La Croazia fa mezzo passo indietro sulla questione del mandato d’arresto europeo. Alcuni giorni fa si era saputo che la Ue aveva protestato con Zagabria, colpevole di aver cambiato le norme in materia tre giorni prima di entrare nell’Unione. Ora il mandato d’arresto vale solo per i crimini commessi dopo il 2002, e quindi non per quelli della guerra e per il “caso Perkovic”, su cui fa polemica l’opposizione al governo croato, che nelle scorse ore si sarebbe detto disponibile a rimediare.
Il 1° luglio Zagabria è diventata la 28° capitale comunitaria. Pochi giorni prima aveva preso le decisioni contestate da Bruxelles, che non ne sarebbe stata informata. Scoperta la cosa, il commissario alla Giustizia Viviane Reding ha scritto alle autorità croate, che hanno risposto pochi giorni fa. La portavoce di Reding ha fatto sapere che il governo si è detto disponibile a cambiare la legge. Dirsi disponibili, però, non significa averlo fatto: non a caso la portavoce ha sottolineato che alle parole devono seguire i fatti.
I dubbi della Ue sono legittimati anche dalle dichiarazioni di una fonte anonima del governo croato al quotidiano Jutarnji list: “Le norme saranno cambiate solo se sarà dimostrato che abbiamo torto”. Pare che i Paesi entrati nell’Unione prima del 2002 possano applicare la limitazione decisa dalla Croazia, perché in quell’anno fu introdotto il mandato d’arresto europeo. Il confine temporale, invece, sarebbe vietato per gli Stati che hanno aderito dopo.
Un bel groviglio, il cui centro potrebbe essere Josip Perkovic. Ex alto ufficiale dei servizi segreti della vecchia Jugoslavia, è accusato in Germania di un omicidio politico avvenuto nel 1983. Secondo l’opposizione croata il vero scopo del governo è tutelare lui. Se fosse vero, Zagabria e Roma scoprirebbero di avere un nuovo punto in comune, oltre alla crisi, l’Adriatico e l’appartenenza alla Ue: le leggi ad personam.
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