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Il tribunale internazionale dell'Aja per l'ex Jugoslavia (foto Penn State, http://bit.ly/18HnU5u)

Il tribunale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia (foto Penn State, http://bit.ly/18HnU5u)

Continuano ad accusarsi a vicenda di genocidio, ma dicono di sperare che questo non incrini i loro rapporti. Le autorità serbe e croate hanno dato vita a una singolare conferenza stampa congiunta, che sembra dire molto su passato, presente e futuro dei due Paesi, ma anche dell’intera area ex jugoslava.

A Belgrado i giornalisti hanno incontrato il vice-capo del governo di Belgrado, Aleksandar Vucic, e quella di Zagabria, Vesna Pusic. I due hanno annunciato che non ritireranno le reciproche accuse di genocidio che pendono al tribunale internazionale dell’Aja. La Croazia le ha presentate nel 1999, la Serbia nel 2010. Lunedì inizierà una serie di udienze per discuterle. La cosa dovrebbe durare un mese. “Non sarà piacevole”, ha ammesso Pusic, aggiungendo che però lei e il suo omologo sono d’accordo che il verdetto dei giudici – qualunque esso sia – non influirà sulle relazioni politiche attuali.

La ministra di Zagabria assicura che il suo Paese non ostacolerà il cammino europeo di Belgrado. Vucic dice di sperare che la Croazia farà di tutto per garantire i diritti della minoranza serba, riferendosi in particolare ai nazionalisti di Vukovar che abbattono le insegne con scritte in cirillico, imposte da una legge sul bilinguismo. Da entrambe le parti, insomma, invocazioni al rispetto reciproco, ma nessuna dichiarazione di disponibilità a lasciar perdere gli orrori degli anni ’90.

Il ragionamento ha una sua logica. Punire i responsabili di violenze e avere rapporti bilaterali civili sarebbe effettivamente l’ideale. Ma sembra difficile che le sentenze dell’Aja non abbiano ripercussioni sulle relazioni. La speranza è che siano contenute. In altri casi si è scelto di non perseguire tutti i crimini passati, e si è riusciti a costruire una democrazia compiuta: pensiamo all’Italia post-seconda guerra mondiale, o alla Spagna dopo la morte di Franco. Non sappiamo se lo stesso accadrà in un’ex-Jugoslavia profondamente segnata dalle guerre di fine Novecento.

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Angela Merkel e il primo ministro croato Milanovic. La cancelliera non era tra i leader europei che hanno partecipato alle celebrazioni per l'ingresso di Zagabria nella Ue (zimbio.com)

Angela Merkel e il primo ministro croato Milanovic. La cancelliera non era tra i leader europei presenti alle celebrazioni per l’ingresso di Zagabria nella Ue (zimbio.com)

Nuovo Paese, vecchie ricette. La Banca centrale europea chiede alla Croazia – da inizio luglio nell’Unione – di affrontare la crisi riformando sanità, pensioni, lavoro: “medicine” distribuite a piene mani in altri Stati, con risultati quantomeno discutibili. Va detto che Zagabria ha effettivamente grossi problemi da risolvere: corruzione, indebitamento, disoccupazione. E negli ultimi anni la situazione è peggiorata.

La Bce sembra avere un vocabolario molto ristretto. Una delle poche parole ammesse, e ripetute in continuazione, è “consolidamento”: mettere in sicurezza i conti, e farlo andando a toccare lo Stato sociale. Anche dalla Croazia Bruxelles si aspetta riforme di sanità e pensioni, oltre a un aumento della flessibilità nel mercato del lavoro: pazienza se la disoccupazione è vicina al 21%, al terzo posto tra i Paesi Ue dopo Spagna e Grecia. Più di metà dei croati under 25 è senza occupazione. Un quadro che offre decisamente poche certezze, soprattutto ai giovani. Per migliorare la situazione l’Europa propone più flessibilità, cioè ancora più incertezza.

Si diceva della corruzione, che ha colpito in modo pesante la politica, e del debito, cresciuto di molti punti sul pil negli ultimi anni. La percentuale, non lontana dal 60%, è di gran lunga inferiore a quella italiana: più che il debito pubblico a preoccupare sembra essere quello privato dei singoli cittadini, che prima dell’inizio della crisi sembrano aver vissuto sopra le loro possibilità, grazie a crediti ottenuti dalle banche. Ora che molti perdono – o hanno perso – il lavoro, diventa difficile restituire le somme ricevute.

Il quadro è fosco, ed è completato dal calo di consumi e investimenti dall’estero: rispettivamente -3 e -4% nel 2012. A fine 2013 il pil dovrebbe diminuire rispetto all’anno scorso, quando era sceso rispetto a quello prima. L’Unione europea, insomma, ha aperto le porte a un nuovo Paese in difficoltà. E cerca di “curarlo” come ha fatto con gli altri malati del continente.

