltà dell’economia nazionale e quelle delle società che hanno gestito finora la rete. Il progetto del governo non piace né all’opposizione né ai sindacati, che vogliono un referendum.

Al momento le autostrade croate sono in mano alle aziende Hac e Arz, indebitate per 4 miliardi. Ai loro problemi finanziari si aggiungono quelli del Paese nel suo complesso, in recessione da sei anni. Da qui l’idea di privatizzare una delle infrastrutture più importanti, con un incasso possibile compreso tra i due miliardi e mezzo e i quattro miliardi. Finora hanno espresso interesse tre consorzi, e alla fine a spuntarla potrebbe essere un fondo pensionistico.

Il primo ministro di centrosinistra, Zoran Milanovic, assicura che il processo sarà seguito con la massima attenzione. Il timore è che chi si aggiudicherà la concessione curerà le autostrade peggio di come era stato fatto finora, puntando soprattutto a fare cassa (come è facile che un privato faccia). L’opposizione di centrodestra dice no, e lo stesso fanno i sindacati, che prevedono anche un aumento dei pedaggi. A ottobre dovrebbe essere avviata una raccolta firme per un referendum.

Tra poche settimane partiranno trattative dirette con i potenziali acquirenti. Un’alternativa potrebbe esserci, ed è il sistema delle vignette, in vigore in Slovenia dal 2008. In pratica si paga un ticket che permette di viaggiare una settimana, un mese o un anno, invece di saldare il conto ogni volta che si esce da un casello. L’ipotesi di una loro applicazione in Croazia era circolata alla fine dell’anno scorso.

Read Full Post »

Alenka Bratusek ed Enrico Letta quando guidavano Slovenia e Italia. Pochi mesi fa (foto Bled Strategic Forum)

Alenka Bratusek ed Enrico Letta quando guidavano Slovenia e Italia. Pochi mesi fa (foto Bled Strategic Forum, http://bit.ly/1jpMrk5)

La Slovenia si avvia a essere guidata da un nuovo governo di centrosinistra. Ieri il presidente della Repubblica ha iniziato le consultazioni in seguito alle elezioni di luglio, vinte dal giurista Miro Cerar con quasi il 35%. Il suo partito è stato fondato poche settimane prima del voto, ma è riuscito a sbaragliare tutti in un panorama politico a pezzi: da una parte la litigiosità della sinistra che ha portato alla caduta dell’ultimo esecutivo, dall’altra la destra aggrappata a un leader in carcere.

A Cerar basterebbero il sostegno della propria formazione e quello dei Pensionati, nelle cui fila milita il ministro degli Esteri uscente. Già così si avrebbe una maggioranza di 46 seggi su 90, a cui potrebbero aggiungersi i 6 dei Socialdemocratici e i 4 del partito di Alenka Bratusek, primo ministro affossato pochi mesi fa. Cosa chiederanno gli alleati per assicurare il loro appoggio? L’ex leader del governo sembra puntare a una poltrona nella nuova commissione europea, mentre le pretese dei Pensionati rischiano di essere più problematiche.

Il Paese è in crisi economica da anni, da anni si parla di possibili aiuti internazionali, e si predica austerità con l’obiettivo dichiarato di uscire dal tunnel. Se Cerar vorrà tagliare la previdenza per volontà propria, o se glielo chiederà l’Unione europea, la formazione politica che rappresenta gli anziani potrebbe mollarlo. Chi all’opposizione ci sarà praticamente di sicuro è il centrodestra di Janez Jansa, anche lui ex primo ministro, condannato per corruzione. Non farà parte della maggioranza neanche Sinistra unita, sostenitrice del greco Tsipras.

L’investitura del parlamento al nuovo governo è attesa tra dieci giorni. Cerar dovrà gestire una vittoria arrivata con una bassa affluenza, dopo anni in cui gli scandali politici di corruzione hanno causato proteste di piazza che sono durate mesi. Nel volto nuovo del giurista molti cittadini potrebbero aver visto la possibilità di un cambiamento morale. È invece difficile, almeno per il momento, pensare a un importante mutamento di linea sul fronte economico, forse il principale terreno di fallimento della politica slovena recente.

