“Io non sono scappata dalla povertà e dalla guerra. Sono arrivata per amore”. Dijana Pavlovic, attrice serba di etnia rom, ha 33 anni. Lavora in Italia dal ’99, quando si è sposata col collega Claudio Migliavacca. Entrambi fanno principalmente teatro, anche se Dijana ha partecipato a produzioni tv (la serie La squadra) e cinematografiche (Provincia meccanica con Stefano Accorsi). Nel 2008 si è candidata alla Camera con la Sinistra arcobaleno, senza essere eletta. Da qualche anno collabora con L’Unità: il 3 gennaio ha raccontato la sua odissea per diventare cittadina del nostro Paese, cominciata nel ’97 davanti all’ambasciata italiana a Belgrado.
“Venivo intorno alle quattro di mattino e trovavo già una coda di persone che avevano passato lì la notte per prendere il numero”. Dijana conosce il suo futuro marito durante il festival teatrale Olive 97 in Montenegro. Si innamora di lui, ma scopre presto la burocrazia e le spese che deve affrontare per venire a trovarlo in Italia. “Per il visto turistico per dieci giorni mi chiedevano un’assicurazione medica privata, 100 mila lire per ogni giorno di permanenza in Italia su un conto corrente anche se venivo ospitata da una famiglia di cui si verificava il reddito, il certificato che studiavo all’università di Belgrado come garanzia che sarei tornata e la fedina penale pulita”.
Dopo due anni di file da sopportare e moduli da riempire, Dijana e Claudio decidono di unirsi in matrimonio. “In realtà volevamo convivere un po’ prima di sposarci ma non era possibile, la legge non prevedeva questa possibilità tra un italiano e una extracomunitaria”. Prima di fare domanda per la cittadinanza, l’attrice deve attendere ancora sei mesi. Un impiegato si informa dai vicini per sapere se vive effettivamente insieme a suo marito: vuole controllare che le nozze siano vere e non combinate per ottenere la nazionalità italiana. Due anni dopo, Dijana viene finalmente convocata in Comune per prestare giuramento sulla Costituzione.
“Per me era un momento speciale, sono andata con la macchina fotografica, ma anche lì ho fatto una lunga fila e quando è arrivato il mio turno un impiegato mi ha chiesto solo se parlavo italiano”. Dijana risponde di sì. E diventa cittadina del nostro Paese. Ora ha un figlio, nato italiano: per lui ha preso una casa che ha ristrutturato. “I muratori albanesi mi hanno raccontato che sono in Italia da 16 anni e i loro figli sono nati qui, parlano italiano, non vogliono parlare albanese, quando vanno in Albania dopo un po’ si stufano e chiedono quando si torna a casa. Ma non sono cittadini italiani. Come migliaia di figli di immigrati e migliaia di rom slavi nati in Italia, non amano il paese dei loro genitori e parlano l’italiano come lingua materna, ma sono senza una patria”.
La loro unica colpa, dice Dijana, è di non avere un genitore italiano. La loro speranza è che i Paesi in cui sono nati entrino nella Ue. In questo modo non sarebbero più extracomunitari, come è accaduto ai rumeni. Diventare cittadini europei, oggi, è più facile che diventare cittadini italiani.
Leggi anche: Il racconto di Dijana Pavlovic su “L’Unità” del 3 gennaio 2010
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