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Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche e contro la classe politica (notizie.it)

Manifestazioni in Slovenia per le difficoltà economiche dei cittadini e contro la classe politica (notizie.it)

È l’unico Paese dell’ex Jugoslavia già entrato nell’Unione europea. E pare sprofondare nei problemi che stanno tirando a fondo altri Stati della Ue. La Slovenia ha eletto un nuovo presidente, ma la questione più grossa – anche politica – è un’altra. Disoccupazione, bolla immobiliare, titoli di Stato sotto pressione: la crisi si fa sentire, sia nel mondo “virtuale” della finanza che in quello concreto della vita quotidiana delle persone. Che nei giorni scorsi hanno manifestato in migliaia, per chiedere cambiamento e contestare la classe politica.

Le ricette di Borut Pahor, neo-capo di Stato ed ex primo ministro socialdemocratico, non suonano nuove. “Bisogna continuare con i tagli alla spesa pubblica”: austerità, come in Grecia, Spagna e tanti altri Paesi. Pahor ha sconfitto il capo di Stato uscente, Danilo Turk, anche lui di centrosinistra. L’affluenza è stata la più bassa di sempre: poco più del 40%, un sintomo della rabbia dei cittadini. Rabbia espressa restando lontani dall’urna, ma anche e soprattutto scendendo in piazza: in questi giorni si è manifestato nella capitale Lubiana e in altre città, come a Maribor, dove nel mirino c’è il sindaco indagato per corruzione. In alcuni casi ci sono stati scontri: venerdì sera a Lubiana ci sono stati quindici feriti.

Il Paese potrebbe dover chiedere aiuti internazionali, che causerebbero altre misure pesanti per la popolazione. Appena eletto Pahor ha fatto appello all’unità, ma in effetti – come ha fatto notare qualcuno – gli sloveni sembrano già uniti, contro la politica e l’abbassamento del loro tenore di vita. È vero che Turk aveva detto di voler salvare lo Stato sociale, opponendosi all’austerità, e ha perso. Ma la maggioranza dei cittadini non è quella che ha premiato il suo rivale. È quella che non è andata a votare.

FONTI: Corriere, Ansa, Il Piccolo, East Journal

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Behgjet Pacolli è il nuovo capo dello Stato del Kosovo (estjournal.wordpress.com)

Behgjet Pacolli è il nuovo presidente del Kosovo. Imprenditore discusso (c’è chi lo definisce “il Berlusconi dei Balcani”), succede a Fatmir Sejdiu, dimissionario nello scorso settembre. Ma l’opposizione non ci sta. Lega democratica del Kosovo  (Ldk) e Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la sua elezione.

Chi è Pacolli? Sessanta anni da compiere nel prossimo agosto, laureato in economia e commercio, ha iniziato – come Berlusconi – nel settore edile, con la società di costruzioni Mabetex, attiva soprattutto nelle ex repubbliche sovietiche. Nel 1999 è stato indagato per riciclaggio da Carla Del Ponte, futuro procuratore capo del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, ma la procedura si è conclusa con l’archiviazione. Sposato con Anna Oxa dal 1996 al 2002, nel 2001 ha fondato la casa discografica B & G insieme a Gianni Belleno, ex marito della cantante. Un’operazione fallimentare: nonostante si fosse assicurata artisti come Ivana Spagna e Loredana Bertè, l’etichetta ha chiuso dopo appena tre anni.

Pacolli come Berlusconi: una stretta di mano con Gheddafi (gazetatema.net)

Entrato in parlamento nel 2010 con il partito Alleanza per il nuovo Kosovo, Pacolli è diventato presidente martedì 22 febbraio. Il capo dello Stato viene eletto dal parlamento, che ha tre tentativi disponibili per trovare un accordo. Se alla terza votazione nessun candidato vince, l’assemblea viene sciolta e si torna alle urne. Una possibilità che sembrava molto concreta martedì, dopo che i primi due turni si erano conclusi con una fumata nera. E’ stato allora che il primo ministro Hashim Thaci ha chiesto una pausa delle consultazioni. Finito il break si è votato di nuovo, e Pacolli ha ottenuto la maggioranza.

Lo “stop” chiesto da Thaci non è piaciuto a Aak e Ldk, il partito di Ibrahim Rugova, il primo presidente del Kosovo, morto cinque anni fa. L’opposizione ha gridato allo strappo costituzionale, mentre il nuovo capo dello Stato ha trovato una buona accoglienza da parte della Serbia. “Siamo pronti a sedersi al tavolo con chiunque sia eletto”, ha fatto sapere il governo di Boris Tadic, che da alcuni mesi ha teso una mano a Pristina per avviare un dialogo. La Serbia non accetta ancora l’indipendenza del Kosovo, né dà l’impressione di volerlo fare a breve: è disposta, però, a trattare con le istituzioni dell’ex provincia ribelle. E da martedì ha un nuovo interlocutore con cui parlare.

