Dopo il 1989 molti si erano illusi che il comunismo costituisse una parentesi storica, facilmente superabile attraverso programmi di privatizzazione dell’economia e democratizzazione della vita politica. La “deviazione” comunista, sommandosi alle specificità ereditate dal periodo 1919-45 (squilibri sociali, conflitti nazionali, instabilità politica), incise in modo assai più profondo di quanto immaginabile sulla mentalità collettiva e sulle strutture sociali dei paesi ex comunisti. Probabilmente la comune eredità di un passato scomodo che esita a passare costituisce l’unico, vero profondo legame che l’Unione Sovietica sia riuscita a creare con i suoi riluttanti satelliti.
Stefano Bottoni insegna Storia e istituzioni dell’Europa orientale all’Università di Bologna. Le parole qua sopra sono tratte dall’introduzione di “Un altro Novecento – L’Europa orientale dal 1919 a oggi”, appena pubblicato da Carocci. Un volume che cerca di ricostruire cosa è successo dopo la Prima guerra mondiale in un’area vastissima, che va dall’Estonia alla Moldavia. E che comprende anche l’ex Jugoslavia.
La tesi del libro è semplice: la storia dell’Europa in cui per decenni ha sventolato la bandiera comunista non si può spiegare solo guardando alla voce “nazionalismo”, che pure ha giocato un ruolo importante nelle vicende dell’Est. Per comprendere cosa è accaduto a partire dagli anni ’20 bisogna studiare gli “strati di memoria” che si sono sedimentati nella parte orientale del Vecchio continente durante l’ultimo secolo. Un’analisi applicabile in toto nei Balcani, dove le pulsioni populiste (su tutte, la volontà di creare la Grande Serbia) hanno soffiato sul vento delle guerre degli anni ’90, ma non ne sono state l’unica causa, e non possono bastare a spiegare la disgregazione dei Paesi governati da Tito per 35 anni.
Nato a Bologna nel 1977, Bottoni collabora con l’Istituto di storia dell’Accademia ungherese delle Scienze. Per Carocci aveva già pubblicato il libro “Transilvania rossa. Il comunismo romeno e la questione nazionale (1944-1965)”. La sua grande passione, a giudicare dai tanti saggi e articoli scritti sull’argomento, sembra essere proprio l’area che comprende Ungheria e Romania. Il suo lavoro, però, può essere utile anche a chi è interessato ai Balcani, un (grande) frammento della fetta di Europa raccontata in “Un altro Novecento”.
Dei “riluttanti satelliti” dell’Unione Sovietica, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia era la più riluttante. Il regime balcanico, in rottura con Stalin già poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stato il più sui generis tra quelli comunisti dell’Europa orientale. Eppure i punti di contatto con le ex Repubbliche sovietiche ci sono, a partire da una situazione attuale di difficoltà economica e sociale, in gran parte eredità delle dittature rosse. Il libro di Bottoni può aiutarci a capire meglio affinità e differenze tra i “comunismi” a est di Trieste. E può far luce sui motivi della tragica dissoluzione dell’ex Jugoslavia.
[…] da Balcanews […]
Se il comunismo è stata una deviazione, il liberal-capitalismo che sta distruggendo ambiente, valori e popolazioni, in nome della “libertà” di fare tutto quello che si vuole in economia, cosa mai dovrebbe essere, una mostruosità? Le dottrine politiche non sono “deviazioni”, sono dottrine politiche. Si va per tentativi, a volte sbagliati, di migliorare questo nostro mondo. E se si vuol essere rispettati bisogna rispettare, e già chi esordisce con una tale introduzione, si presenta male.
Elenco di alcuni “deviati” della nostra storia (tutti comunisti):
Cesare Pavese,
Ludovico Geymonat,
Pier Paolo Pasolini,
Alberto Moravia
Pablo Neruda (premio Nobel!),
Pablo Picasso,
Bertolt Brecht,
Dario Fo (premio Nobel!),
Carlo Levi,
Rosa Luxemburg,
Antonio Gramsci,
Gyorgy Lukacs,
Gian Maria Volontè,
Yves Montand
Gillo Pontecorvo,
Jean-Paul Sartre (premio Nobel!),
Albert Camus (premio Nobel!),
Gabriel Garcìa Marquez (premio Nobel!),
Salvatore Quasimodo (premio Nobel!),
Josè Samarago (premio Nobel!),
Diego Rivera,
Ludwig Wittgenstein,
George Bernard Shaw,
Frédéric Joliot-Curie (premio Nobel)
Ghiannis Ritsos,
Mikis Theodorakis,
Andrea Camilleri
Charlie Chaplin
Natalia Ginzburg(Levi)
Italo Calvino
Caro Marco Zorzi,
La pregherei di leggere il mio volume prima di esprimere giudizi affrettati e – mi perdoni – piuttosto superficiali. Le farei notare che Camus ebbe modo di rivedere ampiamente il proprio giudizio e che l’unico dei personaggi da Lei citati che abbia mai davvero assaporato la realtà quotidiana del comunismo, Gyorgy Lukacs, morì dopo Praga 1968 senza alcuna illusione rispetto alla natura di quel sistema. Sono apertissimo a qualunque discussione: ma senza pregiudizi! Un cordiale saluto, SB.
