L’assoluzione dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac mina seriamente la credibilità del tribunale internazionale sull’ex Jugoslavia. Non lo dice un passante, né un ultranazionalista serbo, ma Carla Del Ponte, procuratore capo dello stesso tribunale dal ’99 al 2007. “La sentenza non è un atto di giustizia”, dice la donna che conduceva l’accusa contro l’ex dittatore di Belgrado, Slobodan Milosevic.
Venerdì scorso i giudici hanno ribaltato il verdetto di primo grado, che aveva condannato Gotovina e Markac rispettivamente a 24 e 18 anni per crimini contro l’umanità, e in particolare per la pulizia etnica nella Krajina, regione croata da cui le violenze avrebbero fatto fuggire almeno 150mila serbi. Del Ponte dice di non sapere perché quella sentenza è stata cancellata: su East Journal leggiamo che i magistrati avrebbero contestato la definizione di “pulizia etnica” applicata in primo grado, stabilendo che non ci sono prove per dire che siamo di fronte non a “normali” violenze di guerra, ma a un progetto mirato a eliminare i serbi dalla regione.
Accolti a Zagabria da diecimila persone in festa, Gotovina e Markac sono tornati in patria dopo anni di carcere, e il primo ha anche rilasciato un’intervista per invitare chi fuggì dalla Krajina a tornarci. Di sicuro in quella regione furono commessi crimini, di sicuro decine di migliaia di persone scapparono dalle loro case, e di sicuro i colpevoli andrebbero puniti. Forse il verdetto di appello risponde davvero a una logica “formale”, e per seguirla i giudici hanno commesso una colossale ingiustizia. O forse Gotovina e Markac non avevano un piano di pulizia etnica, e sono colpevoli di violenze simili a quelle di tutte le altre guerre. La sensazione è che gli sconfitti siano gli stessi di sempre, da Srebrenica, a Vukovar, alla Krajina: le vittime e i loro cari.
FONTI: Ansa, Osservatorio Balcani e Caucaso, East Journal
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