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Vuk Jeremic, ministro degli Esteri serbo: "Non riconosceremo mai l'indipendenza del Kosovo"

“Se il Kosovo ha ragione, perché noi no?” La Corte di giustizia de L’Aja ha legittimato l’indipendenza della provincia serba: per i giudici la dichiarazione unilaterale del 17 febbraio 2008 non viola le leggi internazionali. Un pronunciamento che esalta le ambizioni di tutti gli autonomisti del mondo. Baschi e ceceni, innanzitutto. Ma anche i serbi bosniaci… e i padani.

“Ci sono molti Stati che hanno problemi di identità territoriale. Una decisione come questa potrebbe essere usata come un precedente”. Vladmir Tchijov, ambasciatore russo presso l’Unione europea, non nasconde le ragioni per cui il suo Paese continua a non riconoscere il Kosovo come entità indipendente, anche dopo la decisione dei magistrati olandesi. Mosca teme di perdere la Cecenia, già Repubblica autonoma della Federazione, e l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, a status territoriale conteso dall’inizio degli anni ’90.

Mitrovica, Kosovo. A nord del fiume Ibar, maggioranza serba, si protesta. A sud, maggioranza albanese, si festeggia

Opposta la strategia della Spagna, che a sua volta deve guardarsi dalla voglia di autonomia dei Paesi Baschi. “Credo che nessuno con senso di responsabilità possa paragonare questa situazione alla prosperità che viviamo nel nostro Stato e alle regole di convivenza che abbiamo dato a tutti i nostri cittadini”. Oltre ad essere poco eleganti, le parole del vice primo ministro Maria Teresa Fernandez de la Vega parlano chiaro: non provate nemmeno ad usare il Kosovo come grimaldello per staccarvi da Madrid.

Più preoccupanti ancora sono le dichiarazioni di Milorad Dodik, primo ministro della Repubblica serba di Bosnia: “Potremmo adottare subito una dichiarazione di indipendenza che non viola il diritto internazionale”. A febbraio lo stesso Dodik aveva smentito di voler andare alla scissione da Sarajevo. Un’altra giravolta rispetto al 2006, quando diceva: “Se il Kosovo diventa indipendente, non vedo perché non dovremmo esserlo anche noi”. In Italia c’è chi è molto più coerente: “Buone notizie per noi padani”, ha commentato l’europarlamentare leghista Mario Borghezio. Anche un sorriso, in situazioni intricate come questa, non è da buttar via.

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Edin Dzeko, attaccante del Wolfsburg, 14 gol in 23 match in Nazionale

Sarajevo, 6 novembre 1996. La neonata Nazionale di calcio della Bosnia-Erzegovina batte 2-1 in amichevole l’Italia. Pochi giorni dopo Arrigo Sacchi si dimette da ct azzurro. Zenica, 18 novembre 2009. A 70 km da Sarajevo, la Bosnia viene battuta dal Portogallo. E’ la gara di ritorno degli spareggi per i Mondiali del 2010. Si qualificano i lusitani, che avevano vinto anche all’andata nonostante i tre legni colpiti dalla squadra di Miroslav Blazevic.

Quella della selezione bosniaca è ovviamente una storia recente. Nata durante il conflitto jugoslavo, ha esordito ufficialmente contro l’Albania, venendo sconfitta 2-0 a Tirana. Era il 30 novembre 1995, nove giorni dopo l’accordo di Dayton che pose fine alla guerra. Negli anni successivi la Bosnia calcistica ha vissuto tante sconfitte e poche gioie, come per l’appunto quella della vittoria contro l’Italia. A differenza di Serbia, Croazia e Slovenia, in quindici anni di vita non è mai riuscita a qualificarsi né agli Europei né ai Mondiali. Quest’anno, però, ci è andata molto vicina.

Il girone eliminatorio per Sudafrica 2010 l’ha vista arrivare seconda dietro la Spagna e davanti a squadre più quotate come Turchia e Belgio: gli undici di Blazevic si sono tolti lo sfizio di battere i Diavoli Rossi due volte, 2-1 a Zenica e 4-2 a Genk. Grande protagonista delle qualificazioni è stato Edin Dzeko, centravanti che piace molto al Milan, autore di 9 gol in 10 partite. Ad affiancarlo c’erano Zvjezdan Misimovic, suo compagno di squadra nel Wolfsburg, e Zlatan Muslimovic, ex di Messina, Parma e Atalanta.

Non c’era invece Hasan Salihamidzic, esterno della Juve che si è ritirato dal calcio internazionale nel 2006. Il nuovo ct ed ex attaccante bosniaco Safet Susic, subentrato a Blazevic a fine dicembre, ha detto di volerlo convincere a tornare in Nazionale. I due hanno qualcosa in comune: Susic è l’ultimo giocatore ad aver segnato una tripletta all’Italia, con la maglia della Jugoslavia, il 13 giugno 1979. Salihamidzic ha segnato il primo dei due gol subiti dagli azzurri di Sacchi nel 1996. Insieme potrebbero provare a conquistare la qualificazione ad Euro 2012. La nostra Nazionale dovrà sperare di non incontrarli.

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