Non ho espresso un giudizio sul suo lavoro, sulla cui qualità non ho elementi per esprimerlo (ed anzi mi propongo di leggere), ma sulla definizione “deviazione”, che non condivido.
Deviazione se mai non è stato il comunismo in quanto dottrina politica, ma la sua (forse molto prematura) attuazione pratica come tentativo di realizzare una società più giusta e sottratta allo sfruttamento del più forte sul più debole ed alle tante altre mostruosità che il sistema liberal-capitalistico ha causato e sta causando, e lo abbiamo sotto ai nostri occhi.
Si può forse dire che il cristianesimo è una deviazione poichè nel medioevo la Chiesa mandava a morte le “streghe” o gli “eretici” (e quant’altro…ma davvero quanto altro!).
Ma, appunto, il tema e complesso, e ritengo altrettanto superficiale l’etichettatura di una complessa dottrina politica ispirata da intenti nobilissimi, che sono poi sostanzialmente gli stessi del cristianesimo portati sul piano politico, come “deviazione”.
Riguardo agli innumerevoli comunisti illustri della storia, essi, io credo, appunto, lo erano per condivisione degli ideali di quella dottrina, anche se poi in parte compromessi dalla pratica. Ma, e lo ripeto, qui si parla di idee.
I tentativi di attuazione pratica delle idee sono altra cosa.
E dire che chi non ha assaporato la realtà quotidiana del comunismo non possa apprezzare o criticare il comunismo, sarebbe come dire che chi non è stato in America non possa apprezzare o criticare il sistema americano.
E magari chi non è stato nello spazio non possa essere sicuro che la Terra gira intorno al sole.
La stragrande maggioranza delle cose di cui pensiamo e parliamo non le conosciamo per esperienza diretta, ma per eleborazione della nostra mente.
E comunque, se porprio vogliamo restare sul terreno dell’esperienza diretta, si vada a leggere i sondaggi che dicono ad esempio che nella ex Jugoslavia la maggioranza della popolazione indica come periodo più felice della propria vita quello trascorso sotto Tito.
O tutti gli altri sondaggi fatti nei paesi dell’est che testimoniano un grande nostalgia per il periodo comunista, in cui erano molto più felici di oggi.
E questa è esperienza diretta.
E provi a chiedere agli immigrati dell’est che sono qui in Italia, provi a fare un mini sondaggio chiedendo loro se stanno meglio e si sentono più felici oggi o se non stessero meglio allora e non rimpiangano il periodo comunista.
Vedrà che la quasi tutti le risponderanno con la seconda ipotesi.
E questa è esperienza diretta.
Altrettanto cordialmente la saluto.
Rispetto il Suo parere anche se in gran parte non lo condivido; il problema della nostalgia è molto complicato ed esiste un’enorme letteratura a disposizione. Tratto in modo assai dettagliato le trasformazioni economiche, sociali e culturali nel cap. 7 e nell’epilogo del libro; credo che potrà trovare molti dati e spunti di riflessione interessanti. Come potrà constatare, non sono per nulla un adepto del “pensiero unico” neoliberale occidentale che, nei primi anni Novanta, ha travolto l’EO orientale e le sue certezze. E’ anche chiaro che le disuguaglianze sono cresciute. Quello che mi lascia molti dubbi è la reale misura della nostalgia: siamo proprio sicuri che quasi la metà dei romeni vorrebbero tornare a vivere come nel 1982? Anch’io leggo per lavoro tante inchieste sociologiche di questo tipo, ma resto sempre più perplesso di fronte ai risultati. La “jugonostalgia” è senz’altro più comprensibile, soprattutto alla luce delle guerre del 1991-99, ma starei attento: è sicuramente forte in Bosnia, della Macedonia e (forse) alcune zone della Serbia; ma altrettanto sicuramente debole in gran parte della società croata, per non parlare della Slovenia o del Kosovo albanese. In ogni caso, è sempre utile discutere! Un saluto, SB.
Conosco molto appronditamente la realtà e società romena e ungherese, per motivi professionali e familiari, da oltre 30 anni
Più che le teorie e, permettetemi “le chiacchiere”, credo conti la realtà quotidiana.
Le persone comuni, pensionati e lavoratori, quindi tutti coloro che non hanno saputo approfittare del capitalismo rampante e selvaggio che abbiamo esportato all’est, rimpiangono quotidianamente il comunismo, e per rimpiangere il comunismo romeno è tutto dire.
Il nuovo, il liberismo, la cd democrazia, l’illusione della libertà, il voler emergere a tutti i costi, l’affannosa ricerca del denaro, hanno trasformato la Romania in un enorme discarica umana.
Non parliamo, infine, dell’Ungheria: è meglio stendere un velo pietoso.
maurizio
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