Read Full Post »

Il ministro degli Esteri austriaco, l'ex responsabile delle Finanze serbo e il capo del governo di Belgrado (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro degli Esteri austriaco, l’ex responsabile Finanze serbo e il suo primo ministro (foto Österreichisches Außenministerium, http://bit.ly/1kuY8rA)

Il ministro delle Finanze serbo si è dimesso perché non gli hanno permesso di tagliare le pensioni del 20% e gli stipendi pubblici del 15%. Questa, almeno, è la versione ufficiale: Lazar Krstic lascia nemmeno un anno dopo aver preso possesso dell’incarico. Il suo successore ha già detto di voler procedere a una sforbiciata del 10% su entrambe le voci che il predecessore voleva aggredire. Un modo per rassicurare i mercati, ma non è chiaro se e quanto il governo rallenterà sulla strada dell’austerità.

A gennaio Belgrado ha iniziato i negoziati di adesione all’Unione europea. Il suo debito pubblico sta salendo: secondo la banca centrale nazionale ora è al 65% del pil. In Italia, sia detto per inciso, questa percentuale è più che doppia. In ogni caso, tanto per cambiare, le istituzioni internazionali sembrano spingere il Paese balcanico a tagliare quanto più possibile, e Krstic diceva di volersi muovere in questa direzione. A frenarlo sarebbe stato il capo del governo Aleksandar Vucic, che ora dovrà fare a meno del giovanissimo ex-ministro, appena trentenne.

Tra i “sogni” del politico dimissionario c’era anche il licenziamento di almeno 160mila dei 700mila dipendenti pubblici nel giro di due anni. A questo punto forse non succederà, ma per i serbi potrebbero comunque profilarsi tempi duri: in autunno è atteso l’inizio di negoziati per ottenere un prestito dal Fondo Monetario Internazionale. “Il primo ministro ha un cuore troppo tenero”, ha detto Krstic in conferenza stampa. Una frase che sembra avvertire i cittadini: la mazzata rischia di essere solo rinviata.

Belgrado deve anche fare i conti con i danni delle recenti alluvioni (si parla di quasi due miliardi), e con un alto tasso di disoccupazione. La crisi, insomma, è di casa proprio come in Slovenia e Croazia, i due Stati ex-jugoslavi che sono già entrati nell’Unione europea. In questi giorni a Bruxelles si insedia la nuova commissione, che sarà ancora guidata da un uomo di centrodestra. Difficile che la linea del rigore si ammorbidisca molto, dando respiro ai Paesi membri della Ue e a quelli che aspirano a farne parte.

Read Full Post »

Il parlamento sloveno (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Il parlamento sloveno, costruito negli anni ’50 (foto Orwell523, http://bit.ly/1m88Mqa)

Domenica prossima gli sloveni saranno chiamati al voto per le politiche. Tutti i sondaggi danno in vantaggio il giurista Milo Cerar, che ha appena fondato un partito di centrosinistra. Le europee di fine maggio, però, sono state vinte dalla fazione opposta, e in particolare dalla formazione di Janez Jansa, ex capo del governo finito in carcere a giugno.

La storia recente di Lubiana somiglia a quella di Roma, almeno apparentemente. Parliamo di crisi economica, voci sulla possibile richiesta di aiuti internazionali (più insistenti nell’ex Paese jugoslavo che non in Italia), opinione pubblica irritata dalla corruzione politica, governi che durano appena un anno. L’ultimo a cadere è stato quello di Alenka Bratusek, prima donna a guidare la Slovenia, abbattuta da una faida interna al suo centrosinistra.

Forse è per questo che il voto comunitario ha premiato la destra di Jansa, nonostante i problemi giudiziari del suo leader. Condannato a due anni per corruzione, un paio di settimane fa è finito nello stesso carcere in cui era dovuto entrare a fine anni ’80: allora però il motivo era il possesso di un documento riservato, fatto sgradito al regime comunista. Secondo diversi sondaggi al momento il partito di Jansa sarebbe tra il 13 e il 15%, secondo dopo il 15-19% di Cerar. Tutti gli altri sarebbero sotto il 10%.

L’esito delle elezioni sembra comunque una grossa incognita, legata anche all’astensionismo: alle europee ha votato solo uno su quattro tra gli aventi diritto. La politica slovena pare messa male, come l’economia, e il prossimo primo ministro dovrà lavorare duro se vorrà cambiare davvero le cose. Per ora l’impressione è quella di un circolo vizioso: l’uomo che ha tolto la sedia a Bratusek, Zoran Jankovic, era tra i bersagli dei cortei anti-corruzione a cavallo tra fine 2012 e inizio 2013.

Read Full Post »

Older Posts »